Settembre segna un momento cruciale per la sanità italiana. Dopo la pausa estiva, il sistema sanitario entra in un quadrimestre denso di sfide, in cui non si tratta solo di risolvere le criticità, quanto di capire se le strategie avviate stanno producendo i primi effetti concreti.

L’Italia parte da un contesto complicato: investe circa il 8% del PIL in sanità, contro una media UE del 9%. La spesa pro capite resta tra le più basse in Europa, al di sotto dei 3.000 euro l’anno, molto lontana dai 5.000 della Germania o dai 4.500 della Francia. Le ripercussioni sono profonde: ospedali sotto pressione, tempi di attesa lunghi e difficoltà a finanziare innovazione e prevenzione.

Il quadro epidemiologico non è rassicurante: secondo l’OCSE, oltre il 40% del carico di malattia in Europa è attribuibile a comportamenti modificabili come fumo, sedentarietà, alcol e cattiva alimentazione. Questo dato da solo spiega perché il sistema sanitario debba muoversi su un doppio binario: rispondere all’urgenza – liste d’attesa, carenza di personale, nuove terapie costose – e investire nella prevenzione per ridurre i costi futuri.

I prossimi mesi rappresentano un test importante: capiremo se i fondi del PNRR, il Piano nazionale per le liste d’attesa e i progetti di digitalizzazione sono strumenti sufficienti per costruire una traiettoria più sostenibile.

LISTE D’ATTESA: IL VERO BANCO DI PROVA

Le liste d’attesa rappresentano da anni una delle maggiori fragilità del Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Secondo il Monitoraggio Ministeriale di luglio 2025, oltre 4 milioni di italiani sono in attesa di un esame diagnostico o di una visita specialistica. Le disparità territoriali restano evidenti: in Lombardia, per una risonanza magnetica l’attesa media è di 90 giorni, in Veneto si scende a 70 giorni, in Calabria e Sicilia, si può superare un anno.

Il Governo ha già varato il Piano nazionale per l’abbattimento delle liste d’attesa, che prevede:

  • 1,2 miliardi di euro di risorse dedicate, tra PNRR e Fondo Sanitario Nazionale;

  • L’apertura di poli ambulatoriali ad alta intensità, operativi anche nei weekend;

  • L’attivazione di un sistema di prenotazione interoperabile per favorire la mobilità tra regioni;

  • Incentivi ai professionisti per estendere gli orari di attività.

Alcune Regioni hanno sperimentato l’utilizzo di strutture private accreditate per smaltire gli arretrati, ma questa soluzione rischia di essere sostenibile solo nel breve periodo. Per capire se il piano funziona, sarà cruciale monitorare due indicatori chiave entro dicembre 2025. Parliamo della riduzione effettiva dei tempi medi di attesa e della percentuale di prestazioni aggiuntive erogate rispetto agli anni precedenti.

L’impatto sulla salute pubblica è enorme: ritardi diagnostici significano diagnosi tardive e costi più alti, soprattutto per patologie oncologiche e cardiovascolari. In assenza di segnali di miglioramento, il problema rischia di cronicizzarsi ulteriormente.

LA CARENZA DI PERSONALE: TRA PENSIONAMENTI E NUOVE ASSUNZIONI

Le sfide non finiscono qui. Secondo l’ANAAO, da qui al 2030 mancheranno 40.000 medici specialisti e 65.000 infermieri. Le cause principali sono i pensionamenti massicci dovuti all’alta età media del personale, la formazione insufficiente di nuovi professionisti e, in ultimo ma non per importanza, la concorrenza del settore privato e dell’estero.

Ad oggi, l’Italia ha circa 4,1 medici ogni 1.000 abitanti, in linea con la media UE, ma oltre il 55% ha più di 55 anni: il problema non è tanto la quantità, quanto l’invecchiamento della forza lavoro. Il Governo ha annunciato un piano per 12.000 nuove assunzioni entro fine 2025, ma le procedure concorsuali stanno rallentando l’attuazione. Inoltre, sono stati previsti incentivi economici per medici e infermieri che operano in aree carenti, insieme a un piano per potenziare la medicina territoriale.

Questo aspetto è cruciale: senza rafforzare i servizi territoriali e le Case di Comunità previste dal PNRR, gli ospedali continueranno a essere sovraccaricati. Il quadrimestre che ci separa da fine anno servirà a verificare se l’ampliamento dell’organico sta realmente partendo o se resterà bloccato dalla burocrazia.

PREVENZIONE: L’INVESTIMENTO CHE NON PUÒ PIÙ ATTENDERE

Se c’è un ambito in cui l’Italia deve cambiare passo, è la prevenzione. Secondo l’OCSE, circa il 40% del carico di malattia in Europa deriva da comportamenti modificabili, come fumo, alimentazione scorretta, sedentarietà e abuso di alcol. Eppure, nonostante la consapevolezza dell’impatto di questi fattori sulla salute pubblica, l’Italia continua a destinare alla prevenzione solo il 4,2% della spesa sanitaria totale (dati Ministero della Salute, 2025), una quota decisamente inferiore rispetto alla media europea, che si aggira intorno al 6%.

Gli studi dimostrano che ogni euro investito in prevenzione può generare un ritorno economico significativo, con un risparmio medio stimato tra 2 e 5 euro secondo l’OECD Health at a Glance 2023. L’efficacia di questo approccio è evidente anche guardando ad alcune aree specifiche: i programmi scolastici per la prevenzione del diabete di tipo 2, ad esempio, hanno ridotto l’incidenza della malattia del 25%, mentre gli screening oncologici hanno dimostrato di essere in grado di restituire risparmi fino a quattro volte superiori al costo sostenuto.

Tuttavia, aumentare le risorse economiche non basta: è necessario integrare la prevenzione nei percorsi di cura e superare le profonde disuguaglianze territoriali. In Italia, la copertura vaccinale per l’HPV negli adolescenti, ad esempio, supera il 70% in alcune regioni, mentre in altre non raggiunge neppure il 40%. Lo stesso scenario si ripete per gli screening oncologici, dove le differenze di accesso possono superare i 25 punti percentuali tra Nord e Sud.

Il banco di prova dei prossimi mesi sarà rappresentato dall’attuazione dei nuovi Piani Regionali della Prevenzione e dall’efficace utilizzo dei fondi PNRR destinati a promuovere stili di vita più sani. La sfida non riguarda solo il volume delle risorse investite, ma anche la capacità di costruire strategie coerenti e coordinate, in grado di avere un impatto omogeneo su tutto il territorio nazionale.

DIGITALIZZAZIONE E INTELLIGENZA ARTIFICIALE: UNA SANITÀ CHE CAMBIA

La transizione digitale della sanità italiana rappresenta uno dei pilastri del PNRR, ma il percorso procede con lentezza e tra forti differenze regionali. L’obiettivo è ambizioso: realizzare una Piattaforma nazionale di telemedicina pienamente operativa e potenziare il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) entro il 2026. Tuttavia, ad oggi, solo 15 regioni hanno completato l’attivazione del FSE e meno del 25% dei cittadini lo utilizza regolarmente per consultare i propri referti o gestire le prescrizioni.

Anche sul fronte delle infrastrutture ospedaliere, la situazione resta frammentata: le dotazioni digitali variano notevolmente e la standardizzazione dei sistemi è ancora lontana. Questa disomogeneità rallenta l’integrazione delle piattaforme e limita la possibilità di costruire percorsi assistenziali realmente continui tra ospedale e territorio.

L’intelligenza artificiale (IA), però, sta aprendo nuove possibilità di miglioramento. Algoritmi di analisi avanzata consentono già oggi di interpretare immagini radiologiche in tempi ridotti, di stimare con maggiore accuratezza il rischio di ricovero e di personalizzare le terapie in base alle caratteristiche individuali del paziente. Secondo l’OCSE, l’uso sistematico di soluzioni di IA nella diagnostica potrebbe abbattere i tempi di interpretazione delle immagini diagnostiche fino al 40%, riducendo significativamente le liste d’attesa per alcune prestazioni.

Nonostante il potenziale, restano sfide importanti: servono competenze tecniche avanzate tra medici e operatori sanitari, protocolli chiari per l’interoperabilità delle piattaforme e, soprattutto, garanzie solide sulla sicurezza e la gestione dei dati sensibili. Il Piano Nazionale per la Sanità Digitale, atteso nei prossimi mesi, dovrà definire standard condivisi, priorità di investimento e meccanismi per colmare i divari territoriali.

Se implementata in modo efficace, la digitalizzazione potrebbe trasformare radicalmente il sistema sanitario: permetterebbe di ottimizzare l’uso delle risorse, ridurre la duplicazione di esami e favorire una continuità di cura più fluida. Inoltre, grazie alla telemedicina e all’IA, i tempi di diagnosi potrebbero ridursi in maniera sostanziale, migliorando l’accesso alle cure e la qualità dell’assistenza.

CONCLUSIONI

Il finanziamento della sanità italiana è sotto crescente pressione. Negli ultimi anni, la spesa sanitaria pubblica ha registrato un incremento medio annuo del 3,5%, ma senza riforme strutturali rischia di diventare insostenibile. Le proiezioni dell’OCSE indicano che, senza interventi correttivi, entro il 2030 la spesa sanitaria potrebbe superare il 7,5% del PIL solo per mantenere gli attuali livelli di assistenza.

Le sfide sono molteplici e strettamente interconnesse. L’aumento del costo delle terapie innovative, soprattutto in ambito oncologico e per le malattie rare, pesa in modo significativo sui bilanci regionali. Allo stesso tempo, la crescita esponenziale delle patologie croniche – che già oggi coinvolgono oltre 24 milioni di italiani – richiede un’assistenza costante, capillare e sempre più complessa. A questo si aggiunge l’invecchiamento della popolazione e la progressiva riduzione della base occupazionale, fattori che rendono più difficile garantire la sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale.

In questo scenario, diversi esperti indicano come strada necessaria quella di ripensare i modelli di governance sanitaria adottando un approccio basato sul valore. I modelli di value-based healthcare, già in sperimentazione in alcune regioni come l’Emilia-Romagna, prevedono che le risorse vengano allocate non sulla base del numero di prestazioni erogate, ma degli outcome clinici ottenuti. Questo approccio, oltre a favorire l’efficienza, incentiva l’adozione di terapie innovative realmente efficaci, evitando sprechi e interventi a basso impatto.

I prossimi mesi saranno determinanti anche sotto il profilo normativo. La Legge di Bilancio 2026, attualmente in fase di definizione, stabilirà le risorse per il triennio successivo e rappresenterà un momento cruciale per capire se l’Italia sceglierà di puntare su un rafforzamento strutturale del Fondo Sanitario Nazionale oppure continuerà a procedere con misure straordinarie e frammentate.