Dopo anni di dibattiti il nuovo disegno di legge del governo, ora avviato nel percorso di discussione parlamentare, propone una riforma dell’accesso dei corsi di laurea in medicina. Gli aspiranti medici iscritti al primo anno dovranno completare tutti gli esami del primo semestre, che saranno standardizzati a livello nazionale. I voti ottenuti in queste prove serviranno a formare una graduatoria nazionale, sulla base della quale verrà determinato l’accesso al secondo semestre. Coloro che non rientreranno nei posti disponibili potranno comunque impiegare i crediti formativi accumulati per iscriversi ad altri percorsi di studio, offrendo così un’alternativa e la possibilità di non perdere l’anno accademico.
La proposta sembra andare incontro alle numerose richieste pervenute nel tempo. Negli ultimi anni, infatti, il tema della carenza di personale medico nel Sistema Sanitario Nazionale (SSN) ha assunto una rilevanza crescente. Tuttavia, analizzando le proiezioni e i dati relativi al settore, emerge un quadro complesso in cui il numero totale dei medici è destinato ad aumentare, nonostante la percezione attuale di scarsità. Il vero nodo critico sembra risiedere, piuttosto, nella scarsità di alcune specializzazioni che, per vari motivi, risultano meno attrattive per i nuovi laureati, generando squilibri che potrebbero compromettere il buon funzionamento del sistema sanitario nel lungo termine.
Dopo il 2027 i pensionamenti dei medici dipendenti del SSN inizieranno a diminuire progressivamente, raggiungendo il livello più basso intorno al 2037, con circa 2.000 pensionamenti annuali, rispetto ai 4.000-5.000 attuali. Questo fenomeno, unito alla riduzione delle dimissioni volontarie (circa 2.500-3.000 all’anno), sembra indicare che, dal punto di vista numerico, il problema della mancanza di medici potrebbe risolversi in maniera naturale. Infatti, considerando i posti programmati per il corso di laurea in medicina e chirurgia, che si attestano a circa 141.000 tra gli anni accademici 2017/18 e 2026/27, e i contratti per la formazione specialistica previsti nello stesso periodo (circa 150.000), ci si troverà con un surplus di personale medico. A ciò si aggiungono le 25.000 borse di studio per la formazione in medicina generale, creando un differenziale positivo tra i nuovi laureati e i medici che lasceranno il servizio per pensionamento, stimato in circa 32.000 unità (fonte: Rapporto Anaao Assomed).
Questa eccedenza di medici, che potrebbe delinearsi nel prossimo decennio, è resa ancora più probabile dal consistente aumento degli ingressi ai corsi di laurea in medicina osservato negli ultimi anni. Si stima che entro il 2024/2025 ci saranno circa 10.000 iscrizioni in più rispetto al 2017/18. Se da un lato questo incremento potrebbe essere visto come una risposta alle potenziali emergenze sanitarie o alle esigenze derivanti dall’implementazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), dall’altro rischia di generare una sovrabbondanza di medici senza un’adeguata pianificazione economica e occupazionale. Senza interventi mirati, questa eccedenza potrebbe tradursi in un eccesso di personale, con un surplus di professionisti in cerca di impiego e una diminuzione delle opportunità lavorative dato il previsto rallentamento delle uscite per pensionamento.
In tal senso, si prospetta un passaggio dall’attuale “imbuto formativo” – dove la disponibilità di posti per la specializzazione superava il numero di laureati – a un vero e proprio “imbuto lavorativo”, dove il numero di neolaureati e specialisti sarà nettamente superiore rispetto alle possibilità occupazionali offerte dal sistema. Questo scenario, se non adeguatamente affrontato, potrebbe portare molti giovani medici a cercare opportunità di lavoro all’estero, alimentando ulteriormente il fenomeno della “fuga di cervelli”. Anche l’osservatorio della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri conferma questo trend, come evidenziato nel grafico.
Pensionamenti e nuove assunzione del SSN (2024-2030)
Fonte: FNOMCeO
Nonostante il numero complessivo di medici possa aumentare, un aspetto critico riguarda la distribuzione delle specializzazioni. Molti posti nelle scuole di specializzazione rimangono infatti vacanti, soprattutto nelle aree meno attrattive come la medicina d’urgenza, la microbiologia, l’anatomia patologica e la radioterapia. Queste discipline, spesso connesse a contesti ospedalieri complessi e caratterizzate da turni gravosi e alta responsabilità, faticano ad attirare nuovi specialisti. Al contrario, specializzazioni con maggiori sbocchi nel settore privato, come dermatologia, oftalmologia e chirurgia plastica, registrano un tasso di assegnazione dei contratti superiore al 95%.
Specialità con tassi di assegnazione superiori al 95% e inferiori al 50% nei concorsi per i contratti di specializzazione degli anni 2021 e 2022
Fonte: ANAAO ASSOMED
Questa situazione rischia di creare, già entro il 2025/2026, una grave carenza in alcune discipline critiche, soprattutto quelle legate all’assistenza ospedaliera, mentre altre aree potrebbero sperimentare un eccesso di specialisti, con un conseguente sovraffollamento del mercato del lavoro.
La necessità di politiche mirate per riequilibrare queste tendenze è evidente: interventi che aumentino l’attrattività delle specializzazioni in crisi e, al contempo, una riduzione degli accessi alle discipline già sature appaiono essenziali.
Fabbisogno medici specialisti nel SSN (2023)
Fonte: FNOMCeO
Per affrontare efficacemente queste sfide è necessario un ripensamento delle politiche sanitarie e formative. In particolare, si dovrebbe considerare l’introduzione di incentivi economici e sociali per le specializzazioni meno attrattive, così come una riforma che preveda contratti di formazione-lavoro per tutti gli specializzandi in modo da anticipare l’ingresso nel mondo del lavoro e favorire un più rapido inserimento nel SSN. È inoltre fondamentale rendere più interessanti le carriere all’interno del Servizio Sanitario Nazionale, soprattutto nelle specialità che oggi vengono trascurate dai giovani medici. Questi ultimi, infatti, tendono a preferire settori che consentono anche l’esercizio della libera professione. Un segnale allarmante è rappresentato dal fatto che il 18,76% dei contratti di specializzazione offerti viene abbandonato o non assegnato, a favore di altre discipline. Un problema simile colpisce anche il corso di formazione in medicina generale, penalizzato non solo da compensi significativamente inferiori (quasi la metà rispetto ad altre specializzazioni), ma anche dalla mancata equiparazione del titolo a quello di specialista.
Retribuzione medici specialisti in Europa e confronto con l’Italia
Fonte: FNOMCeO
In parallelo, un’ulteriore criticità riguarda le dimissioni volontarie e la migrazione dei medici italiani verso l’estero. Negli ultimi anni il fenomeno ha assunto dimensioni preoccupanti, con un numero crescente di professionisti che lasciano l’Italia per cercare condizioni di lavoro e retribuzioni migliori. Questo esodo rappresenta una perdita significativa per il SSN, considerando che la formazione di un medico specialista comporta un investimento pubblico di circa €200.000 per ciascun professionista. Tali dati mettono in evidenza la necessità di prestare attenzione alle disparità salariali tra i diversi paesi europei. Il grafico precedente illustra chiaramente la significativa differenza tra le retribuzioni dei medici in Italia e quelle offerte in altri paesi europei, verso i quali molti dei nostri medici emigrano in cerca di stipendi più competitivi e condizioni di lavoro più favorevoli. Questa dinamica di migrazione è alimentata dalla ricerca non solo di migliori compensi, ma anche di un contesto professionale più gratificante e sostenibile. La manovra finanziaria del 2025 sembra affrontare queste questioni prevedendo un incremento nell’indennità di specificità medica: per i medici è previsto un aumento netto di 17 euro mensili e di 14 euro per i dirigenti sanitari nel 2025; nel 2026 l’indennità aumenterebbe a 115 euro per i medici, senza incrementi aggiuntivi per i dirigenti sanitari. Gli infermieri riceverebbero circa 7 euro in più nel 2025 e circa 80 euro nel 2026. Tuttavia, queste cifre sono considerate inadeguate dai professionisti del settore sanitario.
In conclusione, le proiezioni sul futuro del personale medico nel SSN delineano un quadro in cui l’offerta di medici dovrebbe essere sufficiente per coprire le carenze attuali. Tuttavia, la mancanza di un’adeguata pianificazione rischia di creare nuovi squilibri, sia per quanto riguarda la distribuzione delle specializzazioni, sia per le opportunità lavorative offerte dal sistema. È cruciale, dunque, che le politiche sanitarie si concentrino non solo sull’aumento dei posti di formazione, ma anche sulla creazione di condizioni di lavoro attrattive e sostenibili per evitare una nuova crisi del personale medico.