Non solo innalzamento delle temperature, perdita di biodiversità e maggiore frequenza di eventi meteorologici estremi: da anni gli scienziati di tutto il mondo stanno dimostrando come il cambiamento climatico abbia impatti chiari, e in molti casi devastanti, anche sulla salute umana. Dall’inquinamento dell’aria che respiriamo e del cibo che mangiamo alle temperature insostenibili, dallo sviluppo di nuove malattie infettive ai disagi psicologici, il riscaldamento globale produce effetti sulla salute su numerosi fronti e in modalità sempre più rilevanti – tanto che sul tema si è ora focalizzata anche l’attenzione della comunità internazionale. Prova di questo si è avuta alla COP28 di Dubai, dove si è tenuto il primo Health Day mai ospitato all’interno di uno dei summit annuali sul clima.

IL CAMBIAMENTO CLIMATICO CAUSA 1,4 MILIONI DI MORTI SOLO IN EUROPA

L’emergenza climatica e il susseguirsi di fenomeni meteorologici sempre più estremi, tra cui ondate di calore, siccità e alluvioni, sono cause di danni per la salute umana in diversi modi, tanto in forme dirette quanto indirette. Ad essere nocive e a destare preoccupazione non sono solo le ormai note conseguenze dell’inquinamento atmosferico e dell’eccessivo calore, ma anche l’aumento e la varietà delle malattie infettive o trasmesse, con capacità di propagazione sempre più intense, da animali, aria o acqua – come dimostrato anche dalla rapida espansione virale del Covid-19. A ciò si aggiungono anche l’incremento delle microplastiche nei mari, l’erosione o la distruzione di terreni agricoli, ma anche l’aumento di sostanze chimiche negli alimenti e la conseguente diminuzione delle loro capacità nutrizionali. Infine, gravi sono anche gli impatti sulla salute mentale tanto di chi vive in prima persona le conseguenze dirette di tali fenomeni, quanto nei numerosi casi di ecoansia registrati soprattutto tra le giovani generazioni.

La preoccupazione per le conseguenze del cambiamento climatico sulla salute trova riscontro nei dati che dimostrano come anche gli europei vivano sulla propria pelle le conseguenze del disastro ambientale in termini di salute. Come riportato lo scorso luglio dall’OMS, “ogni anno, nei 53 Paesi della regione europea dell’Organizzazione mondiale della sanità, si stima che 1,4 milioni di morti siano collegati a fattori di rischio ambientale”, mentre il Global Report 2023 dell’Istituto Lancet [1], pubblicato pochi giorni prima della COP28, evidenzia come “in assenza di una mitigazione profonda e rapida per affrontare le cause profonde del cambiamento climatico e sostenere gli sforzi di adattamento, la salute dell’umanità è a grave rischio”.

Questa preoccupazione è condivisa anche dagli italiani, come riporta la terza edizione dell’indagine “Africa e salute: l’opinione degli italiani” [2] realizzata da Ipsos per Amref Italia in vista del primo Health Day all’interno di Cop28. Secondo i dati, il 90% degli italiani ritiene che il cambiamento climatico rappresenti una grave minaccia per il mondo intero, soprattutto per la salute globale degli individui. Il climate change è infatti ritenuto probabile causa di danni alla salute umana per il 69% degli intervistati, i quali, nell’84% dei casi, riconoscono anche che la propria salute sia legata a quella dei cittadini del resto del mondo.

L’INQUINAMENTO DELL’ARIA TRA LE PRINCIPALI CAUSE DI DECESSI 

L’inquinamento atmosferico è notoriamente il principale rischio ambientale per la salute umana, con conseguenze dirette su numerose patologie croniche (e non solo) come l’asma, la cardiopatia ischemica, il cancro, e il diabete. Tali effetti sono particolarmente gravi nelle grandi città e nei principali distretti industriali, dove si concentrano grandi quantità di polveri sottili e gas che incidono sulla respirazione. Molto pesanti sono gli effetti in Europa dove, nonostante il grande lavoro fatto negli ultimi anni in termini di decarbonizzazione che secondo i dati dell’European Environment Agency (EEA) ha portato ad un calo del 41% nel numero di morti attribuibili all’esposizione al particolato fine (Pm 2,5) tra il 2005 e il 2021, sono numerosi i decessi legati all’inquinamento dell’aria. Secondo l’ultima edizione del report “Harm to human health from air pollution in Europe: burden of disease 2023”[3] pubblicato lo scorso 24 novembre dall’EEA, gli alti livelli di inquinanti ambientali presenti nel continente europeo hanno infatti causato più di 300.000 decessi nel solo 2021. Di questi circa 250.000 sono derivanti dall’esposizione a particelle sottili (PM2,5) nell’aria e 52.000 dall’esposizione al biossido di azoto (NO2).

Tra i paesi più coinvolti c’è anche l’Italia, al secondo posto tra i paesi con più decessi legati all’inquinamento atmosferico nell’UE: secondo lo studio dell’EEA, nel 2021 sono state 46.800 le morti dovute a un’eccessiva esposizione alle PM2,5, circa 11.300 quelle per esposizione al biossido d’azoto e 5.100 quelle attribuibili all’esposizione a breve termine all’ozono. Le zone più colpite sono, come prevedibile, quelle del Nord Italia in prossimità della Pianura Padana, cuore industriale del nostro paese e uno dei luoghi più inquinati d’Europa. Tuttavia, il fenomeno è ben più ampio: sono 58 le città italiane (dove abita il 73% della popolazione nazionale) in cui i valori di polveri sottili superano i massimi consentiti dall’OMS, e in diverse di queste – Cremona, Monza e Brianza, Mantova, Milano e Padova – i valori registrati sono addirittura il doppio rispetto al limite.

Sul caso italiano sono state fatte numerose ricerche negli anni, tra le quali spicca “L’associazione spaziale tra inquinamento ambientale e mortalità per cancro a lungo termine in Italia’’ [4]. Pubblicata sulla rivista Science of the Total Environment nell’autunno 2022, analizza il legame di causalità tra l’esposizione all’inquinamento atmosferico del luogo di residenza e la mortalità per tumore. Tale studio, condotto dall’Università Alma Mater Studiorum di Bologna, insieme all’Università degli studi di Bari, al Cnr e all’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, evidenzia come la mortalità per cancro tra i cittadini italiani di una determinata zona superi in modo significativo la media nazionale quando l’inquinamento ambientale è più elevato, anche quando gli stili di vita di quell’area sono più sani rispetto ad altri – ovvero quando si registra una frequenza relativamente bassa di fattori tipicamente associati al rischio di cancro come fumo, basso reddito, e determinate abitudini alimentari.

TEMPERATURE INSOSTENIBILI E INSICUREZZA ALIMENTARE

Anche le temperature estreme sono un fattore di rischio per la salute, in particolare per le fasce di popolazione più avanti con l’età, per i lavoratori che svolgono mansioni che richiedono lunghe ore di esposizione ai raggi solari, e per coloro che non hanno accesso ad acqua o altri elementi che arginano la vulnerabilità al caldo.

L’aumento delle temperature medie degli ultimi anni, in particolare durante i mesi estivi, ha acuito tali fenomeni tanto che, secondo lo studio Nature Climate Change pubblicato nel 2021, il cambiamento climatico è ora responsabile di oltre un terzo delle morti provocate dal caldo. La scienza dimostra come il corpo umano non sia infatti predisposto a sopportare l’esposizione costante a temperature superiori ai 37 °C, soglia sopra la quale il corpo umano non riesce a rilasciare adeguatamente il calore, faticando a mantenere l’equilibrio corporeo e a far funzionare in modo adeguato le contromisure previste dall’organismo, come la sudorazione. Difatti, quando la temperatura corporea aumenta più velocemente di quanto possa raffreddarsi, tutte le funzioni degli organi affrontano criticità che ne mettono a dura prova il funzionamento. Ad esempio, aumenta la fatica con cui il cuore fa circolare il sangue negli organi, risultando in flussi minori agli altri organi e ai reni, mentre la disidratazione e il ricorso eccessivo alla sudorazione privano il corpo di minerali come sodio e potassio. La combinazione di questi fattori fa aumentare il rischio di attacchi cardiaci e ictus nel breve periodo, e tende a portare ad un progressivo collasso degli organi e della muscolatura se tali condizioni si protraggono per più anni.

A ciò si aggiunge che le ondate di calore non sono solo letali di per sé, ma sono anche causa di altri eventi atmosferici estremi, tra cui le siccità e il crescente numero di incendi. Questi ultimi, ad esempio, sono favoriti da lunghi periodi di eccessivo calore e siccità e, oltre a causare la perdita di ecosistemi e di aree boschive, provocano l’emissione di fumi particolarmente tossici per la salute umana: oltre all’emissione di anidride carbonica, il fumo contiene infatti particelle tossiche derivanti da ciò che viene bruciato, come pneumatici o sostanze chimiche nocive.

Legata alle ondate di calore, ma anche alle inondazioni e alle precipitazioni eccessive, è anche la sicurezza alimentare. I fenomeni legati ai cambiamenti climatici mettono infatti a rischio il settore agroalimentare, la qualità e la disponibilità del cibo. Secondo la FAO, oltre il 40% della popolazione mondiale è altamente vulnerabile agli impatti della crisi climatica sull’alimentazione e più di 3,1 miliardi di persone in tutto il mondo non hanno potuto permettersi una dieta sana già nel 2021[5]. Questi dati allarmanti sono confermati anche dall’IPCC (il Gruppo Intergovernativo sul cambiamento climatico), che riporta un crollo delle rese agricole a causa delle conseguenze dell’aumento delle temperature, del cambiamento dei modelli delle precipitazioni e degli eventi atmosferici estremi. La perdita di terreni coltivabili, di bestiame e di grandi quantità di alimenti, oltre all’innalzamento delle temperature dei mari, è difatti un problema gravissimo per numerose popolazioni equatoriali ma non solo, e determina una maggiore dipendenza da importazioni e da cibi trasformati, riducendo l’assunzione di vitamine e nutrienti. Ad esempio, alcuni studi dimostrano che l’alta concentrazione di CO2 nell’atmosfera può privare le piante di zinco, ferro e proteine, tutte sostanze nutritive di cui l’uomo ha bisogno per sopravvivere, mentre, spostando l’attenzione ai prodotti della pesca, le temperature oceaniche portano numerose specie marine a migrare verso i poli terrestri in cerca di acque più fredde, riducendo le risorse ittiche ed alterando gli ecosistemi marini e le abitudini alimentari di numerose popolazioni.

Infine, non possono essere ignorate le conseguenze indirette di tali fenomeni: la malnutrizione è infatti alla base di un’ampia varietà di patologie, tra cui insufficienza cardiaca, cancro e diabete, oltre ad essere causa di disturbi della crescita e dello sviluppo di funzioni cognitive.

MALATTIE INFETTIVE E NUOVE PATOLOGIE: 8 MILIARDI DI PERSONE A RISCHIO NEL 2080

I cambiamenti climatici possono aumentare la probabilità di esposizione a malattie infettive già note e diffuse in alcune parti del mondo, ma possono anche contribuire all’alterazione di equilibri negli ecosistemi e allo sviluppo di nuovi patogeni. Come evidenziato in un recente rapporto del WWF stilato a seguito della pandemia da Covid-19, i modi in cui ciò avviene sono principalmente due.

In primis, le alterazioni delle condizioni climatiche e morfologiche incidono sull’estensione delle aree geografiche su cui agiscono determinati agenti patogeni, “così aumentando la probabilità di diffusione di zoonosi (malattie trasmissibili da animali all’uomo): è il caso, ad esempio, di Morbo di Lyme, Babesiosi, sindrome polmonare da hantavirus, filariosi e West Nile virus, ma anche di peste bubbonica e tularemia.” [6] Secondo gli esperti dell’Istituto Lancet, le zoonosi sono infatti responsabili di circa 3,5 miliardi di casi di malattie umane e che incidono su 2,7 milioni di morti in tutto il mondo ogni anno, e – sempre secondo il loro ultimo Rapporto – si riporta che gli animali hanno svolto un ruolo decisivo in quasi tutte le principali epidemie a partire dal 1970.

La seconda modalità con cui ciò avviene è legata all’aumento delle piogge e delle temperature medie, due fenomeni che favoriscono le condizioni ideali per il proliferare di specie come le zanzare – portatrici di malattie come la febbre dengue e la malaria – e di altre specie che causano blastomicosi, echinoccoccosi, toxoplasmosi, tripanosomiasi e colera. Tali infezioni e patologie, una volta tipicamente associate ai paesi dei tropici, secondo l’Istituto Lancet sono ora un rischio anche per l’Europa: si stima infatti che entro il 2080 ci saranno oltre 8 miliardi di persone potenzialmente esposte a queste malattie.

L’ECOANSIA E GLI EFFETTI SULLA SALUTE MENTALE

La profonda sensazione di disagio e di paura che si prova al pensiero ricorrente di possibili disastri legati al riscaldamento globale e ai suoi effetti ambientali.” [7] È così che la Treccani definisce l’ecoansia, termine – inserito dall’Istituto dell’Enciclopedia Italiana tra i neologismi del 2022 – ormai molto diffuso e noto, soprattutto tra la popolazione giovanile per via di una loro maggiore propensione a sviluppare i sintomi di questo particolare disagio psicologico. Questo fenomeno è al centro di uno specifico filone di ricerca in psicologia clinica e ambientale che approfondisce le cause, le manifestazioni e i meccanismi tramite cui si sviluppa la relazione tra i danni ambientali e quelli psicologici.

Sono infatti ormai numerosi gli studi[8] che, sempre più spesso, dimostrano collegamenti tra gli eventi meteorologici estremi, come incendi, uragani e alluvioni, e l’emergere di forme di stress, ansia e disturbi post-traumatici (in uno studio, ad esempio si parla di eco-depressione ed eco-rabbia[9]). L’elevato tasso di angoscia legata ai cambiamenti climatici è stato recentemente rilevato anche da un noto studio del 2020 [10] che mostra, in particolare, come la crisi ambientale minacci il benessere e la sopravvivenza stessa delle persone più giovani: su 10.000 intervistati tra i 16 e i 25 anni d’età provenienti da dieci paesi del mondo, il 60% riferiva di sentirsi “molto” o “estremamente preoccupato” per gli effetti dei cambiamenti climatici, mentre il 45% affermava che tale preoccupazione fosse in grado di “influenzare il comportamento quotidiano, i progetti a lungo termine e l’umore generale”. Più recenti sono invece i dati pubblicati nell’ultima edizione dell’Osservatorio Europeo sulla Sicurezza[11] della Fondazione Unipolis, che riporta che il riscaldamento globale e il cambiamento climatico sono la maggiore fonte di stress e angoscia per il 55% degli intervistati.

Tra le conseguenze del climate change, è proprio questa una delle novità più recenti e dall’impatto più diffuso, con effetti severi sulle condizioni psicologiche sia di chi vive sulla propria pelle il trauma dovuto a un disastro ecologico sia su chi, con modalità indirette o derivanti da una crescente esposizione – fisica o mediatica – agli stravolgimenti naturali, vive tali avvenimenti con un coinvolgimento tale da patirne comunque le conseguenze. Legate a ciò sono anche la preoccupazione, provata soprattutto dalla popolazione in età avanzata, per le future generazioni e il senso di frustrazione e impotenza causato dalla mancanza di controllo sulle numerose complessità della sfida climatica.

LA COP28 SPOSA L’APPROCCIO ONE HEALTH

Oltre agli aspetti, di grande importanza, strettamente legati alle politiche ambientali ed energetiche, la COP28 di Dubai ha segnato una novità anche nel campo della salute, ospitando per la prima volta nella storia delle Conferenze mondiali sul clima un Health Day. Tenutasi il 3 dicembre, è stata ideata per favorire proposte e sinergie tra i paesi in un’ottica più ampia di sostenibilità e resilienza, unendo gli aspetti della salute umana, della salute ambientale e della salute animale. Tale approccio è comunemente noto come “One Health” ed è basato sull’idea che le interconnessioni tra i vari ambiti della salute e della vita umana possono solo essere comprese e affrontate solo con un approccio collaborativo tra diverse discipline e professionalità, in modo tale da raggiungere una condizione di salute ottimale e integrata di tutti gli agenti dell’ecosistema. Nello specifico, numerosi paesi hanno portato all’attenzione del Health Day l’idea per la quale il miglioramento dell’accesso e della diffusione di servizi sanitari preventivi, informativi e curativi aumenta la capacità delle infrastrutture di affrontare le crescenti sfide sanitarie innescate dal cambiamento climatico.

In questa occasione, la Presidenza della COP28 in collaborazione con l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha anche presentato la “Dichiarazione COP28 sul Clima e la Salute” [12] per porre la salute al centro degli interventi in materia di cambiamento climatico e per accelerare lo sviluppo di sistemi sanitari in un’ottica di resilienza, sostenibilità ed equità. Sottoscritta da 123 Paesi, la Dichiarazione riconosce per la prima volta a livello intergovernativo il crescente impatto dei cambiamenti climatici sulla salute umana e, inoltre, evidenzia i grandi benefici per la salute che deriverebbero da un’azione più incisiva sul contrasto al cambiamento climatico.

Per la prima volta, infatti, i ministri della Salute hanno partecipato a una COP insieme ai loro colleghi dei Ministeri dell’Ambiente, segnando un cambiamento nell’approccio in cui vengono considerate le politiche climatiche in un’ottica olistica e di One Health, e con una maggiore attenzione alle implicazioni sociali delle decisioni governative. Tra i risultati ottenuti, vi è anche il finanziamento di oltre $1 miliardo per affrontare gli aspetti legati alla salute derivanti dalla crisi climatica, tra cui un impegno di $300 milioni da parte del Global Fund, $100 milioni da parte della Fondazione Rockefeller, e £54 milioni da parte del governo del Regno Unito.

Tra i paesi firmatari della Dichiarazione è presente anche l’Italia, che ha rimarcato l’adesione a tali novità anche con le dichiarazioni del Ministro della Salute, Orazio Schillaci, intervenuto alla COP28[13]: “L’impatto dei cambiamenti climatici sulla salute è un tema cruciale ed è molto importante che per la prima volta, quest’anno, la Conferenza annuale sul clima delle Nazioni Unite abbia previsto una giornata dedicata alla salute. I sistemi sanitari a livello mondiale devono essere meglio preparati e più resilienti per affrontare le crisi ambientali”.

Quanto questi accordi riusciranno davvero ad incidere sulle scelte politiche è ancora tutto da vedere e capire. Tuttavia, il solo fatto che la salute abbia finalmente ricevuto attenzione e centralità – da anni richiesta dalla WHO – anche nei tavoli internazionali sui temi del cambiamento climatico è una novità e un’apertura significativa verso i numerosi scienziati e attivisti che da molto tempo portano avanti studi e propongono soluzioni in materia.

Per quanto ancora piccoli, i passi avanti in termini di finanziamenti e di impegno politico indicano un cambio di approccio chiaro: i legami tra i cambiamenti climatici e la salute umana sono innegabili, e se l’impegno sul tema – nel decision making, oltre che nella scienza – è ora pubblico e irreversibile, le aspettative sul cambio di rotta nelle scelte effettive sono più forti che mai.

 

[1] https://www.lancetcountdown.org/2023-report/

[2] https://www.amref.it/news-e-press/comunicati-stampa/cambiamento-climatico-salute-ipsos-2023/

[3] https://www.eea.europa.eu/publications/harm-to-human-health-from-air-pollution/harm-to-human-health-from

[4] https://www.cnr.it/it/news/11385/la-mortalita-da-tumore-e-geograficamente-associata-all-inquinamento-ambientale

[5] https://www.fao.org/newsroom/detail/cop28–at-climate-summit-s-first-ever-health-day–fao-highlights-interconnected-challenges-of-malnutrition-and-climate-change/en

[6] https://d24qi7hsckwe9l.cloudfront.net/downloads/cambiamento_climatico_e_salute.pdf

[7] https://www.treccani.it/vocabolario/neo-ecoansia_%28Neologismi%29/

[8] https://www.thelancet.com/journals/lanplh/article/PIIS2542-5196(21)00278-3/fulltext

[9] https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S2667278221000018?via%3Dihub

[10] https://www.science.org/doi/10.1126/science.abi7339

[11] https://www.fondazioneunipolis.org/progetti/osservatorio-sulla-sicurezza

[12] https://www.cop28.com/en/news/2023/12/Health-Declaration-delivering-breakthrough-moment-for-health-in-climate-talks

[13] https://www.sanita24.ilsole24ore.com/art/dal-governo/2023-12-04/cop28-schillaci-investire-salute-contrastare-rischi-legati-cambiamento-climatico-100221.php?uuid=AFQgziuB

Dopo la laurea triennale in Economics and Business all’Università LUISS, ha conseguito la laurea magistrale in Economics presso l’Università di Roma Tor Vergata con una tesi sperimentale in Economia del Lavoro su come l’introduzione di congedi di paternità influenzi gli esiti occupazionali ed economici delle madri.