Rinnovabili: diminuiscono gli investimenti, cresce l’occupazione

immagineIl GSE fa il punto sugli investimenti in impianti da fonti rinnovabili nell’ultimo triennio e le ricadute economiche ed occupazionali che questi hanno determinato. Lo studio di recente presentato, dal titolo “La valutazione delle ricadute economiche e occupazionali dello sviluppo delle fonti energetiche in Italia”, propone infatti, oltre all’andamento del valore investito nel periodo, una stima di quello che è stato – ed è tuttora – l’impatto in termini economici ed occupazionali degli investimenti effettuati, stime che – sottolinea il GSE – sono da ritenersi preliminari e, con ogni probabilità, oggetto di futuri affinamenti una volta che saranno resi disponibili i dati statistici definitivi su potenza installata ed energia prodotta relativi all’anno 2015.

È intanto, però, interessante guardare ai principali andamenti che emergono da una prima analisi. La figura 1 – contenente una rielaborazione dei dati proposti da GSE – mostra come, nel giro di tre anni, gli investimenti in nuovi impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili siano fortemente calati, scendendo dagli oltre 12,5 miliardi di euro nel 2012 a solo 1,7 miliardi di euro nel 2015. Inoltre, va anche notato come si stiano modificando i settori di destinazione degli investimenti: il 2015, infatti, appare essere l’anno in cui, per la prima volta, il fotovoltaico cede il passo all’eolico, settore che catalizza il 40% di quanto complessivamente investito nell’anno. Crescente nel periodo anche l’attenzione verso l’idroelettrico che, quasi nullo nel 2012, cuba invece quasi un quinto degli investimenti nel 2015.

Interessante, poi, è notare come il valore aggiunto associato agli investimenti in nuovi impianti, seppur (fisiologicamente) decrescente al diminuire del valore investito, si sia ridotto ad un tasso inferiore, risultando così, nel 2015, pari ad un valore molto vicino al valore stesso dell’investimento.

grafico 1

Ancor più interessante è il dato che emerge con riferimento all’impatto occupazionale. Questo, infatti, regge nonostante il calo negli investimenti: le ricadute occupazionali permanenti – così come GSE le definisce nello studio, differenziandole da quelle temporanee – hanno a che fare non con le attività di progettazione, sviluppo, installazione e realizzazione degli impianti ma con le successive fasi di esercizio e manutenzione degli impianti esistenti, e che dunque persistono anche in assenza di investimenti in nuovi impianti. Se l’impatto occupazionale temporaneo, dunque, è diminuito di oltre l’80% nel triennio, le ricadute occupazionali permanenti vengono invece stimate, per il solo 2015, in quasi 57.000 ULA (Unità Lavorative Annue), il 18% in più rispetto a soli 3 anni prima.

Come la figura 2 mostra, queste sono concentrate principalmente nel settore fotovoltaico, seguito da idroelettrico e biogas, con una ripartizione tra settori, in termini relativi, sostanzialmente costante nel tempo.

grafico 2

Restano, dunque, di fondamentale importanza per il nostro Paese le rinnovabili, non solo per quanto riguarda l’impatto ambientale, ma anche in termini economici e di occupazione.

Research Fellow dell'Istituto per la Competitività (I-Com). Laureata all’Università Commerciale L. Bocconi in Economia, con una tesi sperimentale sull’innovazione e le determinanti della sopravvivenza delle imprese nel settore delle telecomunicazioni.

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