La transizione ecologica è destinata ad accelerare nel prossimo decennio e ad innescare forti cambiamenti strutturali nel mercato del lavoro. Da un lato, assicura la crescita dei settori verdi rafforzandoli e crea nuove opportunità di lavoro avvantaggiando così i lavoratori altamente qualificati. Il rovescio della medaglia è invece rappresentato da una potenziale riduzione dell’occupazione in settori ad alto impatto ambientale e lo spiazzamento di manodopera poco qualificata.

Inoltre, la transizione ecologica richiede una riconversione delle competenze per adeguarsi alle esigenze del nuovo mercato del lavoro green. In questo caso, la categoria più esposta è quella dei lavoratori di età avanzata e poco istruiti, che hanno perlopiù un tasso di apprendimento più basso e lento. In generale, qualora si verificassero spostamenti di lavoratori da settori inquinanti a quelli verdi, si potrebbe avere un impatto contenuto sul saldo occupazionale. Ciononostante, il potenziale mismatch tra domanda e offerta per mancata corrispondenza delle competenze richieste e offerte, o per abilità lavorative datate, può costituire una minaccia seria di disoccupazione frizionale che, se non contrastata in tempo, si può trasformare in disoccupazione di lungo periodo.

Attualmente è ancora presto dare una risposta completa e rigorosa sull’impatto occupazionale della transizione ecologica. Tuttavia, merita attenzione approfondire la proiezione temporale futura dei green job, in particolare quelli legati alle fonti di energia rinnovabili (FER).

In un precedente articolo I-Com è emerso che tra il 2014 e il 2021 i cospicui investimenti nel settore delle energie rinnovabili hanno galvanizzato il mercato del lavoro: 1,36 miliardi di euro hanno stimolato in modo impressionante la domanda di lavoro e si sono tradotti nel 2021 in un aumento su base 2013 del +25,2% delle unità di lavoro (ULA[1]) permanenti[2] per un totale di circa 34.000 ULA, e una variazione percentuale media del +5,4% per le unità di lavoro temporanee[3] (poco più di 14 mila unità nel 2021).

Nella proposta di aggiornamento PNIEC, inviato alla Commissione europea dal MASE lo scorso 19 luglio, è presente una sezione che analizza l’impatto della transizione energetica offrendo particolare attenzione alle ricadute economiche ed occupazionali e confrontando lo scenario a politiche correnti (ovvero considerando l’effetto delle politiche adottate a tutto il 2021) e lo scenario dettato dal PNIEC. L’analisi è stata effettuata utilizzando un modello standard input/output basato sulle matrici delle interdipendenze settoriale alla Leontief pubblicate da Istat ed elaborate da GSE.

I risultati sono sensazionali. Si stima che il contributo addizionale medio annuo alla creazione di valore aggiunto sarà pari ad oltre 13 miliardi di euro nel periodo 2023-2030 con un investimento medio annuo di 27 miliardi rispetto allo scenario di riferimento. Inoltre, si stimano circa 191 mila occupati temporanei medi annui (ULA dirette e indirette) aggiuntivi rispetto al benchmark. Un aumento a dir poco sproporzionato rispetto a quello risultato nell’articolo I-Com. Nello specifico, per la natura non duratura dell’occupazione temporanea, i settori a sperimentare dati elevati sono la riqualificazione edilizia del settore residenziale (86 mila di variazione media annua ULA), i lavori relativi ai trasporti (32.000) e gli impianti eolici e fotovoltaici del settore elettrico. Sul lato investimenti e valore aggiunto, non si hanno dati contrastanti: il settore residenziale e del trasporto stradale mostrano i dati più elevati.

Investimenti medi annui e ULA temporanee

Fonte: PNIEC

L’andamento sinergico tra investimenti e il trend dell’occupazione temporanea, anche se in modo meno intenso, non esclude i lavoratori permanenti. Secondo lo scenario PNIEC, in termini di ULA, gli occupati permanenti passeranno da oltre 39 mila unità nel 2021 a oltre 61 mila unità del 2030, registrando così una variazione percentuale rispetto al 2021 pari al +56%. Per i vettori energetici relativi alle fonti fossili, si rileva una riduzione di domanda di lavoro in particolare per il carbone, mentre è nulla per l’idroelettrico. I settori che mostrano i dati più elevati sono il solare, l’eolico e il geotermico che sperimenteranno un aumento della domanda lavorativa pari rispettivamente a +254%, 149% e +22%. Nello scenario PNIEC, quindi, la transizione di occupati da settori altamente inquinanti a quelli a basse emissioni di carbonio sarà evidente, in particolare per tutte quelle attività lavorative che concernono il carbone. Tale dinamica sarà meno accentuata per il gas, vettore fondamentale per sostenere la transizione e compensare i limiti degli impianti rinnovabili come la non flessibilità e non programmabilità in casi di picchi di domanda.

ULA permanenti nel 2030 e confronto con il 2021 

Fonte: PNIEC

In conclusone, i settori tradizionalmente inquinanti sono probabilmente destinati a subire una domanda di mercato ridotta e, quindi, una conseguente riduzione della domanda di lavoro. Dovranno perciò avviare una trasformazione strutturale verso processi di produzione più ecologici. I settori e i posti di lavoro “verdi” sono invece destinati a espandersi. L’impatto occupazionale complessivo è ancora dubbio. Sarà compito dei policy makers gestire questa transizione in modo equo e giusto, garantendo al contempo la creazione di posti di lavoro sostenibili e la tutela dei lavoratori più esposti durante la fase di transizione.

 

[1] Secondo la definizione dato dal GSE, un occupato che ha lavorato a tempo pieno nelle attività di installazione di impianti FER corrisponde ad un’ULA. Invece, un lavoratore che ha lavorato solo per metà annota a tale attività corrisponde a ½ ULA. Questo significa che le variazioni di ULA non corrispondono con le oscillazioni dei posti di lavoro, ma coincidono ad una maggiore o minore quantità di lavoro richiesta.

[2] Occupazione permanente riguarda i lavoratori impiegati per tutta la durata del ciclo di vita di un bene, ad esempio la manutenzione di un impianto.

[3] Occupazione temporanea è riferito a lavoratori che eseguono una certa attività che, rispetto al bene finale, ha un ciclo di vita limitato (ad esempio, l’installazione di un impianto).