L’educazione europea di Matteo Renzi

Come tanti altri soggetti con la nostra stessa mission, I-Com si è esercitata in molte analisi e suggerimenti rivolti al Governo in vista della Presidenza italiana del Consiglio dell’Unione Europea.

Ufficialmente i bilanci sono rinviati al 13 gennaio, allorché Matteo Renzi parlerà al Parlamento europeo e traccerà un resoconto del semestre a guida italiana, passando idealmente il testimone alla Presidenza lettone che sarà poi seguita nella seconda metà dell’anno da quella lussemburghese.

Ma evidentemente i titoli di coda sono già scorsi in occasione dell’ultimo Consiglio UE, tenutosi il 18 dicembre. E che ha fatto registrare quello che probabilmente passerà alla storia come il principale successo della Presidenza italiana, la creazione di un Fondo europeo per gli investimenti strategici (Efsi) per dare maggior vigore alla ripresa economica che langue in tutta Europa, a cominciare dai grandi malati Francia e Italia. In più, per la prima volta, la Germania ha permesso lo scomputo dal Patto di stabilità dei contributi in conto capitale al Fondo. Per ora si sta parlando di una goccia nell’oceano o al più di un secchiello d’acqua (21 miliardi di risorse disponibili) e, in attesa di definire governance e modalità di investimento, nessun Paese sembra particolarmente interessato a contribuire al Fondo. Inoltre, per racimolare le poche risorse a disposizione si sono sottratti 2,7 miliardi di euro a Horizon 2020, il programma settennale europeo per la ricerca. Nei prossimi mesi si capirà dunque se la spinta italiana sia destinata a infrangersi nella palude di Bruxelles o nei tanti stagni nazionali oppure sia, come si augura il nostro Governo, la miccia capace di provocare una piccola grande rivoluzione della governance economica del continente.

Se quella di un allentamento delle catene dell’austerità è stata la principale e forse unica priorità della Presidenza italiana, cosa rimane del resto? Probabilmente molto poco. Per diverse ragioni.

Intanto, il turnover di tutte le principali istituzioni europee (Parlamento, Commissione e Consiglio) limitava sul nascere la possibilità di chiudere o realizzare significativi passi in avanti sui principali dossier di policy. In più, la scarsa preparazione di un Governo appena insediatosi (poco più di quattro mesi prima l’inizio del semestre) non ha certo giovato. E poi, si potrebbe obiettare, chi si ricorda un semestre che abbia raggiunto negli ultimi anni risultati memorabili?

Tutto questo è verissimo, con due parziali eccezioni che, a discolpa dell’attuale Esecutivo, ci trasciniamo da tempo immemorabile e sulle quali, tuttavia, non si sono registrati particolari avanzamenti prima o durante il semestre e che speriamo possano rappresentarne la principale lezione per l’attuale Governo, grazie all’esperienza guadagnata sul campo.

In primo luogo, occorre davvero riflettere strategicamente su quale sia l’interesse dell’Italia in Europa, al di là del rilassamento dei vincoli di bilancio (che tuttavia vale la pena ottenere solo se poi si ha un piano chiaro e soprattutto corretto di come sfruttare i maggiori gradi di libertà). Poco ad esempio si è detto e fatto durante il semestre a favore del settore manifatturiero o verso aree geografiche come quella mediterranea.

Inoltre, continua a languire la presenza italiana nelle posizioni di vertice delle istituzioni comunitarie. Le grandi strategie europee si decideranno pure nei Consigli ma sempre più sono preparate e implementate nelle stanze di quei burocrati più volte presi di mira durante il suo Governo da Matteo Renzi. Le critiche possono andar bene nel breve periodo per mettere sulla difensiva chi non si considera amico e al contempo strappare qualche applauso, nel lungo occorre pensare anche alle proposte e a come riempire ruoli chiave per il nostro Paese.

E’ inevitabile che su questi due binari la velocissima educazione europea, alla quale è stato costretto il premier italiano, potrà dare i suoi migliori frutti in futuro. Soprattutto se vogliamo non farci assegnare i compiti da altri ma semmai contribuire a cambiare l’Europa, anche senza il semestre di presidenza. Che per la cronaca, nella migliore delle ipotesi, riavremo tra più di 14 anni.        

Presidente di I-Com, Istituto per la Competitività, think tank che ha fondato nel 2005, con sede a Roma e a Bruxelles (www.i-com.it). Docente di economia politica e politica economica nell’Università Roma Tre.

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