Risale al 2015 la norma che ha previsto l’obbligo per le aziende di ripianare una quota parte dell’eventuale sforamento del tetto di spesa sostenuta dalle Regioni per i dispositivi medici, ma solo nel novembre 2019, quattro anni dopo l’entrata in vigore, sono stati adottati i primi provvedimenti attuativi che hanno individuato i singoli tetti regionali di spesa. Tali normative hanno più volte incontrato perplessità da parte dei vari stakeholder non solo per le conseguenze che tali esborsi avrebbero sulle capacità produttive delle aziende, ma anche per osservazioni legate agli effetti in termini di accesso alle cure e alla possibile illeceità di alcuni passaggi della norma che, con numerosi ricorsi e appelli al Tar, ne hanno negli anni ulteriormente rallentato l’applicazione.
LE PRONUNCE DELLA CORTE COSTITUZIONALE
La Corte costituzionale però, proprio in questi giorni, si è pronunciata con due sentenze (n. 139 e n. 140) sul meccanismo del payback che, ricorda, “è regolato da diverse norme di legge”.
La Consulta si è occupata dapprima, su ricorso della Regione Campania, delle disposizioni del 2023 e, con sentenza n. 139, le ha dichiarate incostituzionali nella parte in cui condizionavano la riduzione dell’onere a carico delle imprese alla rinuncia, da parte delle stesse, al contenzioso. La conseguenza è che a tutte le imprese fornitrici è ora riconosciuta la riduzione dei rispettivi pagamenti al 48 per cento.
Con la sentenza n. 140 però, la Corte, su rimessione del TAR Lazio, ha dichiarato infondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9-ter del decreto legge n. 78 del 2015, per il periodo 2015-2018. La Consulta ha affermato che, per tale periodo, il legislatore ha stabilito una disciplina specifica per il ripiano dello sforamento dei tetti di spesa, e le regioni, con propri provvedimenti, hanno richiesto alle imprese le somme dovute.
Sebbene la sentenza abbia riconosciuto che il meccanismo del payback presenti diverse criticità, ha comunque giudicato che non fosse irragionevole rispetto all’art. 41 Cost. per il periodo 2015-2018. La Corte ha giustificato tale decisione sostenendo che il contributo imposto alle imprese fosse solidaristico e correlabile a ragioni di utilità sociale, mirato a garantire la dotazione di dispositivi medici necessari per la tutela della salute in una situazione economico-finanziaria di grave difficoltà. Il meccanismo è stato considerato, quindi, non sproporzionato.
La Corte ha affermato che la disposizione censurata non contrasta con la riserva di legge prevista dall’art. 23 Cost. per l’imposizione di prestazioni patrimoniali. Infine, la sentenza n. 140 ha precisato che la disposizione non ha natura retroattiva, poiché il comma 9-bis dell’art. 9-ter, introdotto nel 2022, si è limitato a rendere operativo l’obbligo di ripiano a carico delle imprese fornitrici, senza influire, in modo costituzionalmente insostenibile, sull’affidamento delle parti private nel mantenimento del prezzo di vendita dei dispositivi medici.
L’IMPATTO DEL PAYBACK SU INVESTIMENTI E OCCUPAZIONE
Ancor prima di queste sentenze il 40% delle aziende sosteneva di aver ridotto gli investimenti in ricerca e sviluppo in previsione degli esborsi, mentre in termini occupazionali le stesse motivazioni hanno portato al blocco delle assunzioni per il 61% delle imprese e a licenziamenti anticipati (il 31% ha già effettuato i tagli e il 27% ha avviato procedure di cassa integrazione). Ampliando lo sguardo ai prossimi anni, gli effetti potrebbero riguardare anche la decisione da parte delle aziende di privilegiare il mercato estero a quello nazionale in termini di produzione e fornitura: da qui al 2028, 7 imprese su 10 dichiarano di prevedere di rivolgersi prevalentemente ai mercati esteri mentre, nell’arco dello stesso quadriennio, ben 8 aziende su 10 hanno intenzione di limitare l’uso di tecnologie avanzate nelle gare italiane.
Secondo uno studio Nomisma che ha interessato 4.000 società della filiera dei dispositivi medici in Italia, rischiano il fallimento oltre 1.400 aziende e il licenziamento 190mila addetti.
La pronuncia di rigetto della Corte sull’incostituzionalità del meccanismo del payback sui dispositivi medici versa un intero comparto e tutta la filiera italiana del settore in una crisi irreversibile. Gran parte delle imprese non solo saranno nell’impossibilità di sostenere il saldo di quanto richiesto dalle regioni, ma saranno altresì costrette ad avviare procedure diffuse di mobilità e licenziamento, ad astenersi dalla partecipazione a gare pubbliche e, in molti casi, a interrompere completamente la propria attività in Italia.
Difatti, oltre ai rischi occupazionali e di erosione del gettito, le conseguenza potrebbero riflettersi anche sulla rete di fornitura di macchinari e dispositivi. Tenendo conto delle sopra menzionate conseguenze sia per il settore privato che per le specifiche aziende sanitarie, è possibile prevedere un assottigliamento della rete di fornitura, con minori possibilità di scelta per gli appaltatori, una limitazione della concorrenza a favore delle grandi aziende multinazionali e possibili ripercussioni negative anche sui prezzi di acquisto su cui, tra l’altro, già incidono pesantemente i recenti avvenimenti geopolitici. In questo senso la preoccupazione più grande è che tali sviluppi possano tradursi in gravi rallentamenti nelle forniture di dispositivi, con ulteriori ripercussioni sulla reale accessibilità delle cure nel SSN e sui tempi di attesa per ricevere trattamenti.
La gestione efficiente e sostenibile dell’innovazione è un tema di grande attualità che richiede un’attenzione prioritaria, soprattutto nel contesto della governance dei dispositivi medici. Questo settore, caratterizzato da un elevato tasso di innovazione, ha portato a miglioramenti senza precedenti nella qualità della vita dei pazienti.
Da una parte ci sono le esigenze di cura della popolazione, dall’altra la necessità di mantenere la sostenibilità finanziaria del sistema.