Disoccupazione, la ripresa è ancora lontana. Ma chi ci rimette di più?


Articolo
Giorgia Pelagalli
disoccupazione

Da dicembre 2019 a gennaio 2020 il tasso di disoccupazione è rimasto stabile al 9,8%. Certo notizie non positive per l’Italia, dal momento che si tratta di una percentuale che deriva dall’andamento negativo del numero degli occupati mentre, al tempo stesso, aumentano i casi di disoccupazione e di inattivi rispetto all’ultimo mese dello scorso anno. A rivelarlo è l’Istat, che ha diffuso nei giorni scorsi i dati sul mercato del lavoro in Italia e secondo cui a subire di più le conseguenze delle dinamiche occupazionali sono le donne, i giovani under 35 e i lavoratori temporanei e autonomi.

Secondo i dati dell’istituto di statistica relativi al primo mese del nuovo anno, il livello degli occupati è diminuito di 40.000 unità, ossia lo 0,2% in meno rispetto a dicembre 2019. Allo stesso tempo è aumentato il numero dei disoccupati e degli inattivi, rispettivamente di 5.000 e 20.000 persone. Ed è proprio la flessione del numero di coloro che cercano occupazione a determinare la stabilità del tasso di disoccupazione: il fatto che la variazione congiunturale sia nulla nasconde un Paese scoraggiato, che si attiva sempre meno nella ricerca di un impiego.

Sebbene il calo dell’occupazione interessi sia uomini che donne, di tutte le posizioni professionali e di ciascuna fascia di età (a esclusione di quella che va dai 35 ai 49 anni), sono soprattutto tre le categorie maggiormente colpite da questa spinta al ribasso del mercato. Nel primo caso, sono 30.000 in meno le occupate in Italia mentre aumentano di 27.000 unità le disoccupate e di 6.000 le inattive. Anche per i ragazzi lo scenario non promette bene: il tasso di disoccupazione giovanile è salito dello 0,6%, con 26.000 lavoratori in meno nella fascia di età compresa tra i 15 e i 24 anni (qui la nostra intervista al professor Luciano Monti). Per quanto riguarda le posizioni professionali, invece, nonostante tutte le categorie mostrino variazioni negative nel numero degli occupati, sono in particolare i lavoratori dipendenti a termine e gli indipendenti a subire maggiormente queste dinamiche, con 10.000 e 25.000 posti di lavoro in meno.

Un calo dell’occupazione, questo, che conferma i numeri già registrati negli scorsi trimestri. Nel dettaglio, tuttavia, se confrontiamo i periodi novembre 2019-gennaio 2020 e agosto-ottobre 2019, la tendenza negativa appare più lieve. L’analisi di questo orizzonte temporale mette in evidenza un generico aumento delle persone in cerca di occupazione (26.000 in più), confermato anche dal confronto tra gennaio 2019 e gennaio 2020, periodo in cui gli inattivi si sono ridotti dello 0,4%. Tuttavia, i dati sono ancora più rassicuranti se si prende in considerazione l’intero anno: quello che emerge è un aumento del tasso di occupazione dello 0,4%, la riduzione di quello di disoccupazione dello 0,6 e la stabilità del tasso di inattività.

Secondo i dati Eurostat, l’Italia si posiziona agli ultimi posti nella classifica europea: con un tasso di disoccupazione del 9,8%, il nostro Paese supera di molto sia la media Ue del 6,6% sia quella dell’area euro del 7,4. Fanno peggio di noi solo Spagna (13,7%) e Grecia (16,5%). Anche il 29,3% di disoccupazione giovanile ci pone ben al di sopra della media europea, che si attesta al 15,6% nell’eurozona e al 14,9 tra i 27 Stati membri. A gennaio 2020 i Paesi con il mercato del lavoro più sano risultano essere Repubblica Ceca (con la disoccupazione al 2%), Polonia (2,9%) e Paesi Bassi (3%).

Il presidente della Fondazione ADAPT – l’associazione che si occupa di studi internazionali sul diritto del lavoro – Francesco Seghezzi ha sottolineato come dalle evidenze empiriche non sia emerso l’effetto del reddito di cittadinanza. Questo provvedimento, che a dicembre 2019 interessava già oltre un milione di persone, avrebbe dovuto incentivare la popolazione alla ricerca di un impiego e quindi ridurre il numero degli inattivi a favore dei disoccupati prima, e degli occupati poi. Inoltre, il fatto che questi dati emergano in un contesto di emergenza sanitaria fa presagire ulteriori complicazioni nel mercato del lavoro. Secondo Seghezzi, queste dinamiche sono da interpretare in un conteso di difficoltà strutturale e non momentanea. Per questo è necessario porre nuovamente al centro del dibatto politico il tema del lavoro, con l’obiettivo di “accompagnare i lavoratori nelle transizioni occupazionali e per generare nuovi investimenti in lavoro di qualità”.

Giorgia PELAGALLI
Nata a Formia nel 1996 e adottata da Roma nel 2015, ha conseguito la laurea triennale in Scienze economiche presso La Sapienza di Roma con una tesi sperimentale sull’Indice di Sviluppo Umano. Attualmente è borsista presso il Collegio Universitario dei Cavalieri del Lavoro “Lamaro Pozzani” e studentessa del Master of Science in Economics presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata.

No posts to display