Si è conclusa a Baku, in Arzerbaigian, la 29esima Conferenza delle Parti (COP, ufficialmente UN Climate Change Conference). Al centro di questa edizione c’è il grande tema della finanza climatica: spesa ed investimenti richiesti ai paesi sviluppati, responsabili storici delle emissioni, da parte dei paesi in via di sviluppo rappresentati in particolare dall’Alleanza dei Piccoli Stati-Isola (AOSIS)[1] e dagli Stati Meno Sviluppati (LDS)[2].
Procediamo riportando due dei principali successi di questa edizione e una riflessione sugli sforzi che sono stati necessari per raggiungerli.
LA FINANZA CLIMATICA
Il primo traguardo di questa COP è la revisione del Nuovo Obiettivo Quantificato e Collettivo (NCQG). L’accordo raggiunto prevede l’indirizzamento di $1,3 trilioni l’anno entro il 2035, anche se al momento solo $300 miliardi saranno garantiti da finanze pubbliche, mentre la restante parte dovrebbe arrivare da investitori privati e altre fonti, ancora da definire e finalizzare[3].
La finanza climatica è uno degli aspetti più controversi delle COP. Già nel 2009, alla COP15 di Copenaghen, i paesi sviluppati promisero di mobilitare almeno 100 miliardi di dollari l’anno entro il 2020 per sostenere mitigazione e adattamento nei paesi in via di sviluppo. Questo obiettivo è stato però raggiunto solo nel 2022, dopo anni di ritardi che hanno lasciato molte economie vulnerabili senza le risorse necessarie per affrontare gli impatti e le misure climatiche più urgenti.
Il nuovo obiettivo di $1,3 trilioni rappresenta un aumento significativo, ma le difficoltà di implementazione rimangono. La quota di 300 miliardi annui di fondi pubblici è ben al di sotto delle necessità (si vedano gli ‘approfondimenti’ finali) e l’affidamento al settore privato introduce numerosi rischi, tra cui mancanza di trasparenza, conflitti di interesse e difficoltà a raggiungere mercati ben poco sviluppati.
Oltre alla revisione dell’NCQG è stato annunciato il successo delle trattative per l’attuazione dell’Articolo 6 dell’Accordo di Parigi[4]. In particolare, l’intesa è sui crediti di carbonio (come ETS nell’ Unione Europea), con la creazione di quello che dovrebbe divenire un mercato globale dei suddetti crediti.
Questo sistema funziona nel seguente modo. Viene fissato (sempre dall’Accordo di Parigi) un volume di emissioni globali ‘permesse’ e questa quantità viene divisa tra i paesi e le aziende. Un’impresa che rimane sotto al suo limite, o che svolge attività di riduzione del carbonio (costruzione di impianti rinnovabili, riforestazione e simili), guadagna dei ‘crediti di carbonio’ che può poi vendere in un apposito mercato ad aziende che vogliono, o devono, superare il proprio tetto di emissioni. Un mercato internazionale dei crediti di carbonio dovrebbe incentivare la riduzione delle emissioni e l’investimento in progetti di cattura/riduzione del carbonio, soprattutto verso paesi in via di sviluppo, da cui saranno acquistabili crediti a basso costo. Rimangono però delle criticità, come il rischio di greenwashing da parte delle aziende, che potrebbero mascherare con i crediti una mancata riduzione delle proprie emissioni, e mancanze di garanzia per la credibilità dei progetti di riduzione o cattura di gas clima-alteranti (si vedano gli ‘approfondimenti’ per analisi dettagliate).
LA SFIDA COMUNE
La COP29 è stata la terza edizione di fila organizzata da un paese produttore-esportatore di petrolio. Questo aspetto divide l’opinione pubblica, come riportato in un articolo de The Guardian. Da un lato, voci critiche, come quella dell’ex vicepresidente statunitense Al Gore, propongono che i paesi ospitanti debbano essere selezionati tra coloro che dimostrano impegni concreti nella lotta al cambiamento climatico. Dall’altro, esperti come Mohamed Adow, direttore di Power Shift Africa, ricordano che l’inclusività è una delle forze principali delle COP: sono uno dei pochi forum dove le principali vittime dei cambiamenti climatici, spesso paesi poveri o vulnerabili, possono negoziare direttamente con i grandi responsabili storici delle emissioni, i paesi sviluppati. Similmente ha fatto discutere la partecipazione, ma soprattutto il trattamento d’onore ricevuto, delle delegazioni di aziende petrolifere e/o legate a combustibili fossili e ad attività clima-alteranti.
La lotta al cambiamento climatico è e deve essere sempre di più una sfida comune ed inclusiva. Anche se i responsabili sono pochi, gli effetti colpiranno tutti. I paesi considerati arretrati, rappresentati da AOSIS e LDS, si trovano in chiara posizione di svantaggio contrattuale.
Per prima cosa vanno condivise tecnologie e risorse per fare superare agli altri paesi la fase di sviluppo inquinante e deleteria per il sistema mondo, fornendogli strumenti, conoscenze e infrastrutture per una produzione – energetica e materiale – sostenibile.
Secondo, è fondamentale trasferire non solo risorse, ma anche la consapevolezza che il cambiamento climatico sia il risultato di un sistema economico e produttivo insostenibile. Solo con una comprensione condivisa delle sue cause e conseguenze sarà possibile cambiare la rotta del futuro. Come terza priorità ci dovrebbe essere l’assistenza per l’adattamento ai cambiamenti climatici. Anche assumendo che il riscaldamento globale venga limitato a 1,5°C, il clima cambierà molto più velocemente del naturale adattamento di molte forma di vita. Eventi meteorologici estremi e cambiamento del clima metteranno a dura prova le attività agroalimentari, le catene logistiche, le assicurazioni e altri diversi settori.
CONCLUSIONE
Questi principi trovano una traduzione concreta nel tema della finanza climatica. Le risorse promesse dai Paesi sviluppati non rappresentano solo un impegno economico, ma un simbolo di giustizia climatica: chi ha beneficiato per decenni di un modello economico ad alta intensità di risorse deve ora investire per garantire una transizione equa. Questi finanziamenti potrebbero evitare catastrofi globali e dovrebbero peraltro essere percepiti dalle opinioni pubbliche occidentali come investimenti, non come costi.
La lotta al cambiamento climatico richiede unità, dialogo e azioni condivise. Il modello economico attuale ha portato il mondo sull’orlo del collasso, ma può essere riformato. La sfida è collettiva, ma non tutti hanno le stesse risorse per affrontarla.
Se le COP devono davvero essere il simbolo di una collaborazione globale, è essenziale che i paesi sviluppati riconoscano il proprio ruolo di guida, non solo con parole ma con azioni concrete. I finanziamenti promessi devono essere erogati e monitorati con trasparenza, mentre tecnologie e conoscenze devono essere condivise per garantire che nessuno venga lasciato indietro.
NOTE
[2] Inclusion in the LDC category | Department of Economic and Social Affairs – UN
[3] Breakthrough in Baku delivers $1.3tn “Baku Finance Goal”
[4] COP29 achieves full operationalisation of Article 6 of Paris Agreement – Unlocks International Carbon Markets
APPROFONDIMENTI
Finanza climatica:
- Introduction to Climate Finance | UNFCCC
- Raising ambition and accelerating delivery of climate finance | report IHLEG
Mercato del carbonio:
- Crediti di carbonio – I-Com, Istituto per la Competitività
- Carbon Markets | UN Environment Programme
- International carbon market – European Commission
Critiche al mercato del carbonio:
Adattamento climatico:
- What is climate change adaptation and why is it crucial? | UNDP
- https://www.albertomontanari.it/node/106
- Adapting to Climate Change | Center for Science Education
Considerazioni finali COP29:
L’implementazione di energia rinnovabile e ruolo della Cina:
Foto in copertina: Matthew TenBruggencate