In un’estate caratterizzata dal forte aumento di casi di dengue, West Nile Virus (WNV) e COVID, nonché dalle ormai consuete – date le temperature sempre più alte – ripercussioni sulla salute del caldo torrido, il mondo si è ritrovato anche alle prese con la poliomielite, un male che sperava di aver (praticamente) sconfitto. Il rischio di un’epidemia di poliomielite (o “polio”), una malattia infettiva che colpisce i neuroni del midollo spinale e che è stata negli anni fortemente contrastata grazie a campagne vaccinali globali, è infatti tornato a far preoccupare la comunità scientifica internazionale dopo la rilevazione di nuovi casi a Gaza.

La risposta immediata dell’OMS, che è intervenuta con una massiccia campagna di immunizzazione, sta tuttavia già registrando risultati rassicuranti, dimostrando – ancora una volta – l’imprescindibilità delle vaccinazioni.

COS’È LA POLIO?

La polio, un tempo una delle maggiori preoccupazioni dei genitori di tutto il mondo, è una malattia oggigiorno sconosciuta ai molti. Grazie agli enormi risultati ottenuti con il progresso scientifico e medico, questa malattia virale altamente infettiva è infatti stata praticamente eradicata nel giro di pochi decenni nella seconda metà del secolo scorso, quando furono portate avanti campagne di vaccinazione globali. È tuttavia quel “praticamente” a continuare a destare preoccupazione, soprattutto per la grade viralità con cui questo virus si diffonde una volta stabilitosi in acque o cibi somministrati a bambini o neonati.

Sono infatti i giovani sotto l’età dei 5 anni i più esposti a tale virus che colpisce i neuroni del midollo spinale in modo fulmineo invadendo il sistema nervoso centrale e arrivando a distruggere anche le cellule neurali. La polio, per la quale non esiste una cura, si trasmette da persona a persona principalmente per via oro-fecale o attraverso un veicolo comune come, appunto, acqua o cibo contaminati, e si moltiplica nell’intestino del paziente fino a invadere il sistema nervoso. Una volta ingerito, il virus si moltiplica rapidamente nel tratto gastrointestinale e, in circa il 30% dei casi, porta allo sviluppo di una malattia acuta con ripercussioni anche molto gravi, come la paralisi totale o addirittura il decesso: l’OMS stima, infatti, che un caso di poliomielite su 200 provochi una paralisi permanente, solitamente delle gambe, e che tra i bambini paralizzati fino al 10% muore a causa della paralisi anche dei muscoli respiratori.

STORIA DI UN VIRUS QUASI SCONFITTO

Sebbene la poliomielite esista fin dalla preistoria, con antiche immagini egiziane che mostrano bambini alle prese con bastoni e “stampelle” a causa degli arti avvizziti caratteristici della malattia, per numerosi secoli non ricevette grande considerazione medica o scientifica. La prima descrizione clinica pervenuta della poliomielite risale solo al 1789 (grazie al medico britannico Michael Underwood), mentre il suo riconoscimento formale come malattia è addirittura del 1840 (grazie al medico tedesco Jakob Heine). Tra il XIX e il XX secolo le frequenti epidemie di polio hanno fatto sì che questa diventasse la malattia più temuta al mondo, in particolare per le conseguenze fisiche – come paralisi e deformazione degli arti – fortemente impattanti e per le quali non vi era cura. Fu in quegli anni (nel 1921) che, tra le migliaia di casi, anche il futuro Presidente degli USA Franklin D. Roosevelt fu colpito dalla malattia, causandogli la paralisi degli arti inferiori. Tra gli episodi più gravi di epidemie di polio si ricorda quella del 1916, che uccise oltre 2000 persone nella sola New York, e, sempre negli USA, l’epidemia che nel 1952 fece registrare 21.000 casi e addirittura 3000 decessi.

Negli Stati Uniti del dopoguerra, nel quale si stavano facendo considerevoli passi avanti anche nella vaccinazione antinfluenzale, si diede così inizio a diversi programmi di ricerca sulla polio che, nel giro di pochi anni, offrirono risultati straordinari: nel 1949 il poliovirus fu coltivato con successo per la prima volta in un tessuto umano da John Enders, Thomas Weller e Frederick Robbins all’ospedale pediatrico di Boston mentre, nei primi anni ‘50, il medico statunitense Jonas Salk sviluppò la prima forma di vaccinazione anti-polio sperimentandola su se stesso e su 1,6 milioni di bambini in Canada, Finlandia e Stati Uniti. I risultati di questi studi, che mostravano un grande successo del vaccino di Salk, furono pubblicati nel 1955 e fu così che il primo vaccino antipolio (“IPV”, o “vaccino inattivato di Salk”) fu autorizzato per la somministrazione. Pochi anni dopo, il fisico polacco Albert Sabin sviluppò un secondo tipo di vaccino (“OPV”, o “vaccino vivo attenuato” di Sabin) molto più adatto ad una diffusione di massa grazie alla possibilità di essere somministrato oralmente (e non inoculato), su un cucchiaio o su zollette di zucchero che nel giro di poco tempo divennero il simbolo di tale immunizzazione di massa.

L’efficacia delle campagne di vaccinazione fu evidente già dopo pochi anni e, nel 1960, la Cecoslovacchia divenne il primo paese a eliminare la polio. L’eradicazione del virus tramite l’immunizzazione divenne quindi un’ambizione l’OMS che, dopo aver raggiunto il medesimo risultato con il vaiolo nel 1980, nel 1988 lanciò l’Iniziativa Globale per l’Eradicazione della Polio individuando il vaccino OPV di Sabin come quello più adatto per raggiungere l’eradicazione a livello mondiale. Dal 2000 sono così state somministrate oltre 10 miliardi di dosi di OPV a quasi 3 miliardi di bambini in tutto il mondo, uno straordinario risultato che ha permesso, secondo le stime OMS, di prevenire più di 13 milioni di casi di polio. Il vaccino di Sabin è stato somministrato fino al 2002 anche in Italia, anno in cui anche il nostro Paese è stato dichiarato polio-free, e ha permesso di eradicare la poliomielite anche nel resto d’Europa.

Complessivamente, dal 1988 i casi di poliovirus selvaggio sono diminuiti di oltre il 99%, passando da circa 350.000 casi in oltre 125 Paesi endemici a soli 6 casi segnalati nel 2021. Nel luglio 2021, a livello mondiale l’OMS registrava solo 2 casi di poliovirus selvaggio, uno in Afghanistan e l’altro in Pakistan.

25 ANNI DOPO TORNA LA POLIO A GAZA

Come in gran parte del mondo, la poliomielite era stata debellata a Gaza da più di 20 anni prima che quest’estate il virus tornasse a colpire questa regione già alle prese con un grave conflitto. A luglio l’OMS ha infatti riferito che il virus, nella sua variante circolante di tipo 2 (cVDPV2), era stato rilevato in sei campioni ambientali – o acque reflue – raccolti nella parte centrale della Striscia di Gaza, una zona in cui macerie, mancanza di infrastrutture sanitarie, e condizione basilari igieniche ormai assenti, fanno aumentare in modo esponenziale i rischi di propagazione. Poco dopo, il 23 agosto, è difatti stato confermato un caso di polio – il primo registrato nella regione in 25 anni – in un bambino di 11 mesi, non vaccinato, a Deir Al-Balah.

Con 1,9 milioni di persone che risultano sfollate, e tenendo conto delle caratteristiche epidemiologiche del virus, la comunità scientifica ha subito mostrato grande preoccupazione per questa notizia. A ciò si aggiunge che, dall’inizio del conflitto, la copertura vaccinale antipolio a Gaza è scesa dal 99% all’86% (dati Unicef) e che il 40% dei bambini non vaccinati si trova nei territori maggiormente coinvolti nella guerra.

“LA POLIO NON ASPETTA”. NUOVO RISCHIO EPIDEMIA?

Il rischio della diffusione della polio a Gaza e oltre, in particolare nei paesi vicini, è infatti stato ritenuto immediatamente molto alto, con il Segretario Generale l’ONU, Antonio Guterres che ha chiesto una pausa di sette giorni nei combattimenti per consentire alle agenzie internazionali di lanciare una campagna di vaccinazione per 640.000 bambini e bambine nella Striscia, ricordando come “La polio non si preoccupa delle linee di confine – e la polio non aspetta”. Difatti, oltre alla popolazione di Gaza, a grande rischio risultano essere anche gli altri paesi della regione, in particolare i confinanti Egitto e Israele. Già prima della rilevazione del primo caso governo israeliano aveva preventivamente attivato una campagna di somministrazione per le forze militari impegnate nel conflitto, senza tuttavia prevederne l’obbligatorietà per via della forte resistenza alla vaccinazione che porta il paese ad avere tuttora circa 175.000 bambini non risultano immunizzati contro la poliomielite.

LA VACCINAZIONE DI MASSA PER LA POLIOMIELITE A GAZA

Domenica 1 settembre è iniziata la campagna di vaccinazione emergenziale di massa coordinata dall’OMS, con il coinvolgimento del Ministero della Salute palestinese e di numerose altre organizzazioni internazionali. Questa è stata resa possibile grazie all’accordo raggiunto solo pochi giorni prima (il 29 agosto) con lo stato di Israele per una “pausa limitata dei combattimenti” (ovvero tregue di 8 ore al giorno dai combattimenti, dalla mattina presto al primo pomeriggio) volta consentire la vaccinazione antipolio di centinaia di migliaia di bambini. Obiettivo dichiarato di questa ambiziosa campagna è l’immunizzazione di 640.000 bambini sotto i 10 anni, per i quali è prevista la somministrazione di due gocce del nuovo vaccino orale antipolio (nOPV2) ciascuno in due cicli. L’OMS ha già inviato nella Striscia oltre 25mila fiale di vaccini, pari a circa 1,6 milioni di dosi.

L’UNICEF ha fatto sapere che la prima fase di questa campagna emergenziale, che si è svolta dall’1 al 3 settembre, è andata meglio del previsto, raggiungendo più di 189.000 bambini sotto i 10 anni nell’area centrale della Striscia di Gaza e superando l’obiettivo iniziale. Questa ha visto il coinvolgimento di 513 squadre dell’ONU, composte da oltre 2180 operatori sanitari e comunitari, che hanno svolto le attività di somministrazione in 143 siti fissi, tra cui ospedali, punti medici, centri di assistenza primaria e campi in cui vivono gli sfollati. È ora in corso la seconda fase della campagna, prevista dal 5 all’8 settembre, che si rivolge a circa 340.000 bambini di età inferiore ai dieci anni nel sud di Gaza. In questo caso, le squadre dispiegate saranno circa 517, tra cui 384 squadre mobili. La terza e ultima fase della campagna di vaccinazione è prevista dal 9 all’11 settembre e servirà a raggiungere 150.000 bambini nel nord di Gaza.

FERMARE L’EPIDEMIA: UN RISULTATO POSSIBILE GRAZIE Al VACCINI

Per fermare l’epidemia, prevenire la diffusione internazionale della polio e ridurre il rischio di una sua ricomparsa, salvando così la vita di migliaia di bambini (e non solo) l’OMS ritiene necessario raggiungere una copertura vaccinale di almeno il 90% con la propria spedizione a Gaza. Sebbene i primi giorni di questa impresa sanitaria stiano già mostrando i risultati auspicati, grazie anche alla fiducia mostrata dalla popolazione locale che è accorsa ai siti di somministrazione appena sono state rese disponibili le dosi, è probabilmente troppo presto per stabilire se tali risultati verranno interamente raggiunti e se non si registreranno altri casi nelle prossime settimane. La spedizione tempestiva dell’OMS e dell’ONU mostra tuttavia, ancora una volta, l’inestimabile valore della vaccinazione come strumento di prevenzione efficace e indispensabile tanto per fasce di popolazione e aree geografiche specifiche, che per campagne sanitarie globali. Parallelamente, non si può non riconoscere lo straordinario impegno di queste organizzazioni internazionali che con tempestività hanno subito messo a disposizione migliaia di dosi e personale umano.

Come dimostra la storia degli ultimi decenni, in termini di efficacia e di risultati nel campo della salute pubblica, nulla può essere paragonato alle campagne globali di prevenzione e immunizzazione quando l’intera comunità internazionale condivide gli stessi obiettivi. È con questa evidenza che, come a Gaza in queste settimane, anche nei prossimi mesi e anni sarebbe fortemente auspicabile un rinnovato impegno della comunità internazionale nei campi della prevenzione e della ricerca in ambito vaccinale, nonché in campagne di immunizzazione tanto per i virus già ampiamente noti che per quelli che si sono sviluppati più di recente.

 

 

Dopo la laurea triennale in Economics and Business all’Università LUISS, ha conseguito la laurea magistrale in Economics presso l’Università di Roma Tor Vergata con una tesi sperimentale in Economia del Lavoro su come l’introduzione di congedi di paternità influenzi gli esiti occupazionali ed economici delle madri.