Negli ultimi anni la medicina personalizzata è passata da visione futuristica a realtà clinica concreta. Basata sulla comprensione del profilo genetico e molecolare dei pazienti, rappresenta una rivoluzione silenziosa che sta ridisegnando la logica della cura: non più un trattamento “per tutti”, ma una terapia su misura, calibrata sull’individuo.
La spinta più recente arriva dal rapporto 2025 dell’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) che evidenzia come oltre 200 terapie geniche e cellulari siano oggi in fase di sviluppo clinico e circa 30 già approvate nel mercato europeo. È il segnale di un cambiamento di paradigma che va oltre la farmacologia: l’idea stessa di salute entra in una dimensione predittiva, preventiva e personalizzata.

Come sottolineato dalla commissaria europea alla salute Stella Kyriakides, l’obiettivo è costruire un’Europa “capace di curare meglio e prima”, riducendo gli effetti delle patologie croniche e migliorando l’efficacia delle risorse sanitarie. Tuttavia, dietro la promessa scientifica si cela una questione cruciale: come garantire equità, sostenibilità e sicurezza in un sistema sanitario pubblico come quello italiano?

Il rischio, oggi, è che la medicina personalizzata diventi una medicina “di nicchia”: potente ma costosa, accessibile solo a pochi. L’Italia, con la sua struttura universalistica, è chiamata a bilanciare la spinta all’innovazione con la necessità di mantenere coesione sociale e pari opportunità di cura. È una sfida che tocca non solo la politica sanitaria, ma la cultura stessa della medicina.

I DATI GENETICI COME NUOVA INFRASTRUTTURA DELLA SALUTE

Alla base della medicina personalizzata c’è un elemento immateriale ma fondamentale: il dato genetico. L’Unione europea ha deciso di considerarlo una vera e propria “infrastruttura sanitaria comune”, promuovendo la creazione di reti e database integrati in grado di sostenere la ricerca, la diagnosi e la terapia.
Nel quadro del “European Health Data Space” (EHDS), approvato nel 2024, Bruxelles ha fissato l’obiettivo di permettere entro il 2030 a oltre 40 milioni di cittadini europei di avere un profilo genomico disponibile e integrabile con i dati clinici e ambientali. È un passo storico verso la medicina predittiva, che mira a riconoscere precocemente le predisposizioni genetiche a malattie cardiovascolari, oncologiche o rare, e a sviluppare percorsi terapeutici mirati.

Ma la creazione di un ecosistema basato sui dati genetici porta con sé nuovi dilemmi etici e tecnologici. Chi gestisce questi dati? Chi decide come utilizzarli, e con quali garanzie di privacy? Secondo l’OECD Health Data Governance Report 2024, meno della metà dei paesi europei dispone di regole pienamente operative sulla condivisione sicura dei dati genomici, e il rischio di “asimmetrie informative” tra centri di ricerca e autorità pubbliche rimane elevato.

In Italia il tema è ancora in fase di definizione. Esistono esperienze pilota di grande rilievo, come il progetto “Genoma Italiano” coordinato dal Ministero della Salute con l’Istituto Superiore di Sanità e l’Università di Tor Vergata, o i programmi clinici del Policlinico Gemelli e dell’IRCCS Sant’Orsola. Tuttavia, manca ancora una governance nazionale strutturata capace di integrare le banche dati genomiche con i sistemi informativi regionali, creando una rete realmente interoperabile.

La medicina del futuro, infatti, sarà tanto più efficace quanto più riuscirà a collegare i dati genetici alle informazioni cliniche, ambientali e comportamentali. Un paziente non è solo il suo genoma: la personalizzazione vera si gioca nella capacità di leggere le interazioni tra biologia, stili di vita e ambiente. È qui che si misura la distanza tra il potenziale scientifico e la realtà organizzativa dei sistemi sanitari.

L’IMPATTO ECONOMICO E REGOLATORIO DELLE TERAPIE PERSONALIZZATE

Le terapie personalizzate rappresentano un salto tecnologico e clinico, ma anche una sfida di sostenibilità economica senza precedenti. Il costo medio di una terapia genica varia tra 500.000 e 2 milioni di euro per singolo paziente, con casi emblematici un trattamento per l’atrofia muscolare spinale che supera i 2 milioni di euro a trattamento.
Queste cifre non sono eccezioni: il prezzo delle terapie avanzate riflette la complessità della ricerca, la limitata popolazione target e i costi di produzione, ma pongono interrogativi profondi sulla capacità dei sistemi sanitari pubblici di sostenerle nel tempo.

Secondo l’OECD Health Working Paper “Pricing of Advanced Therapies” (2024), i paesi che hanno introdotto meccanismi di rimborso basati sui risultati clinici (pay-for-performance) registrano un uso più razionale delle risorse e una maggiore trasparenza nei costi. Tuttavia, la mancanza di standard condivisi e la difficoltà di monitorare gli outcome reali rischiano di rallentare la diffusione di questi strumenti.

Nel caso italiano AIFA sta sperimentando modelli di payment by results e registry-based monitoring, ma la loro applicazione rimane disomogenea. La lentezza nell’accreditamento dei centri e la frammentazione regionale complicano il percorso di accesso. È un paradosso: la medicina personalizzata nasce per adattarsi al singolo, ma rischia di scontrarsi con un sistema che fatica a essere flessibile.

Eppure, non è solo una questione di costi. La medicina personalizzata può generare ritorni economici rilevanti se inserita in una strategia di sistema. L’OECD stima che ogni euro investito in terapie e strumenti che migliorano l’aderenza e la precisione delle cure possa restituire fino a quattro euro in risparmi indiretti, grazie alla riduzione delle complicanze e delle ospedalizzazioni evitabili.
In questa prospettiva, la sfida non è frenare l’innovazione, ma governarla con visione, costruendo un equilibrio tra valore terapeutico, sostenibilità e accesso equo.

LE OPPORTUNITÀ PER L’ITALIA

Per l’Italia, la medicina personalizzata rappresenta una frontiera strategica sia dal punto di vista scientifico che industriale. Il Paese può contare su un solido sistema di ricerca biomedica, una rete di IRCCS altamente specializzati e una filiera farmaceutica tra le più avanzate d’Europa. Tuttavia, il potenziale di queste risorse è spesso frammentato e non pienamente valorizzato.

Un primo passo potrebbe essere l’integrazione della medicina personalizzata nelle politiche del PNRR, in particolare nella Missione 6 Salute, che prevede investimenti in digitalizzazione, biobanche e reti cliniche. Rafforzare i centri di riferimento per la genomica clinica e la condivisione sicura dei dati sanitari significherebbe non solo attrarre ricerca e finanziamenti, ma anche migliorare la capacità del Servizio Sanitario Nazionale di rispondere ai bisogni dei pazienti con malattie rare e croniche complesse.

Dal punto di vista regolatorio, l’AIFA e l’Istituto Superiore di Sanità stanno già muovendo passi importanti per aggiornare i criteri di valutazione dell’efficacia e del costo-beneficio. Tuttavia, serve un approccio più organico che preveda anche formazione specialistica per il personale sanitario, percorsi di educazione genomica per i cittadini e un coinvolgimento strutturato dei pazienti nei processi decisionali.
L’esperienza europea mostra che i paesi che investono precocemente in alfabetizzazione genetica riducono il divario di accesso e aumentano la fiducia nella ricerca.

Sul piano clinico, l’integrazione dei dati genomici con quelli epidemiologici e ambientali può trasformare la medicina personalizzata anche in uno strumento di prevenzione secondaria, riducendo i costi di trattamenti inefficaci e migliorando l’allocazione delle risorse. In quest’ottica, l’innovazione non è più solo un costo, ma un investimento nella sostenibilità del sistema sanitario nel lungo periodo.

LA CURA COME INVESTIMENTO ETICO

La medicina personalizzata costringe la sanità a una riflessione profonda: può una terapia essere davvero innovativa se resta inaccessibile alla maggioranza?
L’equilibrio tra progresso scientifico e giustizia sociale è oggi il punto più delicato della transizione sanitaria europea. La capacità di conciliare equità e innovazione determinerà non solo la competitività del sistema, ma anche la sua universalità.

La sfida è duplice. Da un lato, servono modelli di governance europei che garantiscano interoperabilità dei dati, trasparenza nei prezzi e criteri comuni di valutazione del valore terapeutico. Dall’altro, occorre una visione culturale che restituisca al concetto di cura una dimensione etica e collettiva. La medicina del futuro dovrà essere personalizzata, sì, ma anche partecipata, in grado di valorizzare il contributo dei pazienti, dei professionisti e delle istituzioni.

In questo senso, l’Italia può giocare un ruolo di avanguardia, coniugando la tradizione di universalismo sanitario con la spinta all’innovazione tecnologica. È una sfida complessa, ma non impossibile: trasformare la medicina personalizzata da privilegio per pochi in una risorsa per tutti.
Perché, in fondo, la vera innovazione non è solo quella che allunga la vita, ma quella che la rende più equa, sostenibile e condivisa.