Biologico o biosimilare? La scelta può essere determinata dal costo dei medicinali e da vincoli burocratici, non solo dall’efficacia del farmaco: questa è solo una parte del quadro emerso dall’indagine di Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato, dal titolo “indagine civica sull’esperienza dei medici in tema di aderenza alle terapie, con focus su farmaci biologici e biosimilari”, alla quale hanno partecipato 816 medici, di cui 404 abilitati alla prescrizione di farmaci biologici e/o biosimilari.
Dalle risposte fornite dal campione di medici abilitati alla prescrizione di biologici/biosimilari è emerso che, davanti ad un paziente che assume per la prima volta questo tipo di medicinale: “quando disponibile sul mercato, il 28% dei professionisti dichiara di prescrivere il farmaco biosimilare nel rispetto di indicazioni regionali; il 24% opta per il biosimilare; il 20% prescrive il medicinale, indifferentemente biologico o biosimilare, che si è aggiudicato la gara d’acquisto o a minor costo. Mentre, il 27% orienta la scelta sul farmaco biologico originatore, dato questo non trascurabile[1].”
Riguardo il tema della sostituzione tra farmaci biologici e biosimilari, è emerso che negli ultimi due anni (2015-2016): il 37% dei medici non ha modificato la terapia in atto per ragioni diverse da necessità cliniche, passando dal biologico ad un altro biologico o un biosimilare, in caso di buona risposta ai medicinali già prescritti; il 31% dei medici ha semplicemente dichiarato di non aver effettuato cambi/sostituzioni, nel periodo di riferimento; il 23% dei medici ha cambiato/sostituito la terapia, passando solitamente dal biologico originatore al farmaco biosimilare.
L’indagine ha inoltre cercato di ricostruire il motivo per cui i medici cambiano/sostituiscono la terapia già in corso. Dalle risposte dei medici è emerso che la scelta è stata effettuata: nel 31% dei casi in libertà e autonomia; nel 29% dei casi per rispondere meglio alle esigenze di cura e di successo delle terapie per il paziente; nel 19% dei casi per rispondere a indicazioni ed esigenze di carattere amministrativo.
Cittadinanzattiva riporta inoltre che “Il 39% dei medici ha dichiarato di cambiare/sostituire la terapia per ragioni diverse da quelle cliniche, per contribuire alla sostenibilità economica del Servizio Sanitario Nazionale (39%) e per rispettare limiti e obiettivi di budget fissati dall’Azienda ospedaliera o dalla ASL (35%). Il 29% dei medici dichiara di cambiare per indisponibilità del farmaco nella struttura. Esiste anche un 28% di professionisti che riferisce di non riscontrare limitazioni e di cambiare una terapia in essere, sostituendo un farmaco biologico con un biosimilare, perché altrettanto efficace e sicuro e quindi intercambiabile.”
Informazioni sui medicinali: la maggior parte dei medici intervistati (68%) ritiene “molto importante” avere informazioni scientifiche per poter cambiare la terapia, il 62% ritiene di aver bisogno di studi e ricerche cliniche riguardanti gli effetti dello switch tra due o più biologici/biosimilari tra loro ed il 57% di atti normativi chiari, nonché consenso unanime dalla comunità scientifica sull’intercambiabilità. Il 49% dei medici vorrebbe inoltre poter scegliere solo in base alle condizioni del paziente.
Continuità terapeutica: il 69% dei medici ha dichiarato di averla garantita “sempre” o “di frequente”, nel 17% dei casi non è stata assicurata qualche volta, mentre il 14% “mai” o “quasi mai” negli ultimi due anni.
L’indagine evidenzia dunque che l’utilizzo di un farmaco biologico/biosimilare può essere influenzato non solo dallo stato di salute del paziente e dall’efficacia del farmaco, ma anche da fattori di tipo economico/amministrativo e dalle informazioni di carattere scientifico che il medico ha a sua disposizione. Tra le principali esperienze “tipo” riportate nell’indagine, ricordiamo infatti che, rispetto a eventuali limitazioni e indicazioni amministrative, il 38% dei medici prescrittori ha dichiarato di dover rispettare il budget, il 28% si è sentito obbligato a dover prescrivere il farmaco aggiudicatario nella gara d’acquisto, mentre al 9% dei medici sarebbe stato detto che avrebbero dovuto pagare la differenza di prezzo (rispetto alla terapia economicamente più vantaggiosa) di tasca propria.