La banda larga in Italia: il ritardo non è (solo) tecnologico

Le utenze a banda larga in Italia continuano a crescere, ma a ritmi sempre molto lenti. I dati diffusi da Agcom lo scorso 14 agosto, registrano, al marzo 2013, 13,82 milioni di accessi retail. L’incremento rispetto a 12 mesi prima è di 250mila unità, ovvero meno del 2%. Se può in parte consolare un incremento significativo in termini percentuali, ma ancora estremamente contenuto in quelli assoluti, delle tecnologie “alternative”, da 0,41 a 0,54 milioni, preoccupa, invece, il debolissimo aumento delle linee a banda larga in DSL, solo 120mila in più in un anno, meno dell’1%. In pratica, sono cresciute più le tecnologie alternative di quelle DSL nel confronto “year on year”. E’ vero, l’Italia conta su una forte penetrazione dell’internet mobile (32 milioni di sim con traffico dati e 8,6 milioni di chiavette), ma per quanto riguarda la penetrazione della banda larga fissa, il nostro Paese rimane in fondo alla classifica europea (solo Grecia, Bulgaria e Romania fanno peggio di noi).

Pochi giorni dopo, Asstel ha presentato il 3° Rapporto sulla filiera delle Telecomunicazioni in Italia, nel quale viene sottolineato come la banda larga fissa sia ormai disponibile per il 90,6% della popolazione, i due terzi della quale (56% in tutto) può addirittura avere connessioni ad almeno 20Mbps. Nella distanza tra disponibilità del servizio e la sua effettiva attivazione sta tutto il ritardo dell’Italia in questo cruciale settore. La debole crescita delle utenze testimonia una pigrizia sul lato della domanda, che riflette l’analfabetismo digitale del nostro Paese, che spesso viene erroneamente giustificato con la scarsa attratività dei servizi. E’ fondamentale investire nelle nuove tecnologie e nelle nuove reti, ma potenziare le infrastrutture sarà utile solo in parte se prima non si combatte il ritardo culturale.

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