Negli ultimi anni è stata più volte sottolineata a livello internazionale l’importanza del tema della sostenibilità alimentare al fine di sensibilizzare le famiglie ad un consumo più consapevole e, allo stesso tempo, favorire modifiche normative per abilitare una maggiore efficienza produttiva e distributiva degli alimenti stessi.
Da recenti studi effettuati dalla Commissione europea – richiamati nella risoluzione al Parlamento europeo del 19 gennaio 2012 su come evitare lo spreco di alimenti – è emerso infatti che ogni anno in Europa una crescente quantità di cibo sano e commestibile – stimata fino al 50% – si perde lungo la catena agroalimentare, trasformandosi, nella maggior parte dei casi, in rifiuti. Un dato impressionante se si considera che, nel solo territorio UE, quasi 80 milioni di persone vivono ancora al di sotto della soglia di povertà (oltre il 15% dei cittadini percepisce un reddito inferiore al 60% del reddito medio del paese di residenza), numero destinato a crescere ulteriormente a causa del perdurare della crisi economica. Queste ed altre considerazioni legate al sovradimensionamento dell’offerta rispetto alla domanda (tra cui figurano questioni ambientali) lasciano intendere che in futuro potrebbero essere studiate strategie mirate a contenere il fenomeno.
Il tema della sostenibilità alimentare è inoltre strettamente legato agli obblighi legali sulla commercializzazione dei prodotti, imposti al fine di assicurare elevati livelli qualitativi e di sicurezza alimentare. Tra le indicazioni obbligatorie da trascriversi sulle confezioni dei prodotti alimentari, infatti, figurano due tipologie di informazioni: Il Termine Minimo di Conservazione (TMC) e la data di scadenza. Il TMC è un’informazione obbligatoria, imposta dalla normativa europea e nazionale (art. 10 del d.lgs. 196/1992), che indica la data entro la quale il prodotto alimentare conserva le sue proprietà specifiche in adeguate condizioni di conservazione. Il TMC può essere espresso in tre modi a cui corrispondono differenti periodi di conservazione successivi alla scadenza del termine: 1) Indicazione del giorno e del mese = conservazione inferiore a tre mesi; 2) indicazione del mese e dell’anno = conservazione superiore a 3 mesi e inferiore a 18 mesi; 3) indicazione del solo anno = conservazione per più di 18 mesi. In questi casi, il legislatore lascia un margine di arbitrio al consumatore finale nella scelta di consumo in base ad elementi concreti (odore, colore, ecc.) per stabilire l’effettiva commestibilità del prodotto. Il TMC è, invece, sostituito dalla data di scadenza nel caso di prodotti alimentari preconfezionati rapidamente deperibili dal punto di vista microbiologico e che, quindi, dopo breve tempo, possono costituire un pericolo per la salute del consumatore (art. 10-bis, d.lgs. 196/1992). In entrambi i casi, la commercializzazione dei prodotti alimentari non sono commercializzabili – né è possibile praticare sconti in prossimità del termine – ed è prevista una sanzione amministrativa per i contravventori.
L’argomento in esame è divenuto ancor più di attualità grazie alla recente iniziativa del governo greco (la prima di questo tipo in Europa) che consente la vendita in spazi dedicati anche a prodotti che hanno superato il “Termine Minimo di Conservazione” ad un prezzo inferiore al 50%., Obiettivo della norma è contrastare la crisi andando incontro ai produttori, che possono vendere prodotti altrimenti destinati alla distruzione, prevedendo tuttavia un limite oltre il TMC, e ai consumatori visti gli sconti a cui sono sottoposti i prodotti.
Nonostante le rassicurazioni delle autorità greche sulla assenza di pericoli per la salute dei consumatori, il provvedimento greco è stato da più parti giudicato potenzialmente rischioso per la salute dei consumatori. Infatti, la standardizzazione legale dei tempi di commercializzazione oltre il TMC ha il difetto di ingenerare aspettative di garanzia sulla sicurezza del prodotto, mentre tale aspetto risulta fortemente variabile a seconda della tipologia di prodotto e delle modalità di conservazione.
Ci si interroga dunque se l’approccio del governo greco possa essere replicabile anche negli altri paesi membri, o se, in alternativa, sia più opportuno concentrare risorse e impegno politico verso una strategia di educazione al consumo informato e responsabile.