È ampio e acceso il dibattito innescato dallo schema di decreto legislativo con il quale il Governo intende recepire la direttiva numero 790 del 2019 sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale. Si tratta di un confronto serrato che si sta concentrando in maniera particolare sulle disposizioni con le quali il Governo intende recepire gli articoli 15 e 17 della direttiva.
In particolare, rispetto all’articolo 15 il dibattito nazionale vede contrapporre coloro che denunciano eccessi di delega, sviamenti rispetto agli obiettivi fissati dalla direttiva, effetti anticoncorrenziali derivanti da alcune specifiche disposizioni contenute nel decreto in violazione del principio dell’autonomia negoziale e della libertà d’impresa e quanti, al contrario, sostengono che le scelte operate nello schema di decreto siano la legittima espressione della discrezionalità di cui gode ciascuno Stato membro in sede di recepimento di una direttiva, negano la sussistenza di un obbligo a contrarre ritenendo dunque infondate le denunce di violazione dell’autonomia negoziale delle parti ed evidenziano la capacità del modello proposto di riequilibrare le posizioni delle piattaforme da un lato e degli editori dall’altro. Al fine di inquadrare correttamente i contenuti di tale dibattito è dunque indispensabile richiamare sinteticamente i contenuti essenziali della direttiva per poi andare a descrivere il modello proposto a livello nazionale.
La direttiva numero 790 del 2019 sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale, in particolare, si presenta come un intervento normativo frutto di un lungo e complesso confronto tra gli stakeholders, attraverso il quale si è cercato di ripensare le tradizionali questioni legate alla tutela del diritto d’autore alla luce delle evoluzioni tecnologiche e dell’impatto delle stesse sul mondo editoriale, mediante la previsione di misure miranti ad adeguare le eccezioni e le limitazioni all’ambiente digitale e al contesto transfrontaliero, misure volte a migliorare le procedure di concessione delle licenze e a garantire un più ampio accesso ai contenuti e misure miranti a garantire il buon funzionamento del mercato per il diritto d’autore.
Ebbene, all’interno di tale intervento di modernizzazione, le disposizioni contenute negli articoli 15-23, ma soprattutto quelle di cui agli articoli 15 e 17, hanno suscitato e continuano a suscitare a livello nazionale rispetto alle scelte compiute in sede di recepimento della direttiva un complesso e acceso dibattito.
L’articolo 15, in particolare, al fine di facilitare la concessione delle licenze e la valorizzazione economica delle pubblicazioni di carattere giornalistico nell’ambiente digitale (considerando 54 della direttiva), attribuisce agli editori un diritto connesso al diritto d’autore per la riproduzione e messa a disposizione del pubblico delle opere giornalistiche per il loro utilizzo online. Nello specifico tale disposizione prescrive agli Stati membri di prevedere disposizioni che permettano agli autori di ricevere una quota adeguata dei proventi incassati dagli editori per l’utilizzo delle loro pubblicazioni da parte di tali soggetti. Per prestatore di servizi di condivisione di contenuti online, nello specifico, la direttiva intende un prestatore di servizi della società dell’informazione il cui scopo principale o uno dei principali scopi è quello di memorizzare e dare accesso al pubblico a grandi quantità di opere protette dal diritto d’autore o altri materiali protetti caricati dai suoi utenti, che il servizio organizza e promuove a scopo di lucro.
I diritti descritti si estinguono due anni dopo la pubblicazione di carattere giornalistico, calcolando il citato termine a decorrere dal 1° gennaio dell’anno successivo alla data di pubblicazione di tale pubblicazione di carattere giornalistico. Tali diritti, tuttavia, non si applicano: 1) agli utilizzi privati o non commerciali da parte di singoli utilizzatori; 2) ai collegamenti ipertestuali; 3) all’utilizzo di singole parole o di estratti molto brevi.
La grandissima difficoltà di addivenire, a livello europeo, a una sintesi dei vari interessi coinvolti si è tradotta in una direttiva affetta da genericità in alcuni passaggi tuttavia cruciali ai fini dell’effettiva applicabilità della disciplina dalla stessa introdotta che hanno favorito, certamente, l’adozione di decisioni in parte tese a colmare dei vuoti normativi importanti. Ed infatti, nell’articolo 15 manca una definizione chiara e oggettiva di cosa si intenda per “estratti molto brevi”, non è stata chiarito il trattamento da riservare a tutte le ipotesi in cui i link sono strettamente correlati a parole o al titolo dell’articolo, così come manca qualsiasi indicazione circa il criterio da applicare per misurare i benefici che gli editori procurano alle piattaforma Internet consentendo l’utilizzo online delle pubblicazioni giornalistiche.
Dalla legge di delegazione allo schema di decreto. Il recepimento degli artt. 15 e 17 della direttiva
In un contesto a così elevata complessità, la legge di delegazione europea 2019, ha fissato al Governo una serie di principi e criteri direttivi da seguire nell’attività di recepimento della direttiva tra cui spiccava, rispetto all’articolo 15, la necessità di garantire che nel caso di utilizzo online delle pubblicazioni di carattere giornalistico da parte dei prestatori di servizi della società dell’informazione trovassero adeguata tutela i diritti degli editori, tenendo in debita considerazione i diritti degli autori di tali pubblicazioni, di definire il concetto di “estratti molto brevi” in modo da non pregiudicare la libera circolazione delle informazioni e di individuare la quota adeguata dei proventi percepiti dagli editori per l’utilizzo delle pubblicazioni di carattere giornalistico destinata agli autori nonché la quota del compenso spettante agli editori nel caso l’opera sia utilizzata in virtù di un’eccezione o di una limitazione, tenuti in debito conto i diritti degli autori.
Se questa era la cornice normativa da recepire e le criticità da superare per garantire l’effettiva applicabilità della disciplina ed i principi e criteri direttivi da seguire nell’attività legislativa di recepimento, lo schema di decreto attualmente al vaglio delle Camere per il rilascio dei relativi pareri, ha previsto, ai fini del recepimento della disciplina di cui all’articolo 15 della direttiva, l’introduzione, nella legge numero 633 del 1941, dell’articolo 43 bis che, dopo aver definito la pubblicazione di carattere giornalistico e gli editori di pubblicazioni di carattere giornalistico, prevede la corresponsione agli stessi editori, da parte dei prestatori di servizi delle società dell’informazione, delle società di monitoraggio media e rassegne stampa, di un equo compenso.
Tale diritto non è riconosciuto né in caso di utilizzi privati o non commerciali di pubblicazioni giornalistiche da parte di singoli utilizzatori, né in caso di collegamenti ipertestuali o di utilizzo di singole parole o di estratti molto brevi, definendo quest’ultimo, con una scelta di carattere meramente qualitativo, come “qualsiasi porzione di pubblicazione che non dispensi dalla necessità di consultazione dell’articolo giornalistico nella sua integrità”. La stessa disposizione rimette all’AGCOM l’adozione di un apposito regolamento che individui i criteri per la determinazione dell’equo compenso individuando come elementi di valutazione il numero di consultazioni online dell’articolo, gli anni di attività e la rilevanza sul mercato dell’editore e il numero di giornalisti impiegati, i costi sostenuti per investimenti tecnologici e infrastrutturali da entrambe le parti e dei benefici economici derivanti, a entrambe le parti, dalla pubblicazione quanto a visibilità e ricavi pubblicitari.
Fermo restando il diritto ad adire l’autorità giudiziaria, è riconosciuta alle parti, decorsi 30 giorni dalla richiesta di avvio dei negoziati senza aver raggiunto un accordo sull’ammontare del compenso, la facoltà di rivolgersi all’AGCom che è chiamata – entro 60 giorni dalla richiesta – a valutare le proposte economiche formulate dalle parti ovvero, qualora non ritenute entrambe conformi a quanto previsto nel relativo regolamento, a fissare d’ufficio l’ammontare dell’equo compenso. In mancanza di accordo dopo la statuizione di AGCom, ciascuna parte può adire l’autorità giudiziaria (con la precisazione che l’eventuale ingiustificata limitazione dei contenuti degli editori nei risultati di ricerca nel periodo di negoziazione può essere valutata ai fini della verifica dell’obbligo di buona fede).
Rispetto alla procedura di quantificazione dell’equo compenso, la norma proposta sancisce l’obbligo per i prestatori di servizi della società dell’informazione di mettere a disposizione, su richiesta della parte interessata o di AGCom, ogni dato idoneo a determinare la misura dell’equo compenso entro 30 gg. dalla richiesta, pena una sanzione fino all’1% del fatturato realizzato nell’ultimo esercizio chiuso precedentemente alla notifica della contestazione (con esclusione del beneficio del pagamento in misura ridotta). A tale obbligo corrisponde un obbligo di riservatezza a carico dell’editore rispetto alle informazioni apprese. Rispetto agli autori, lo schema riconosce loro il diritto a ricevere una quota tra il 2 e il 5% dell’equo compenso percepito, da concordare su base convenzionale nel caso di lavoratori autonomi o rimesso anche alla contrattazione collettiva nel caso di dipendenti.
Il “gold plating” e il dibattito sul tema
Il punto di partenza (la direttiva da recepire) e di arrivo (lo schema di decreto proposto dal Governo), passando per la legge di delegazione, non poteva non suscitare il formarsi di posizioni contrastanti.
Rispetto all’articolo 15, in particolare, se la direttiva ha disegnato un diritto connesso perseguendo il fine di assicurare agli autori il conseguimento di una quota adeguata dei proventi incassati dagli editori per l’utilizzo delle loro pubblicazioni da parte dei prestatore di servizi di condivisione di contenuti online, lo schema di decreto ha sancito un diritto degli editori a percepire un equo compenso e per assicurarne l’effettivo esercizio ha disegnato un sistema che coinvolge AGCom, chiamata da un lato a definire per regolamento i criteri da seguire per la quantificazione di tale compenso (che tengano conto di parametri legati agli anni di attività e la rilevanza sul mercato dell’editore, al numero di giornalisti impiegati, ai costi sostenuti per investimenti tecnologici ed infrastrutturali da entrambe le parti ed ai benefici economici derivanti, ad entrambe le parti, dalla pubblicazione quanto a visibilità e ricavi pubblicitari); dall’altro a valutare le proposte economiche formulate dalle parti ovvero, qualora non ritenute entrambe conformi a quanto previsto nel relativo regolamento, a fissare d’ufficio l’ammontare dell’equo compenso. Rispetto alla procedura di quantificazione dell’equo compenso, i prestatori di servizi della società dell’informazione sono obbligati a mettere a disposizione, su richiesta della parte interessata o di AGCom, ogni dato idoneo a determinare la misura dell’equo compenso (a tale obbligo fa da contraltare l’obbligo di riservatezza in capo all’editore).
Si tratta di un modello compatibile con gli obiettivi e le finalità perseguite dalla direttiva e conforme ai principi e criteri direttivi indicati dalla legge di delegazione?
Sul punto la varietà delle posizioni espresse è enorme e ruota, in buona misura, intorno alla presunta violazione del gold plating, ossia il divieto di introduzione o di mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive comunitarie. Nella Comunicazione della Commissione europea dell’8 ottobre 2010 “Smart regulation in the European Union”, adottata con lo scopo di promuovere una legiferazione “intelligente”, sia a livello europeo che degli Stati membri, in grado di ridurre gli oneri amministrativi a carico di cittadini e imprese, si legge che “[i]l termine gold plating si riferisce alla prassi delle autorità nazionali di regolamentare oltre i requisiti imposti dalla legislazione UE, in sede di recepimento o di attuazione in uno Stato membro”.
Nel nostro ordinamento il riferimento al gold plating è comparso per la prima volta nella Legge di stabilità per il 2012, che all’articolo 15, comma 2, lettera b) ha introdotto nell’art. 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246, i commi 24-bis, 24-ter e 24-quater. Il comma 24-bis, in particolare, definisce in termini generali il divieto di gold plating per tutti gli atti di recepimento di direttive comunitarie. I successivi commi 24-ter e 24-quater ne definiscono con maggior dettaglio l’ambito di applicazione, individuando cosa debba intendersi per “livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive comunitarie” ed in quali casi sia possibile disattendere il divieto, ossia in circostanze eccezionali valutate nell’analisi di impatto della regolazione (AIR).
Nello specifico, la citata previsione prevede che “costituiscono livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive comunitarie: a) l’introduzione o il mantenimento di requisiti, standard, obblighi e oneri non strettamente necessari per l’attuazione delle direttive; b) l’estensione dell’ambito soggettivo o oggettivo di applicazione delle regole rispetto a quanto previsto dalle direttive, ove comporti maggiori oneri amministrativi per i destinatari; c) l’introduzione o il mantenimento di sanzioni, procedure o meccanismi operativi più gravosi o complessi di quelli strettamente necessari per l’attuazione delle direttive”.
Conclusioni
Se questa è la cornice normativa, la disciplina prevista prevede un obbligo a contrarre? Il meccanismo negoziale previsto contrasta con il divieto di gold plating oppure rappresenta la legittima espressione della discrezionalità del singolo Stato membro? I meccanismi delineati e gli obblighi posti a carico dei prestatori nei confronti degli editori sono conformi alla direttiva ed alla legge delega? Possono essere ritenuti strettamente necessari per l’attuazione della direttiva oppure si tratta di maggiori oneri e aggravi procedimentali ultronei?
Nel dialogo c’è chi ritiene che lo schema di decreto istituisce un meccanismo arbitrale che ruota intorno ad AGCom, persegue il fine di riequilibrare le posizioni e favorire la composizione degli interessi degli editori e dei prestatori e trova piena garanzia nella possibilità per le parti di adire l’autorità giudiziaria. A tale posizione si contrappongono quanti contestano l’impianto normativo complessivo evidenziando come lo schema imponga un obbligo a negoziare lesivo della libertà negoziale e della libertà d’impresa e i criteri indicati ad AGCom per la redazione del regolamento che disciplini le modalità di quantificazione dell’equo compenso siano lesivi della concorrenza a scapito degli editori più piccoli o più giovani.
Nonostante la varietà delle posizioni sostenute nel dibattito attuale un punto sembra però chiaro e condiviso: la libertà negoziale è un principio primario per il nostro ordinamento e va garantito. Se questo non è in discussione ma il dibattitto si focalizza in larga misura sulla sussistenza o meno di un obbligo a contrarre, va certamente compiuto uno sforzo ulteriore in termini di chiarificazione del disposto normativo che fughi i dubbi attualmente esistenti.
Va probabilmente operato un supplemento di riflessione sull’obiettivo della direttiva – consistente nell’apprestare tutele agli autori e nel riconoscere ad essi il diritto a percepire un compenso adeguato dall’editore che tratta con i prestatori – e sulla capacità del sistema proposto di perseguirlo con efficacia senza creare distorsioni della concorrenza o aggravi a carico delle parti coinvolte. In tale logica vanno assolutamente rivisti, integrati e corretti i criteri per la quantificazione dell’equo compenso che devono avere di mira il destinatario ultimo delle tutele apprestate dal diritto d’autore e, dunque, gli autori, rispetto ai quali a poco dovrebbe rilevare la grandezza o la storicità dell’editore. Allo stesso modo sarebbe probabilmente opportuno ripensare, nel senso di limitare l’accesso ai dati alla sola AGCom e non agli editori, la disposizione che obbliga i prestatori a comunicare tutti i dati necessari per la quantificazione dell’equo compenso.
Si tratta di un momento cruciale nel quale il nostro Paese è chiamato a fare uno sforzo di chiarificazione e normazione per apprestare un sistema che nel condivisibile obiettivo di correggere squilibri tra le parti, persegua in maniera efficace la tutela del diritto d’autore e non si traduca in aggravi sproporzionati e ingiusti nei confronti dei prestatori né in interventi potenzialmente lesivi delle dinamiche concorrenziali.