Tra pochi giorni si celebrano i 20 anni della Legge 481/95, che ha stabilito la cornice normativa per le Autorità di regolazione nei servizi di pubblica utilità e ha dato origine direttamente all’Autorità dell’Energia (seguiranno dopo poco tempo l’Autorità delle Comunicazioni e solo negli ultimi anni l’Autorità dei Trasporti). Un’occasione anche per ripensare la regolazione indipendente in Italia, che ha altri illustri rappresentanti in Italia, dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato al Garante della Privacy, dalla CONSOB all’IVASS. Con due finalità: capire se abbia senso dare regole comuni alle diverse Autorità e quali sono le sfide della regolazione indipendente in un momento storico molto diverso da quello che ha prodotto la Legge 481/95.
I due temi sono molto più interconnessi di quanto si possa pensare. Come è stato ricordato anche nel corso di un bel convegno organizzato negli ultimi giorni di Expo dall’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico (competenza quest’ultima assunta di recente), la Legge del 1995 vedeva la luce in un periodo di grave crisi della politica. Non a caso il Governo che la promosse, presieduto da Lamberto Dini, aveva una natura tecnica e tecnico era il Ministro dell’Industria (Alberto Clò), il padre putativo della Legge.
Oggi siamo in una fase politica diametralmente opposta e dunque è normale che la regolazione indipendente possa essere considerata spesso e volentieri più un intralcio rispetto alla linea del Governo che un valore aggiunto. Anche se sono proprio frangenti storici di questo tipo a testare la resistenza di una governance, quella delle Autorità, che nasce proprio dalla volontà di isolare la regolazione e la vigilanza su settori nevralgici (perché contemporaneamente di pubblica utilità, come nel caso delle Authority di settore, e caratterizzati da equilibri strutturalmente non concorrenziali) dai venti spesso impetuosi e di breve prospettiva della politica, oltre che dalla necessità di ricorrere a risorse umane altamente specializzate, contendendole al mercato privato.
In questo senso, la Legge 481/95 ha tre meriti principali (oltre a quello oggi diventato rarissimo di essere comprensibile anche a chi non ha conseguito un dottorato in diritto amministrativo o non ha vinto un concorso al Consiglio di Stato):
1) individua criteri di nomina dei componenti sufficientemente restrittivi, sia dal punto di vista della qualificazione individuale (“persone dotate di alta e riconosciuta professionalità e competenza nel settore”) che delle procedure (vincolandone il buon esito al voto con maggioranza dei due terzi delle Commissioni parlamentari competenti). Purtroppo queste norme si applicano solo a due delle Autorità indipendenti italiane (l’AEEGSI e l’ART).
2) prevede un finanziamento basato sui contributi delle imprese regolate, entro un massimo non superiore all’1 per mille dei ricavi dell’ultimo esercizio. Lungi dal favorire potenziali conflitti d’interesse, impossibili dal momento che ogni soggetto contribuisce proporzionalmente e c’è un ampio margine tra la percentuale effettiva e il massimo teorico (per cui la singola Autorità può assumere provvedimenti con la sufficiente serenità di non condizionare in maniera automatica la propria sorte finanziaria ai ricavi del settore), la norma dovrebbe garantire che il destino finanziario di un’Autorità non sia in discussione ogni anno. In realtà non sempre è stato così, come testimoniano anche i recenti interventi di spending review anche molto specifici, come nel caso della Legge 114 del 2014, che hanno cambiato lo scenario finanziario delle Autorità.
3) trasferisce a ciascuna Autorità “tutte le funzioni amministrative esercitate da organi statali e da altri enti e amministrazioni pubblici, anche a ordinamento autonomo, relative alle sue attribuzioni….fatte salve le funzioni di indirizzo nel settore spettanti al Governo e le attribuzioni riservate alle autonomie locali” (art.2, comma 14). Questa norma, nonostante la chiarezza unita alla ragionevolezza che la caratterizza, è stata in assoluto quella più disapplicata tra quelle contenute nella Legge 481/95 nel corso dei due decenni successivi, che hanno visto funzioni amministrative anche importanti essere assegnate da Leggi ordinarie ai Ministeri anziché alle Autorità (spesso e volentieri con la foglia di fico della richiesta di pareri di queste ultime, ovviamente non vincolanti, prima dell’emanazione del fatidico decreto ministeriale). Rimanendo al settore dell’energia, si accettano scommesse su quanto i consumatori italiani avrebbero risparmiato qualora gli incentivi alle rinnovabili (che oggi valgono quattro volte il gettito totale dell’IMU e della TASI sulla prima casa, tanto per dare qualche numero) fossero stati decisi dall’Autorità dell’Energia (sulla base del raggiungimento degli obiettivi e dei criteri generali decisi da Governo e Parlamento, in base all’ordinamento comunitario) piuttosto che dal Ministero dell’Industria, diventato nel tempo prima Ministero delle Attività Produttive e poi Ministero dello Sviluppo Economico. Solo un esempio del tanti che potrebbero farsi.
In un assetto istituzionale come quello odierno dove la politica ha riguadagnato centralità e il Governo, oggi reso forte dallo stile di guida impetuoso del Presidente del Consiglio ma domani strutturalmente rafforzato dalle riforme in corso della Costituzione e della legge elettorale, occorre con ancora maggiore urgenza pensare ad applicare meglio e in maniera più estesa questi pregi fondamentali già contenuti nella Legge 481/95. Estendendo alle altre Autorità l’esame preventivo dei candidati designati dal Governo e il voto vincolante a maggioranza ampiamente qualificata delle commissioni competenti (o del Parlamento); rendendo universale il principio dell’autonomia finanziaria, pur soggetto evidentemente a tutti i controlli di competenza (eventualmente anche affidando un ruolo al neocostituito Ufficio parlamentare di Bilancio); allocando in maniera più netta i compiti tra Governo e Parlamento da un lato, pienamente titolati a stabilire obiettivi e criteri generali per raggiungerli, e Autorità, alle quali spetta individuare le modalità più idonee per attuare il mandato ricevuto dalla politica.
Non solo la Legge 481/95, forte dei suoi venti anni, è ancora poco più che adolescente e dunque bel lungi dal mostrare segni di decadimento ma è arrivato il momento, ora che si avvia verso la maturità, di applicarne di più e meglio i suoi capisaldi principali, che oggi sono più attuali che mai. Per far funzionare meglio non solo le Autorità indipendenti ma anche le istituzioni politiche, finalmente sgravate almeno in alcuni settori del peso del micromanagement che ne condiziona pesantemente l’efficacia e le rende più inutili di quanto si illudono di essere.
Complimenti per la trattazione di una materia cosi complessa.
La regolamentazione delle autorità che gestiscono servizi pubblici a rilevanza collettiva e di fondamentale importanza.
Tuttavia questo organi non devono essere sganciati dalle indicazioni e dal potere di impulso politico.