Dopo gli anni del Covid, tornano ad aumentare i casi
Se c’è una cosa buona degli anni dell’emergenza pandemica da Covid-19, quella è indubbiamente il rallentamento della diffusione di malattie infettive. Tra quelle che più avevano giovato dalle chiusure e dai distanziamenti sociali vi sono indubbiamente la malattie e le infezioni sessualmente trasmissibili, e in particolare l’HIV: dal 2019 al 2020 si era infatti registrato un -44% nel numero di nuovi casi annui in Italia, passando così da oltre 2500 nuove infezioni all’anno a poco più di 1400. Con la fine della fase emergenziale lo scenario è tuttavia – prevedibilmente – cambiato e, anche per la diffusione dell’HIV, sembra esserci un riallineamento agli scenari pre-pandemici.
Secondo ultimi dati disponibili, risalenti al 2022 e pubblicati dall’Istituto Superiore di Sanità, si registra infatti un aumento dei casi, con il dato che torna a crescere per il secondo anno di fila: nel 2022 sono stati diagnosticati 1888 nuovi casi, con un +2% dal 2021 che si aggiunge al +32% già registrato tra il 2020 e il 2021. Sebbene ciò fosse in gran parte prevedibile e naturale con l’uscita dalla fase emergenziale e il superamento delle restrizioni sociali, non è un dato da sottovalutare, in quanto sembra indicare una nuova stabilizzazione del numero di contagi che, seppur ancora distante dal dato pre-Covid (tra il 2019 e il 2022 si registrano il 25% di casi in meno), sembra proiettato ad un assestamento intorno ai 2000 casi annui.
Inoltre, secondo i dati della sorveglianza nazionale delle nuove diagnosi dell’ISS, si conferma come molte diagnosi siano ancora tardive e spesso risalenti a infezioni avvenute anni prima: circa il 50% dei nuovi casi analizzati ha una conta dei linfociti Cd4 inferiore a 350 per millimetro cubico, e la metà di questi ha livelli inferiori alla soglia critica dei 200 che indica un’infezione in stadio avanzato.
Record di casi nel Lazio, mentre il dato di Milano migliora con il progetto Fast Track Cities
Per il terzo anno di fila, è il Lazio la regione che presenta il più alto numero di nuovi casi con 293 nuove diagnosi notificate nel 2022. È un dato che, nonostante il rallentamento rispetto all’anno precedente (nel 2021 i casi notificati erano stati 323), fa registrare un’incidenza record per 100.000 residenti pari a 4.8 contro una media nazionale di 3,2. Il dato si rivela ancora più elevato nella città di Roma, prima tra i capoluoghi di regione per numero di contagi, dove si registra un’incidenza pari a 5.2 e dove si sono verificati 218 nuovi casi – un dato molto più alto dei 141 di Napoli, dei 92 di Torino, e dei 55 di Milano.
Al secondo posto tra le regioni in termini di incidenza troviamo la Toscana, con 4 casi ogni 100.000 abitanti, seguita a stretto giro da Campania e Abruzzo a 3.9. Dati inferiori si registrano invece nelle altre grandi regioni, come la Sicilia, a 3,4, e soprattutto la Lombardia, a 2,1. Difatti, sebbene in virtù delle sue caratteristiche, il Lazio sia da sempre una delle regioni con il maggior numero di contagi, a differenza di altri territori, come la Lombardia, non è mai riuscita ad invertire il trend che la vede stabilmente alla guida di questa classifica. Nel chiedersi le cause di ciò, l’Icar (Italian Conference on Aids and Antiviral Research) evidenzia come il Lazio sia ancora indietro nell’attuazione di politiche di prevenzione e di sensibilizzazione. Ad esempio, a differenza della Lombardia, nel Lazio risultano ancora carenti sul territorio alcuni punti informativi o in cui si promuovono pratiche di prevenzione, tra cui la possibilità di effettuare test rapidi.
Strutture diffuse per la città con la funzione di check point sono invece state introdotte a Milano, che per anni era stata la città con più casi di contagio in Italia, dove dal 2018 il Sindaco Beppe Sala ha firmato l’adesione del Comune al progetto internazionale per la lotta all’Hiv “Fast Track Cities” (al quale aderiscono anche altri comuni lombardi, come Bergamo, Brescia e Cremona, ma anche città italiane come Firenze, Torino, Genova, Ancona e Palermo) che prevede la realizzazione di spazi di questo tipo. I check point sul territorio si caratterizzano per essere luoghi a cui è sempre possibile l’accesso e nei quali si garantisce la presenza di personale qualificato e di ‘peers’, talvolta persone con Hiv, con cui l’utente può avere un colloquio informativo sui rischi di contagio e sui prossimi passi da intraprendere. In questi luoghi è inoltre possibile fare test rapidi e viene fornito accompagnamento e assistenza nell’indirizzamento verso i centri infettivologici e altre strutture specializzate. Oltre a tali strutture che, dati alla mano, sembrano aver favorito la consapevolezza e incentivato un approccio più completo alla prevenzione della trasmissione di HIV, l’adesione a questo progetto prevede anche l’organizzazione di iniziative sul territorio, come i test e le informazioni portate ai diretti interessati nelle zone della movida e nei quartieri con la più alta densità di giovani, in modo da favorire una molteplicità di azioni che permettono di diversificare gli sforzi di prevenzione.
Prevenzione locale, ma anche nazionale: nell’ultimo decennio i contagi in Italia sono stati dimezzati
Il caso di Milano evidenzia ancora una volta l’efficacia delle politiche di prevenzione, ma anche come queste debbano andare di pari passo con un sostanziale impegno politico volto a sensibilizzare la popolazione e a promuovere il superamento culturale dei tanti tabù che ancora avvolgono tali patologie.
Ampliando l’analisi, è fondamentale evidenziare come, a prescindere dal recente aumento dei casi, il dato sulle infezioni HIV sia già in forte contrazione da diversi anni in gran parte dei paesi occidentali. In Italia le persone che vivono con l’HIV sono 120-130.000, valori che, anche prevendendo un’aggiunta cospicua di casi esistenti ma non registrati, segnano un andamento in costante contrazione in particolare negli ultimi decenni.
La costante diminuzione di casi, che ha portato ad un dimezzamento complessivo di nuove infezioni tra il 2012 e il 2022, è indubbiamente frutto di progressi scientifici, ma anche di una generale rinnovata attenzione al tema e ad una maggiore propensione, politica e mediatica, oltre che medica, a favorire la sensibilizzazione sul tema e una maggiore consapevolezza sulle cause, le conseguenze e la possibile prevenzione delle malattie trasmesse sessualmente. Nel decennio citato l’incidenza è infatti passata da 7 a 3,2 casi per 100.000 abitanti, con il numero di nuovi casi passato da 4.180 a 1.888.
Anche nel panorama europeo i miglioramenti dell’ultimo decennio consentono all’Italia di registrare valori migliori di quelli degli altri Stati: l’incidenza del nostro paese è infatti nettamente inferiore rispetto al valore medio stimato sia tra i Paesi dell’Europa occidentale che dell’Unione Europea (5,1 casi per 100.000 residenti in entrambe le aree) dove, per altro, si è registrato un brusco aumento del +30,8% nel numero di nuovi casi rispetto al 2021, anche se i contagi sono comunque in calo del 3,8% rispetto agli anni pre-pandemici. A livello mondiale, invece, le nuove infezioni da HIV si sono ridotte del 59% dal picco del 1995, e oggi sono 1,3 milioni i nuovi casi (2022) rispetto ai 3,2 milioni del 1995. Tuttavia, si stimano ancora circa 39 milioni di persone affette in tutto il mondo, molte delle quali vivono in Africa dove si registrano, di conseguenza, anche due terzi dei casi globali di AIDS, il 60% delle nuove infezioni e il 70% dei decessi.
Si riaccende la speranza per un vaccino anti-HIV
Oltre alle imprescindibili, e molto efficaci, politiche di prevenzione, da diversi anni la comunità scientifica si è attivata per rafforzare la ricerca di un vaccino che possa aiutare a sconfiggere l’HIV e le patologie ad essa collegate. Le prime sperimentazioni sul vaccino contro l’HIV sono iniziate nel 1987, e da allora sono emerse molte criticità nella ricerca di un’immunizzazione sicura ed efficace. In primis, è importante evidenziare come, a differenza degli approcci standard alla ricerca di soluzioni vaccinali, l’HIV non presenta casi di immunizzazione naturale come invece fanno altre malattie come morbillo e virus. Senza un modello di immunità naturale, la ricerca scientifica non ha modo di identificare direttamente una risposta immunitaria efficace, rendendo lo sviluppo di un vaccino contro l’HIV molto più complessa e articolata.
Ciononostante, negli anni sono stati portati avanti diversi tentativi di individuare soluzioni immunitarie. Solo poche settimane fa si è riaccesa una speranza concreta di una soluzione efficace, testata su un numero limitato di pazienti, che sembra aver dato dei primi – seppur preliminari – risultati concreti in decenni di ricerca. Dalle sperimentazioni della Duke School of Medicine di Durham (USA), pubblicate sulla rivista Cell (Williams WB, Alam SM, Ofek G, et al., 2024) meno di un mese fa, si rileva infatti lo sviluppo di sostanze che hanno stimolato modeste quantità di anticorpi ampiamente neutralizzanti in grado di riconoscere e bloccare le diverse, e rapidamente mutevoli, versioni del virus dell’HIV. Anticorpi di questo tipo (“broadly neutralizing Ab”, “bnAbs”) hanno una straordinaria efficacia (alcuni sono oggi utilizzati come farmaci complementari o alternativi ai classici farmaci antiretrovirali), ma si sviluppano naturalmente solo in un numero limitato di pazienti affetti da HIV (il 10% circa) e tendenzialmente con tempi talmente lunghi da renderli quantitativamente insufficienti per neutralizzare il virus. Dalla sperimentazione in fase 1, condotta su 24 volontari sani, inclusi 4 controlli che hanno ricevuto un placebo, cui sono state somministrate diverse dosi di un vaccino sperimentale basato su liposomi caricati col peptide desiderato, emerge che questo vaccino riuscirebbe, invece, a ottenere l’induzione ottimale di secrezione di bnAbs in poche settimane già dopo sole due dosi.
Conclusioni
Sebbene si tratti ancora di risultati preliminari e nelle primissime fasi, la dimostrata capacità di stimolare quantità sufficienti degli anticorpi necessari in poco tempo porta una rinnovata ventata di ottimismo, che mancava da tempo, nel campo del contrasto all’HIV. Questa nuova strategia utilizzata, definita Germline Targeting in quanto ha l’obiettivo di stimolare linfociti B vergini (naive) in grado di produrre anticorpi recursori dei bnAbs desiderati, è ora al centro di ulteriori ricerche e approfondimenti, ma già questi primi risultati consentono di perseguire l’impegno in materia con maggiore ottimismo e, non meno importante, con maggiore capacità di attrarre finanziamenti.
E se da una parte occorre affrettare il passo con cui si percorre la lunga strada per arrivare a un vaccino contro l’HIV, dall’altra la comunità di policy maker globali ma anche locali – come dimostra il caso di Milano – deve fare tesoro delle best practice attuate in questi anni per ampliare il ventaglio di politiche preventive e favorire un contrasto alle malattie sessualmente trasmissibili che sia innanzitutto culturale e informativo, tentando di arrestare così la recente risalita del numero di casi.