Negli ultimi anni è apparso sempre più evidente come il possesso di competenze digitali sia centrale per la vita privata e lavorativa dei cittadini, anche nel rapporto con le amministrazioni pubbliche. Questa consapevolezza ha iniziato a prendere corpo presso le istituzioni europee già dal 2015, mentre a livello nazionale è stato fondamentale l’impulso dato dalla pandemia e dai conseguenti investimenti del PNRR, i quali hanno comportato una forte accelerazione nelle politiche pubbliche relative all’accrescimento delle competenze digitali. Infatti, rispetto agli altri paesi europei, l’Italia presenta ancora un notevole ritardo nella componente del capitale umano calcolata dal DESI (Digital Economy and Society Index), sebbene dal 2020 ad oggi sia avanzata in misura maggiore rispetto alla media europea. I miglioramenti più sostanziosi si sono rilevati nelle competenze della cittadinanza e della forza lavoro attiva. Seppur in misura inferiore rispetto alla media europea, gli indicatori relativi all’istruzione sono migliorati, mentre non si sono registrati progressi nell’ambito delle competenze specialistiche ICT. Nel complesso, l’andamento può considerarsi incoraggiante, ma le carenze strutturali sono ancora profonde. La Strategia Nazionale per le Competenze digitali, attuata con il Piano Operativo, si pone l’obiettivo di colmare queste lacune, coerentemente con gli obiettivi europei e in un’ottica multisettoriale, promuovendo la collaborazione tra organizzazioni pubbliche e private. Ad essa si affiancano anche una serie di iniziative legate al PNRR tra le quali figurano la riforma degli ITS e lo sviluppo del sistema di formazione professionale terziaria.
Tra gli obiettivi che l’Unione europea si è data per il decennio digitale europeo, si trova la volontà di includere sempre più individui nel mondo digitale, migliorando le capacità di utilizzo di queste tecnologie. Di fronte all’aumento della domanda per specialisti delle tecnologie per l’informazione e la comunicazione (ICT), risultano interessanti i dati pubblicati dall’Eurostat riguardo agli sviluppi recenti per la quota di forza lavoro con le competenze necessarie per lo sfruttamento di tecnologie sia hardware che software che consentono di raggiungere, archiviare e trasmettere le informazioni. La crisi economica e sociale dovuta alla pandemia ha condotto l’Italia verso un significativo e generale calo occupazionale che ha inevitabilmente riguardato anche i lavoratori del settore digitale. La percentuale di imprese che impiegano personale ICT specializzato è passata dal 16% del 2018 e 2019 al 12,6% nel 2020 e infine al 13,4% nel 2022. Questi dati risultano preoccupanti perché, dal 2018 a oggi, le divergenze tra Italia e UE si sono ampliate, fino a toccare i 7,6 punti percentuali nel 2022. Una situazione lievemente differente emerge per quanto riguarda la formazione specialistica dei lavoratori. Il numero delle imprese che si adoperano per migliorare o sviluppare le competenze digitali del proprio personale è calato di quasi 4 punti percentuali tra il 2019 e il 2020, per poi tornare al livello pre-pandemia nel 2022. Il confronto con la media europea fornisce in questo caso un segnale incoraggiante: dal 2018 ad oggi non solo la percentuale delle imprese che ha fornito formazione è aumentata, ma si è ridotto anche lo scarto rispetto agli altri paesi dell’Unione (nel 2022 pari al 3,1%).

Nel 2016, la forza lavoro europea con competenze ICT era di 2,3 milioni di individui. Il dato è salito fino ad arrivare a 2,8 milioni nel 2021. L’aumento della richiesta di professionisti in questo ambito è testimoniato anche dalla riduzione del tasso di disoccupazione tra coloro che hanno ricevuto una istruzione specializzata in campo ICT, sceso dall’8,8% del 2016 al 7,4% del 2021 (il minimo era stato raggiunto nel 2019 con il 6,8%).
L’Osservatorio delle competenze digitali ha reso disponibili i dati riguardanti gli annunci di lavoro per specialisti ICT pubblicati nel 2021 dalle regioni italiane. Dopo un calo nei primi mesi del 2020, la domanda è tornata ad aumentare, con la pubblicazione nel primo semestre 2021 di circa 51.700 annunci relativi alle professioni ICT, suddivisi in 8 famiglie professionali: Business, Design, Development, Emerging, Process Improvement, Service & Operation, Support, Technical. Un dato che torna ad avvicinarsi ai valori pre-Covid: nello stesso periodo del 2019 ne erano stati rilevati circa 57.000. Le figure dell’area Emerging (profili emergenti), che comprende gli specialisti in ambito cloud e big data, sono quelle che hanno resistito meglio all’effetto della pandemia nel 2019 con 966 annunci nel primo semestre 2019 e 981 nel 2020, in linea con la sempre maggior spinta alla migrazione delle attività sul cloud che sta ormai investendo tutte le aziende che vogliono mantenere la loro competitività sul mercato. Nonostante l’andamento decrescente dei trimestri 2021, la distribuzione di annunci sul territorio nazionale riporta una forte prevalenza delle domande nel nord-ovest (43%) rispetto al nord-est (28%), seguito dal centro (19%) e da sud e isole (9%). In Figura vengono riportate le percentuali per gli annunci di lavoro per specialisti ICT delle singole regioni.

La Provincia autonoma di Trento, la Valle d’Aosta e la Campania riportano una percentuale di annunci di lavoro per specialisti ICT sul totale superiore al 30%, posizionandosi al di sopra delle altre regioni italiane. La Basilicata e il Molise non hanno riportato alcun tipo di annuncio in questo settore, mentre le Marche e la Calabria si collocano poco più sopra di queste ultime con percentuali di annunci per professionisti ICT comunque molto ridotte (rispettivamente pari al 4% e 6%).
È evidente che in Italia ci sia ancora molta strada da fare per raggiungere un adeguato livello di competenze in ambito digitale. Con la passata emergenza sanitaria tutti i settori lavorativi sono stati inevitabilmente spinti verso un’accelerazione della digitalizzazione e la richiesta elevata di figure professionali con competenze ICT ne è la dimostrazione. A questa rilevante domanda di lavoro non corrisponde una altrettanto coerente offerta, né di professionisti con esperienza né di giovani in ingresso nel mercato lavorativo. La continua evoluzione delle competenze richieste sottolinea la necessità di rapidi interventi nei programmi di formazione per far sì che la domanda delle aziende venga soddisfatta e si acceleri verso una maggiore competitività del sistema.