Il futuro del Servizio Sanitario Nazionale pone un problema di verifica della sua sostenibilità economica, soprattutto alla luce delle misure più recenti di “razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica” introdotte dal D.l. 6 luglio 2012 (con un taglio complessivo di 6,8 miliardi di euro entro i prossimi due anni) e del Ddl di Stabilità divenuto Legge in via definitiva il 24 dicembre 2012 (ulteriori 600 ml di euro al FSN per l’anno 2013). I provvedimenti si inseriscono nel quadro dei decreti attuativi del Federalismo fiscale e, nella fattispecie, nella determinazione dei Livelli Essenziali compatibilmente con esigenze di equilibrio della finanza pubblica, introdotta dal D.lgs. 68/201. La discussione circa l’opportunità di mantenere saldo il principio costituzionalmente garantito di accesso universale alle cure e all’assistenza sanitaria non può far dimenticare fattori essenziali, primo tra questi il dato OCSE che nel 2010 mostra una riduzione della spesa sanitaria pubblica e privata in Europa, con quella italiana che si attesta a un livello più basso (9, 3%) rispetto alla media dei Paesi dell’Europa (9,5%). Questi dati, letti in tandem con quelli ad esempio delle performance delle Regioni sottoposte a Piano di Rientro, rilanciano la questione non tanto sull’opportunità di sostenere l’accesso universale alle cure, ma di ciò che vale la pena sostenere. Le variabili che incidono direttamente e indirettamente sull’assetto e sulla struttura del sistema sanitario nazionale sono tuttavia da ponderare ai fini di una migliore valutazione dei driver in termini di efficienza ed efficacia. Uno dei principali è il binomio “crescita demografica/appropriatezza degli interventi”. La fascia della popolazione over 65 assorbe la maggiore quantità di risorse del SSN, specie nell’ambito della spesa farmaceutica territoriale (63% al 2011), e secondo previsioni ISTAT, la fascia over 64 costituirà oltre il 20% della popolazione italiana nel 2050. Il miglioramento dei servizi destinati all’assistenza domiciliare integrata e accesso a terapie innovative della popolazione over 64, impatterebbe notevolmente sull’acutizzazione di alcune patologie croniche (cardiovascolari e degenerative in particolare). Se attentamente verificata, l’appropriatezza (anche oltre la presa in carico delle patologie croniche degli anziani) si tradurrebbe in una deospedalizzazione che genererebbe un risparmio di 6,1 miliardi di euro l’anno in costi sanitari e 5,6 miliardi di costi non sanitari, a fronte di una spesa sostenuta per medicinali che è attualmente pari a 6,3 miliardi di euro (dati Farmindustria, Aprile 2013).
A queste misure (che comporterebbero una revisione del PSN mediante l’inserimento di terapie innovative nei LEA) sarebbe auspicabile fosse coniugato una maggiore integrazione ospedale-territorio. Una nuova valorizzazione dell’assistenza di base e delle funzioni dei MMG, la creazione di una “modulazione organizzativa” per intensità e tipologia della cura (con ricorso alla medicina telematica) che porterebbe inoltre alla riconversione delle strutture sanitarie improduttive nei territori periferici, potrebbero innescare un meccanismo virtuoso che permetterebbe di curare meglio e trovare lo “spazio finanziario” per introdurre cure innovative, senza comprometterne l’equità nell’accesso. Il rilancio dell’industria farmaceutica è un ulteriore step da compiere: è scoraggiante la combinazione di fattori quali contrazione dei consumi (-2,7% nei primi nove mesi del 2012), ostacoli all’accesso tempestivo sul mercato (scadenza dei brevetti entro il 2014 e lentezza nell’iter di approvazione), e investimenti con crescita costantemente inferiore al tasso d’inflazione. Il ritardo dei pagamenti erode la redditività di questo settore industriale, e disincentiva la competitività al suo interno, con ricadute negative su ricerca, crescita ed occupazione.
In particolare, nella combinazione infelice di questi fattori, pesa molto la differenziazione marcata nell’accesso ai farmaci innovativi a causa di quanto già detto a proposito dei meccanismi di approvazione (fino all’approdo nei Prontuari Regionali) ma anche del vincolo costituto dal tetto del prodotto (product spend ceiling) e dalle condizioni di rimborso. Non può infine passare inosservato il ruolo che il privato sociale sta esercitando, non solo a livello economico, sull’intero sistema. Gli strumenti complementari di finanziamento (fondi integrativi e prodotti assicurativi) che debbono sostenerlo e integrarlo sono nel nostro Paese inferiori alla media OCSE (dato 2010), mentre nel 2010/2011 le offerte di copertura sanitaria e benefit ai lavoratori dipendenti sono cresciute in Europa del 3,3% e in Italia del 2,3%. Innovazione, organizzazione e appropriatezza sono variabili fondamentali per la sostenibilità del SSN. Sappiamo bene che le risorse dedicate alla Sanità sono quota parte di una grandezza variabile come il PIL, che in una fase di recessione riduce, inesorabilmente, le risorse per servizi, come quelli sanitari. Considerato ciò, bisogna riflettere non tanto sulla ragionevole o irragionevole necessità di mantenere l’accesso universale alle cure del sistema, ma bisogna focalizzare l’attenzione su quali servizi vale la pena sostenere, quale organizzazione dei servizi e quale sistema di valutazione dell’appropriatezza adottare.