Luci ed ombre del mercato cinematografico italiano

Il 9 luglio scorso presso il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo è stato presentato il rapporto “Il Mercato e l’Industria del Cinema in Italia” curato dalla Fondazione Ente dello Spettacolo in partnership con la Direzione Generale del Cinema. Una occasione preziosa per fare il punto sui punti di forza e di debolezza del settore cinematografico nel nostro Paese in un contesto in forte evoluzione sotto la spinta della moltiplicazione delle forme di fruizione del prodotto cinematografico e audiovisivo. Più di 20 i relatori intervenuti durante la presentazione del rapporto che offre un articolato quadro economico del cinema e, in generale, del settore audiovisivo in Italia, sottolineando anche l’andamento economico-produttivo delle principali industrie culturali internazionali. Il 2013, giova ricordarlo, verrà ricordato come l’anno di due eventi molto significativi per il mercato e l’immagine del nostro cinema all’estero. Ci riferiamo all’Oscar al film prodotto da Indigo La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino e al record registrato da Checco Zalone con Sole a Catinelle che grazie agli 8 milioni di spettatori è diventato il film più visto in assoluto superando persino Avatar. Risultato che ha “salvato” il botteghino nazionale con i suoi circa 52 milioni di euro di incasso (nei primi 3 mesi era già arrivato ad 8 milioni di spettatori) consentendo di parlare di una “annata eccezionale” che ha portato ad un box office complessivo di 188 milioni di euro (erano 153 nel 2012), innalzando la quota di mercato nazionale di ben 5 punti dal 25 al 30%.  Altro elemento (parzialmente) positivo è legato alla crescita dei titoli immessi nel mercato distributivo: nel circuito Cinetel, tra il 2012 e il 2013 si è passati da 833 a 979 pellicole (+13,7%). Accanto a queste luci, sono ancora molte le ombre che si addensano sul comparto, quasi tutte legate a debolezze strutturali del sistema economico che ruota attorno alla filiera. Al primo posto va segnalata la preoccupante contrazione degli investimenti a sostegno delle imprese: in un solo anno (tra il 2012 e il 2013) l’ammontare  è sceso da 493,1 a 357,6 milioni di euro generando un impatto diretto sul costo medio dei film che ormai in Italia si aggira intorno ai 2,1 milioni di euro (cifra che scende a 1,69 milioni per le pellicole al 100% nazionali) con evidenti conseguenze negative sulla qualità delle opere realizzate e sull’impiego di risorse umane. A ciò si aggiunga il calo delle risorse pubbliche nazionali: nel 2013 dal Fondo Unico dello Spettacolo sono giunti poco più di 90 milioni di euro tra sostegni diretti e indiretti (tax crdit), circa 10 in meno rispetto all’anno precedente.

Ma il “grido di dolore” (così si è espresso l’Amministratore Delegato di Luce Cinecittà Roberto Cicutto) maggiormente dibattuto è stato  quello connesso alla lievitazione delle opere prime e seconde che nel 2013 hanno toccato quota 453 rispetto alle 364 del 2012 (+ 25%). A prima vista la crescita dei debutti potrebbe essere letta come una positiva attenzione verso i giovani autori e talenti; in realtà la maggior parte di queste opere, pur valorizzate ed apprezzate all’interno dei più importanti festival internazionali, non riesce ad approdare in sala e quando ciò avviene i risultati sono molto negativi (teniture sempre più ristrette) generando incassi risibili che non consentono minimante di recuperare gli investimenti effettuati. Si tratta di un nodo distributivo che è strettamente connesso ad un altro anello debole del nostro sistema, ovvero la progressiva “desertificazione” delle sale di città. Basi pensare che nel 2006 le monosala attive erano 713. Nel 2013 sono passate a 530. Guardando agli incassi questa tipologia di struttura ha perso quasi il 40 % delle risorse dal 2006 al 2013 (a vantaggio dei multiplex che ormai coprono oltre il 50% del mercato) pregiudicando la diffusione dei “film difficili” o “ a debole capacità produttiva” ovvoero quei titoli che presentano uno scarso appeal commerciale.

Nonostante gli sforzi a livello di sostegno pubblico nazionale e regionale per garantire a tutte le sale il passaggio al digitale, la chiusura o il ridimensionamento di un pezzo importante dell’esercizio sta provocando una trasformazione radicale dell’assetto distributivo con inevitabili ripercussioni non solo sul tessuto socio- urbano ma anche sulle linee editoriali e sul grado di diversificazione dei generi. Il rischio ovviamente è quello di un pericoloso appiattimento dell’offerta produttiva.

Questo è il motivo per cui sarebbe opportuno riorientare maggiormente gli investimenti verso gli altri pezzi della catena del valore rivolgendo maggiore attenzione alla fase dello sviluppo e della promozione e distribuzione cercando di evitare il più possibile una sterile proliferazione di titoli che non hanno chance di raggiungere il pubblico. Da qui a ragionare anche attorno a nuovi modelli di business che guardino alla possibilità di rivedere le attuali finestre distributive e di rafforzare le offerte legali di servizi video on demand il passo è breve.

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