L’economia della Puglia mostra segnali di miglioramento, con una crescita al di sopra della media del Mezzogiorno e pari all’1,2%. La regione, insieme all’area di appartenenza, aggancia finalmente la dinamica dell’economia italiana che nel 2015 cresce dello 0,7% e nel terzo trimestre 2016 dello 0,9% su base tendenziale. La perdita di benessere che l’economia del Mezzogiorno ha subito rispetto al periodo pre-crisi è però profonda e il gap rispetto ai livelli del 2007 non è stato ancora colmato: il Mezzogiorno ha perso il 12,7% del PIL pro-capite del 2007 e la Puglia il 9,7%. Il valore aggiunto delle attività economiche della Puglia conferma le difficoltà di recupero del tessuto produttivo rispetto agli anni prima della crisi, anche se la performance della Puglia è migliore rispetto al resto del Mezzogiorno, dove complessivamente il valore aggiunto delle attività economiche si è ridotto senza soluzione di continuità fino al 2014. Nella regione si è ridotto principalmente il valore aggiunto del comparto manifatturiero, che dal 2007 al 2014 ha perso il 22%. Il valore aggiunto dei servizi ha invece guadagnato il 7% in termini cumulati nel 2015 rispetto al livello pre-crisi. A testimonianza di una discreta tenuta del sistema economico pugliese nell’ultimo decennio, contraddistinto da una crisi devastante e prolungata, le imprese pugliesi hanno dovuto far ricorso alla Cassa Integrazione Guadagni ed altri sussidi da politiche passive del lavoro meno delle altre regioni del Mezzogiorno e in percentuale inferiore rispetto alla media italiana, merito anche – come emerge dal tavolo di confronto – di un utilizzo intelligente degli strumenti di politica industriale e di un dialogo proficuo con i sindacati e le organizzazioni sociali, finalizzato alla riqualificazione e alla ricollocazione lavorativa. È pur vero che i numeri non possono raccontare in modo esaustivo gli sforzi che sono stati fatti nel governo del territorio durante gli ultimi anni. Anche se ad oggi la Puglia è in coda per molti aspetti, i miglioramenti si sono registrati e molti sono, e sono stati, i programmi di sostegno alle attività di ricerca e agli investimenti innovativi nelle imprese. Si pensi al recentissimo bando “Innonetwork” in cui la Regione Puglia ha investito 30 milioni di € per promuovere la creazione di partnership tecnologiche pubblico-private e l’aggregazione tra imprese esistenti e start up tecnologiche su progetti di ricerca industriale e sviluppo sperimentale. Le domande ricevute dalla Regione sono state tantissime ed evidenziano un rinnovato dinamismo del tessuto produttivo. Tra i principali limiti (di sempre) del sistema economico pugliese, nel Rapporto ORTI ne vengono evidenziati soprattutto tre (tra loro correlati): il nanismo delle imprese, la scarsa produttività dei fattori produttivi (in particolare del lavoro) e la bassa propensione alla ricerca, in particolare del settore privato. Le imprese pugliesi, come quelle italiane, sono prevalentemente di piccole dimensioni ma il numero di addetti medi per impresa in Puglia è inferiore alla media italiana (2,8 addetti per impresa rispetto a 3,7). Si va dai 2,4 dipendenti per impresa della provincia di Foggia ai 3,2 di quella di Bari, la provincia dove le imprese impiegano più forza lavoro rispetto alla popolazione residente (212 addetti su 1000 abitanti).
In Puglia la produttività del lavoro è inferiore sia alla media italiana (62 mila euro) che alla (già bassa) media del Mezzogiorno (50 mila euro), e pari a circa 48 mila euro di valore aggiunto per unità di lavoro. Tuttavia, rispetto al periodo pre-crisi si assiste ad un miglioramento della produttività sia in Italia che nelle sue diverse ripartizioni geografiche. Anche in Puglia nel 2014 la produttività del lavoro è aumentata del 9% rispetto al 2007. Questo miglioramento sembra però essere legato più ad un aumento delle ore lavorate che non al, seppur presente, aumento del valore aggiunto.
La spesa in Ricerca e Sviluppo, che vale in Italia l’1,4% del PIL (dati 2014), è pari in Puglia all’1,0% del PIL (ancora più basso, sia pure di poco, della media del Mezzogiorno, pari all’1,1%). Gli addetti alle attività di ricerca e sviluppo sono l’1,7% del totale, la quota percentuale più bassa tra le regioni del Mezzogiorno e inferiore alla media nazionale (2,3%).
I limiti evidenziati, d’altra parte, sono da tempo gli stessi. Nella discussione se ne sottolinea, dunque, il carattere strutturale, legato a condizioni di contesto, sulle quali si è innestata la crisi dell’ultimo decennio. L’economia del territorio sta ancora mutando: a dimostrarlo è il passaggio della maggior parte della creazione di valore aggiunto dalla manifattura ai servizi. È noto però che le imprese di servizi non possono sopravvivere senza una parallela evoluzione del comparto manifatturiero.
Tra i diversi indicatori del rapporto, colpisce la composizione della spesa in R&S (molto simile peraltro a quella delle altre Regioni del Mezzogiorno). Nella regione la maggior parte della spesa in Ricerca e Sviluppo è sostenuta dalle università (56%), il doppio rispetto alle imprese. Una situazione inversa rispetto alla media italiana, dove la quota maggiore della spesa è sostenuta dalle imprese (il 55%), mentre circa il 28% dalle università pubbliche e private. La differenza di composizione è evidente anche se si osserva la distribuzione tra pubblico e privato del numero di ricercatori. Infatti, se gli standard europei prevedono 2/3 dei ricercatori impiegati dal settore privato ed 1/3 dal pubblico e la media italiana vede un valore uguale di ricercatori pubblici e privati, in Puglia il dato si ribalta con 2/3 dei ricercatori finanziati dal pubblico ed 1/3 dal privato. Dalla discussione emerge allora come siano necessarie nuove idee di policy per supportare una maggiore collaborazione tra le imprese e il settore pubblico. Lo strumento dei distretti si ritiene ancora attuale perché in grado di mettere a sistema il potenziale, e i numeri, di imprese di piccole dimensioni. Due sono quindi gli obiettivi di policy da perseguire con modalità complementari alla strategia nazionale (in particolare al Piano nazionale Industria 4.0): 1) supportare gli allineamenti strategici tra le imprese e la pubblica amministrazione, favorendo strategie di specializzazione intelligente; 2) favorire la crescita delle filiere innovative della manifattura. Queste ultime, come è emerso nel tavolo di lavoro, non sono solo quelle legate al settore aerospaziale e o quello della meccatronica, ma anche il settore tessile, la moda e l’abbigliamento. La cosiddetta “design driven innovation” richiede allo stesso modo competenze e sostegno per poter trasformare i modelli sociali, culturali e tecnologici di riferimento.
La nota positiva, che emerge infine, è che nonostante i noti limiti della sua struttura economica, la Puglia ha reagito meglio negli anni che hanno seguito la crisi. Dietro questa apparente contraddizione si celano le potenzialità della regione. Per questo le scelte relative all’utilizzo delle risorse pubbliche e il disegno degli strumenti di incentivo all’attività di impresa sono fondamentali: devono essere trasversali e disegnati sul territorio, per il territorio.