Emissioni, è ancora lunga la strada verso la decarbonizzazione


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Giorgia Pelagalli
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Nel 2023 assisteremo a un picco delle emissioni di anidride carbonica mai visto prima. In risposta alla crisi innescata dall’emergenza sanitaria, i Paesi di tutto il mondo hanno stanziato fondi per la ripresa e il rilancio delle economie nazionali. Tuttavia, della totalità delle risorse messe a disposizione, solo il 2% è destinato alla transizione ecologica e all’implementazione di soluzioni sostenibili, un impegno insufficiente al raggiungimento degli obiettivi internazionali di decarbonizzazione.

Questi risultati sono stati evidenziati dall’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) che attraverso il Sustainable Development Tracker, si è occupata di monitorare 800 interventi di politiche pubbliche in 50 Paesi diversi in modo da identificare e analizzare i trend di investimento in tema di sviluppo sostenibile.

Secondo l’Agenzia, stando ai dati disponibili al secondo trimestre del 2021, i governi del mondo hanno mobilitato 16.000 miliardi di dollari al fine di supportare la stabilizzazione dell’economia globale, messa a dura prova dalla diffusione della pandemia da Covid-19. Di questi, circa 2,3mila miliardi sono indirizzati a progetti di lungo termine a supporto di crescita e ripresa, di cui solo 380 miliardi (il 2% del totale) sono rivolti a misure di risanamento sostenibile legate all’energia pulita. La previsione è che circa due terzi di queste risorse verranno mobilitate entro il 2023 con una media di 84 miliardi di dollari all’anno, mentre la restante parte verrà distribuita fino al 2030.

Questi numeri rappresentano sicuramente uno scatto in avanti sulle tematiche green rispetto agli anni precedenti, ma non sono abbastanza. Se si considera anche l’aumento degli investimenti nel settore privato indotto dall’impegno pubblico in energia pulita e reti elettriche, la spesa annuale prevista per il periodo 2021-2023 arriverebbe a 350 miliardi di dollari (composta per il 25% da iniziative pubbliche e per il 75 da attività private) e farebbe registrare un aumento del 30% rispetto ai tassi storici di investimento calcolati sul periodo 2016-2020.

Ciononostante, questo aumento non è neanche metà di quello che lo “Special Report on Sustainable Recovery“, pubblicato dall’IEA in collaborazione con il Fondo Monetario Internazionale, descrive come necessario per raggiungere obiettivi di decarbonizzazione coerenti con gli accordi di Parigi. Il documento delinea un piano di investimenti di spesa energetica per il triennio 2021-2023 indirizzato ai governi nazionali che ha l’obiettivo di stimolare la crescita economica, creare posti di lavoro e ridurre le emissioni di CO2 verso la traiettoria del net zero entro il 2050. La stima è che l’investimento complessivo necessario per far fronte agli impegni internazionali sia di mille miliardi all’anno. In questo modo, si prevede che nel triennio in considerazione, si potrebbe stimolare la crescita economica globale di 1,1 punti percentuali annui, 9 milioni di posti di lavoro verrebbero creati e le emissioni di gas serra sarebbero ridotte di 3,5 tonnellate. Al contrario, lasciando inalterati i programmi di investimento, dopo il calo registrato in corrispondenza dell’interruzione delle attività produttive dovuta alla pandemia, ci si scontrerà con un nuovo livello record per l’immissione di anidride carbonica nell’atmosfera nel 2023.

Il quadro che ne esce è dunque di uno sforzo insufficiente a livello globale per far fronte all’emergenza climatica e soprattutto molto sbilanciato verso i Paesi ricchi. La spesa media annua in soluzioni sostenibili delle economie avanzate si calcola sia pari a 76 miliardi di dollari, mentre nei Paesi in via di sviluppo si ferma a 8. Ovviamente, gli Stati sono entranti nella crisi economica affrontando vincoli di bilancio differenti e così la maggior parte delle manovre fiscali di quelli più poveri sono state indirizzate a soccorsi di emergenza per le famiglie vulnerabili e verso settori strategici, nonché per misure di sanità pubblica. Così mentre le economie avanzate hanno raggiunto quasi il 60% della spesa pubblica e privata totale suggerita per quelle regioni nel Piano di ripresa sostenibile, le economie emergenti e in via di sviluppo rimangono al 20% dei loro livelli target.

A tal riguardo, il direttore esecutivo dell’IEA Fatih Birol ha dichiarato: “Non solo gli investimenti in energia pulita sono ancora ben lontani da ciò che occorre per mettere il pianeta sulla giusta strada per raggiungere l’obiettivo di emissioni net zero entro la metà del secolo, ma non è neanche abbastanza per evitare che le emissioni raggiungano un nuovo picco”. E ha poi aggiunto che “i governi devono aumentare rapidamente la spesa e l’azione politica per soddisfare gli impegni assunti a Parigi nel 2015, compresa la fornitura vitale di finanziamenti da parte delle economie avanzate al mondo sviluppato”.

Nata a Formia nel 1996 e adottata da Roma nel 2015, ha conseguito la laurea triennale in Scienze economiche presso La Sapienza di Roma con una tesi sperimentale sull’Indice di Sviluppo Umano. Attualmente è borsista presso il Collegio Universitario dei Cavalieri del Lavoro “Lamaro Pozzani” e studentessa del Master of Science in Economics presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata.

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