Lo scorso 2 luglio la Commissione Europea ha pubblicato la tanto attesa Life Science Strategy “Choose Europe” che ha l’obiettivo dichiarato di rendere l’Europa il polo di riferimento mondiale per le scienze della vita entro il 2030. Dopo mesi di proclami e anticipazioni, le aspettative erano molto alte. Tuttavia, la Strategia, se da una parte alimenta la speranza di una politica più coesa in materia, dall’altra sembra ancora mancare della necessaria incisività e spinta ambiziosa.
DOPO UNA LUNGA ATTESA, ARRIVA LA STRATEGIA EUROPEA SULLE LIFE SCIENCES
A seguito dei difficili anni dell’emergenza pandemica, il ruolo della salute all’interno delle politiche UE è stato fortemente rivalutato, sia nelle sue componenti sociali e di benessere della popolazione sia in termini industriali e di sviluppo economico. Negli anni si è quindi fatta sempre più forte la necessità di una strategia europea unica che racchiudesse tutto l’ampio e variegato mondo delle scienze della vita e che ne coordinasse le azioni indicando prospettive di crescita e favorendo lo sviluppo di un ecosistema aperto a innovazioni e investimenti.
Questo è stato possibile grazie alla tradizionale presenza di peso degli stati UE nelle varie declinazioni delle scienze della vita, sia specificatamente nei settori della farmaceutica e dei dispositivi medici, che nei più ampi campi dell’agroalimentare e della biodiversità. Si pensi che, nel 2022, i settori europei delle scienze della vita hanno dato lavoro a circa 29 milioni di persone, ovvero il 13,6% dell’occupazione complessiva nell’UE, e hanno generato un valore aggiunto di €1,5 trilioni, circa il 9,4% del PIL dell’Unione. Particolare crescita si è registrate nell’ultimo decennio, nel quale complessivamente i settori delle scienze della vita dell’UE hanno generato una crescita annuale costante tra il +4% e il +7% del valore aggiunto.
Tuttavia, occorre evidenziare come il percorso che ha portato alla pubblicazione di “Choose Europe” lo scorso 2 luglio è stato lungo, articolato, e non sempre caratterizzato da coerenza e costanza. Già all’inizio del proprio secondo mandato, la presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen aveva delineato tra le priorità contenute nelle sue Linee guida politiche (18 luglio 2024), sviluppate intorno al concetto di “prosperità e competitività” dell’Europa, una marcata attenzione al settore delle scienze della vita evidenziando un duplice obiettivo: da un lato, la necessità di riforme per sostenere l’industria del settore in Europa e gli attori presenti in tale comparto, dall’altro, il bisogno di rilanciare il settore anche in termini di miglioramento dell’assistenza sanitaria per le persone che vivono in Europa.
Queste indicazioni sembravano voler dar seguito al lavoro del primo mandato della presidente Von der Leyen, nel quale il tema della salute aveva assunto massima centralità soprattutto a causa della pandemia da Covid-19. Risalgono a quegli anni, infatti, passaggi importanti che hanno visto l’inserimento della salute tra gli “asset strategici” dell’Unione e la maggiore considerazione dell’autonomia strategica anche in questo ambito, ma soprattutto l’avvio dei lavori sull’ampio e ambizioso progetto della European Health Union nell’autunno 2020. Quest’ultima vedeva tra i suoi aspetti fondamentali l’imprescindibilità di interventi su aspetti centrali quali l’Antimicrobico resistenza (AMR), la realizzazione dello EHDS, il piano europeo per la lotta al cancro, il rilancio delle politiche di prevenzione e della salute mentale, oltre che la carenza di farmaci e dispositivi medici critici.
Tuttavia, non tutti questi proclami hanno poi trovato seguito, o quantomeno non con la stessa spinta e convinzione che caratterizzava gli annunci della Commissione a seguito dei mesi più duri della pandemia. Alcune progettualità sembrano infatti essere passate in secondo piano, con i lavori che si sono incentrati solo su alcuni interventi normativi ritenuti particolarmente importanti. Tra questi, il Critical Medicines Act, per ridurre la dipendenza da questi farmaci e principi attivi scarsamente disponibili, e lo European Biotech Act, diventato ora uno degli elementi centrali della Strategia Life Science.
“CHOOSE EUROPE”: 4 ANNI E MEZZO PER RENDERE L’EUROPA IL CENTRO DELLE LIFE SCIENCES
Con la nuova Strategia, pubblicata con una Comunicazione della Commissione dal titolo “Choose Europe”, l’UE dichiara esplicitamente di rilanciare il proprio impegno sul tema, puntando a rendere l’Europa “il luogo più attraente al mondo per le scienze della vita entro il 2030”. In circa 30 pagine, composte da una prima parte di analisi e contesto, e una seconda dedicata all’elaborazione di proposte – o meglio, di spunti, data il limitato grado di approfondimento di queste ultime –, la Commissione delinea un percorso di medio termine il cui risultato dovrebbe essere un aumento della competitività del Vecchio continente nel settori critici delle biotecnologie e dell’innovazione scientifica, nel solco del percorso delineato dal rapporto Draghi. Per raggiungere tale obiettivo, sono stati previsti finanziamenti totali che superano quota €10 miliardi all’anno fino al 2030.
Come per altri interventi dell’UE, anche per l’elaborazione di questa Strategia la Commissione ha svolto una consultazione pubblica, ricevendo 794 contributi da 28 Paesi nel corso delle quattro settimane di apertura della piattaforma “Have your Say”. Dai dati ufficiali , emerge che i partecipanti provengono da 20 Stati membri – con una maggiore rappresentanza da Spagna, Belgio, Germania, Paesi Bassi e Austria – e da 8 Paesi extra UE, tra cui Regno Unito, Stati Uniti e Svizzera. Oltre ai cittadini, hanno risposto università, centri di ricerca, ONG, aziende, associazioni di categoria e autorità pubbliche, a dimostrazione di una trasversale considerazione e interesse per un settore ritenuto sempre più strategico.
I 3 PILASTRI DELLA STRATEGIA
La Strategia presentata dalla Commissione poggia principalmente su tre linee d’azione che raggruppano alcuni dei temi e degli interventi che puntano ad accelerare l’innovazione europea, e con essa la competitività del settore delle scienze della vita:
1. Ottimizzare l’ecosistema della ricerca e dell’innovazione: la Commissione intende sviluppare un piano di investimenti comunitari per facilitare il finanziamento di studi clinici multinazionali basati su standard etici armonizzati, e rafforzare le infrastrutture di ricerca clinica europee. La Commissione punta molto, infatti, sulla creazione di “nuove conoscenze” combinando discipline delle scienze della vita favorendo partenariati, missioni e “biocluster” con finanziamenti per la ricerca e lo sviluppo di medicinali per terapie avanzate (ATMP) e con l’istituzione, nel 2026, di una rete europea di centri di eccellenza ATMP.
Al contempo, si propone di intervenire sulle norme che regolano le sperimentazioni cliniche per i farmaci e su quelle che coprono le sperimentazioni cliniche per i dispositivi medici nel programma COMBINE. Si intende infatti semplificare le normative relative ai dispositivi medici per accelerare l’accesso dei pazienti, riconoscendo la necessità di trovare un equilibrio tra un accesso più rapido e la sicurezza dei pazienti.
Inoltre, viene riportato dalla Commissione che verrà data piena attuazione all’applicazione dell’approccio One Health per la ricerca e l’innovazione (“liberando il potere dei dati e dell’intelligenza artificiale per far progredire l’innovazione”) destinando fino a €100 milioni a questi temi nell’ambito dei programmi di lavoro Horizon Europe 2026-27. Inoltre, saranno stanziati €250 milioni per le tecnologie intersettoriali, favorendo lo sviluppo di nuove molecole, materiali avanzati e una biofabbricazione più efficiente.
2. Consentire un rapido accesso al mercato per le innovazioni nel campo delle scienze della vita: Per accelerare la diffusione di innovazioni e le procedure di market access nel campo delle scienze della vita, la Commissione ribadisce il proprio impegno per una legge europea sulle biotecnologie – l’ormai noto “Biotech Act” – che ha come obbiettivo quello di creare un quadro più favorevole all’innovazione in tutti i settori biotecnologici.
Di Biotech Act si sente parlare ormai da diverso tempo a Bruxelles, con la Commissione che lo ha reso uno degli obiettivi “flagship” del proprio mandato e che ne prioritizza la concretizzazione (“al più tardi” nel 2026) anche per distogliere l’attenzione dalla ben più critica e discussa revisione della legislazione farmaceutica (che, non a caso, non compare neanche nel documento programmatico che racchiude le Linee Guida politiche del secondo mandato alla guida della Commissione Von der Leyen). La legge sulle biotecnologie viene infatti vista come un’opportunità per promuovere la competitività europea e rafforzare le norme di protezione della proprietà intellettuale attraverso quella che è stata definita una “regolamentazione rispondente all’innovazione”, ovvero un tentativo di far convivere una regolamentazione più leggera e favorevole alla ricerca e all’innovazione, da un lato, e la sicurezza dei pazienti e il rigore scientifico, dall’altro. Difatti, obbiettivo centrale della legislazione sembra voler essere la semplificazione dei passaggi delle biotecnologie “dal laboratorio alla fabbrica”, provando ad avvicinare le fasi di ricerca e sviluppo a quelle di produzione e mercato – come, tra l’altro, suggerito nel Rapporto Draghi.
La Commissione risulta impegnata nel voler rafforzare il ruolo di startup e PMI, anch’esse viste come centrali per l’innovazione nell’articolato e diffuso tessuto industriale europeo. La necessità di capitali aggiuntivi e di maggiori investimenti pubblici e privati è essenziale per recuperare il ritardo accumulato rispetto ad altre regioni del mondo e per garantire che la loro innovazione rimanga in Europa, e per far ciò la Commissione ha annunciato di voler anche lanciare un un’interfaccia per mettere in contatto le startup stesse, con l’industria preesistente e gli investitori, sfruttando il portafoglio del Consiglio europeo dell’innovazione e la sua rete di investitori fidati.
3. Aumentare la fiducia, l’adozione e l’utilizzo dell’innovazione: sotto questa voce, la Commissione ha sintetizzato i propri sforzi nei campi della governance e del procurement al fine di rendere anche questi ultimi degli strumenti “adatti a” e “promotori di” processi di innovazione. Per fare ciò, è stato previsto un investimento di €300 milioni per stimolare gli appalti per l’innovazione nei campi più critici dell’ampio mondo delle scienze della vita, quali l’adattamento ai cambiamenti climatici, i vaccini di nuova generazione e le soluzioni oncologiche a prezzi accessibili.
Allo stesso tempo, la Strategia punta a rafforzare la fiducia dei cittadini combattendo la disinformazione e rispondendo alle preoccupazioni e alle aspettative. A tal fine, si annuncia la creazione di un nuovo “Gruppo di coordinamento per le scienze della vita” per allineare le politiche e i finanziamenti tra i vari settori e sostenere l’impegno con gli stakeholder interessate, tra cui l’industria e i cittadini.
L’ITALIA UN’ECCELLENZA NELLE SCIENZE DELLA VITA
All’interno del contesto europeo, l’Italia ha un forte interesse quando si parla di life sciences. Difatti, come noto, il nostro Paese vanta uno degli ecosistemi delle Scienze della Vita di maggiore rilevanza economica e sociale, in cui tanto il settore farmaceutico quanto quello dei dispositivi medici rappresentano pilastri strategici per la crescita e l’innovazione, oltre che per la salute della popolazione. Numerosi valori evidenziano questa forza, mostrando una continua crescita del settore e suggerendo la possibilità di ulteriori prospettive di espansione da cogliere.
Nello specifico, la produzione del comparto farmaceutico è più che raddoppiata negli ultimi 10 anni e vale €52 miliardi, ovvero circa il 2% del PIL nazionale. A ciò si aggiunge l’industria dei dispositivi medici, che ha un mercato interno di €12,4 miliardi e un valore della produzione di circa €7 miliardi. Caratteristica di grande forza del comparto in Italia è la vocazione all’export: nell’industria farmaceutica vale €49 miliardi (registrando un boom del +150% tra il 2013 e il 2023), mentre nei device è di circa €6 miliardi, con il nostro Paese che si conferma 12° forza esportatrice del mondo.
I benefici, però non sono “solo” industriali, ma anche occupazionali. Complessivamente il variegato ecosistema di imprese e attori del mondo delle scienze della vita impiega circa 200mila persone in Italia, di cui 70mila nella farmaceutica e 118mila nei dispositivi medici. Spicca, rispetto ad altri settori dell’economia nazionale, la costante crescita della domanda di forza lavoro negli ultimi anni, e soprattutto l’elevata qualità delle mansioni che, difatti, vedono principalmente l’impiego di personale altamente qualificato: il 90% addetti sono in possesso di laurea o diploma (63% la media del settore secondario) e oltre il 50% è in possesso di una o più lauree (contro il 21% di media del settore secondario). Inoltre, il comparto si distingue per la presenza significativa di giovani (+19% di occupazione degli under 35 negli ultimi cinque anni) e di donne, che sono il 45% della forza lavoro totale (il 53% nella R&S), contro il 29% di media del settore secondario.
OTTO PAESI EUROPEI GIÀ HANNO UNA PROPRIA STRATEGIA. E L’ITALIA?
L’analisi delle tendenze e delle dinamiche attuali dimostra come l’Italia abbia consolidato il suo ruolo tra i principali attori europei grazie alla qualità delle sue imprese, alla forza dei distretti produttivi e a una significativa vocazione all’export. Tuttavia, il settore delle scienze della vita in Italia – pur rappresentando un’eccellenza a livello produttivo e commerciale – necessita di una visione strategica di lungo termine che sappia coniugare innovazione, attrattività e sostenibilità e aiuti il Paese a superare alcuni noti limiti strutturali del sistema e a favorire un clima più aperto a investimenti e innovazione.
Difatti, il confronto con altri Paesi UE evidenzia l’importanza di modelli strategici e di programmazione che integrino politiche fiscali vantaggiose, incentivi mirati alla ricerca e un quadro normativo stabile. In particolare, si evidenzia come, in concerto con le novità a livello comunitario, 6 paesi dell’UE abbiano già adottato le proprie strategie nazionali sulle scienze della vita, ai quali si aggiungono il Regno Unito e la Svizzera. Nella maggior parte dei casi sono programmazioni nate tra il 2019 e il 2021, anni in cui, a seguito della pandemia da COVID-19, i governi davano nuova attenzione al comparto salute, rimarcandone non solo l’inestimabile valore per la vita dei propri cittadini, ma anche il potenziale a livello industriale e produttivo nonché in termini di autonomia strategica in ambito geopolitico e internazionale.

CONCLUSIONI
Come ben scritto nelle conclusioni di Choose Europe, “il settore delle scienze della vita si trova in un momento cruciale”. Questa dichiarazione fotografa una realtà che, dopo le criticità degli anni pandemici e la crescente esposizione a stravolgimenti e nuova competizione globale, richiede – tanto nell’UE quanto nei suoi singoli Stati Membri – una rinnovata spinta e nuove prospettive. In ballo, infatti, non c’è solo la sicurezza nelle approvvigionamento di medicinali e device essenziali per la popolazione europea, ma anche la sopravvivenza di un settore economico e sociale dall’imparagonabile impatto in termini occupazionali e di valore aggiunto. Con la capacità di promuovere innovazione, incrementare competitività, fornire posti di lavoro di qualità e migliorare il benessere della società, le scienze della vita sono infatti un settore unico che non può che essere uno dei principali pilastri strategici per un’Europa alla ricerca del proprio ruolo nel mondo.
In questo contesto, la Strategia delineata dalla Commissione sembra ancora, in gran parte, poco più di un insieme di proclami e qualche investimento. Le buone intenzioni, ad esempio sul rafforzamento della R&S e sulla sperimentazioni cliniche centralizzate, così come sulla necessità di rivedere le procedure di procurement, richiedono infatti interventi molto più decisi e incisivi. A seguito del Covid-19 sembrava infatti, finalmente, aperta la strada verso investimenti e interventi comuni anche nel settore della salute, mentre oggi persino la tanto auspicata possibilità di scorporare gli investimenti in prevenzione dal computo del debito pubblico statale (nel quadro del nuovo Patto di Stabilità) risulta ambigua. Al contempo, servono tempistiche chiare, una chiara distinzione tra competenze statali e comunitarie, e soprattutto un maggiore coinvolgimento di tutti gli attori impegnati del settore.
Parallelamente, un ruolo non meno importante deve essere svolto dagli Stati Membri, con l’Italia che, dato il protagonismo nel settore, deve assumere un ruolo di traino. Per gestire le peculiarità del nostro ecosistema e sfruttare appieno il potenziale ancora latente, nonché per cogliere le opportunità offerte da questo comparto, si rende impellente l’esigenza di implementare una “Life Science Strategy” anche nel nostro Paese. L’introduzione di una tale strategia rappresenterebbe, infatti, un passo irrinunciabile per accelerare la conversione del sistema sanitario italiano in un propulsore di sviluppo economico e di innovazione. Ciò permetterebbe al Paese di ridurre il divario con i principali concorrenti europei e di affermarsi come polo strategico nel contesto globale, soprattutto ora che l’Europa ha delineato i propri obiettivi e le linee strategiche prioritarie. Difatti, favorire lo sviluppo di una Strategia nazionale, in questo momento, consentirebbe all’Italia di inserirsi in questi percorsi dell’UE al contempo rafforzando la propria posizione.




