A giudicare dal numero e dalla portata degli accadimenti che hanno scosso il mondo dei media in queste ultime settimane siamo convinti che le principali aziende del settore – per meglio dire i loro manager di punta – non abbiano trascorso un’estate tranquilla sotto l’ombrellone o in riva ad un lago di montagna. Se lo hanno fatto avranno avuto i propri roventi smartphone sempre a portata di mano.
L’effetto dirompente determinato dall’incremento del traffico video sulla rete continua ad essere il tema centrale per lo sviluppo non solo del mercato dell’online entertainment, ma dell’intero sistema dei contenuti audiovisivi sempre più convergente ed integrato. Tralasciando le operazioni internazionali – dallo sbarco di Apple nel mercato dei contenuti televisivi al varo di canali pay sul principale aggregatore di contenuti video (Youtube, la cui casa madre nel frattempo ha cambiato nome e logo)- concentriamoci su alcune mosse (e contromosse) rilevanti giocate sull’italica scacchiera audiovisiva.
Come non esordire con Netflix. E’ iniziato il conto alla rovescia per il suo sbarco in Italia. La strategia nel breve periodo del leader dello streaming audiovisivo on demand non è solo quello di massimizzare i ricavi quanto giungere alla soglia di 200mila abbonati italiani nel giro di un biennio. Che poi è lo stesso obiettivo di Mediaset Premium che punta in questo modo a superare i 2 milioni di abbonati complessivi. A proposito del gruppo di Cologno Monzese, a meno di improbabili ripensamenti dell’ultima ora, tra qualche giorno (esattamente lunedì 7 settembre), i tre canali generalisti di Mediaset non saranno più visibili sulla piattaforma Sky. Decisione assunta dal Biscione per il fermo rifiuto da parte del broadcaster guidato da Zappia di pagare una adeguata fee per i cosiddetti diritti di ritrasmissione. Sky non teme un indebolimento dei propri ascolti (la piattaforma satellitare vale circa il 10% dell’ascolto dei canali Mediaset nei primi 6 mesi dell’anno) considerato che con lo stesso telecomando di Sky, è possibile passare sul digitale terrestre. Inoltre gli abbonati Sky possono sempre “switchare” con la digital key.
La miccia si è era accesa a seguito di una decisione Agcom che imporrà a Sky (che però ha impugnato la delibera al Tar del Lazio) di versare un compenso alla Rai per la ritrasmissione dei canali del servizio pubblico sulla piattaforma satellitare. Decisione che però riguardava esclusivamente le reti del pubcaster e non i canali commerciali come vorrebbe Mediaset che per far valere le sue ragioni ha citato i casi di Regno Unito (dove le tv commerciali hanno chiesto 200 milioni di sterline alle diverse piattaforme) e Germania (dove la tv gratuita terrestre ha incassato 93 milioni di euro per la ritrasmissione via cavo e satellite) sebbene non siamo del tutto paragonabili sotto il profilo tecnico.
Il Servizio pubblico una volta tanto non è rimasto alla finestra ma sotto la guida del neo DG Campo dall’Orto ha colto la palla al balzo candidando Rai 4 ad occupare il tasto 104, da cui sta per scendere Rete 4. Mossa che va nella direzione opposta rispetto alla decisione – tanto discussa- dall’ex Dg Masi che – in era di transizione digitale- aveva rinunciato a 50 milioni di euro rimuovendo i propri canali dalla piattaforma pay.
Vedremo come si evolverà questa vicenda (e se la Rai se e quanto si farà corrispondere per la presenza dei propri contenuti sulla piattaforma satellitare) che certo non rappresenta il motivo principale di scontro tra Mediaset e Sky in forte conflittualità sulla decisiva battaglia dei diritti sul calcio.
L’ambizione di Mediaset è raccogliere nell’arco del triennio 2015-2017 avere 700 mila nuovi clienti, collocandosi quindi a quota 2,7 mln di abbonati e tentando di sottrarne almeno 500 mila a Sky. In queste settimane intanto Sky ha formalizzato l’acquisto di Mtv da Viacom conquistando il prezioso tasto numero 8 della numerazione del digitale terrestre e forse farà avanzare Cielo in uno delle posizioni lasciate libere da Mediaset (vedi sopra). Una strategia che lascia intendere chiaramente un interesse sempre maggiore a diversificare il proprio modello di business (gli abbonamenti pay tengono ma difficilmente aumenteranno) rafforzando le entrate pubblicitarie.
Passata quasi sotto silenzio la notizia davvero rilevante per il nostro mercato nazionale dell’acquisto da parte di Fremantle di una delle più importanti società di produzione audiovisiva italiana, la Wildside nata nel 2009 dalla fusione di Wilder e Offside. Il gruppo inglese controllato da Rtl di Bertelsmann ha infatti rilevato il 62,5% della casa di produzione italiana guidata da Paolo Mieli (anche amministratore delegato della filiale italiana di FremantleMedia e regista dell’operazione) e Mario Gianani. Una tra le poche case di produzione che ha compreso l’importanza di orientare il proprio business sui mercati internazionali come dimostra la coproduzione con Sky, Hbo-Canal Plus, alla quale sta lavorando attualmente (The Young Pope) che vede per la prima volta affacciarsi alla serialità il regista premio Oscar Paolo Sorrentino. Accanto al valore economico dell’operazione (secondo stime di Italia Oggi intorno ai 25 milioni di euro per una valutazione complessiva totale di 40 milioni) ciò che rileva è l’interesse da parte di grandi soggetti internazionali per i nostri contenuti audiovisivi e in particolare sul più redditizio segmento del mercato script (prime time drama), un segnale che va nella giusta direzione, quella di aprire maggiormente le nostre aziende verso i mercati esteri per accrescere i propri budget, slegandosi dai tradizionali e in parte obsoleti meccanismi di finanziamento interni e aumentando il grado di visibilità delle nostre opere a livello internazionale.
Intanto ha preso il via il nuovo corso della Rai con l’insediamento del nuovo Consiglio di Amministrazione. Le prime significative decisioni riguarderanno le nomine dei dirigenti apicali e le deleghe al Presidente per la firma dei contratti di valore tra i 2,5 e i 10 milioni di euro (approvato all’unanimità dal CdA) e il varo del progetto di unificazione delle redazioni (news room)
Ma ciò che fa ben sperare è il lucido approccio mostrato dal nuovo direttore Generale Antonio Campo dall’Orto, il quale ha messo in chiaro come la priorità in questa fase di (auspicabile) rilancio sia mettere mano ad un progetto organico per il servizio pubblico dei prossimi 10 anni (tra 8 mesi il rinnovo della Concessione). Talento e organizzazione: questo lo slogan preso a prestito dal celebre schema calcistico di Arrigo Sacchi. Dando per assodata la transizione necessaria da mero broadcaster a media company e tutto quello che ne consegue in termini di reale avvicinamento dell’azienda agli attuali processi di formazione e fruizione culturale che attraversano la società italiana, la sfida consiste nel dare forte impulso a progetti innovativi e sperimentali aprendosi ai nuovi pubblici, senza farsi necessariamente condizionare dal vincolo degli ascolti. Come è stato giustamente rilevato, sperimentazione ed innovazione sono destinati a fallire senza una coraggiosa capacità di riorganizzazione aziendale, una differente allocazione delle risorse pubbliche e commerciali e una maggiore valorizzazione delle migliori competenze “generazionali” interne, tenendo conto che sui 12mila dipendenti della Rai solo hanno meno di 30 anni.