L’ondata di digitalizzazione causata dall’avvento della quarta rivoluzione industriale ha condotto a rinnovate implicazioni di policy. Tra le più accreditate, di cui si fa ad esempio portatore il “Rapporto Draghi”, c’è quella delle capacità digitali dei cittadini, oltre che il livello di intensità digitale delle imprese operanti nel mercato. Infatti, c’è l’assoluta convinzione tra gli esperti che gran parte della futura competitività delle economie globali passi proprio dalle competenze possedute in tema di gestione delle nuove tecnologie, quali ad esempio l’intelligenza artificiale e il quantum computing. Proprio in questa ottica, l’Unione europea ha fissato da una parte, mediante il cosiddetto digital decade, un set di obiettivi per i prossimi anni tra cui anche diversi nel campo delle capacità digitali, e dall’altra di un insieme di KPI che permettono un periodico monitoraggio circa lo stato di avanzamento degli obiettivi stessi.
LE CAPACITÀ DIGITALI DEI CITTADINI
Per monitorare in maniera puntuale il livello di capacità digitali dei cittadini, l’Unione europea ha elaborato un indicatore composito, denominato Digital skills indicator (DSI). Esso prende in considerazione 5 attività correlate all’uso di internet e di software, che i cittadini tra i 16 e 74 anni performano in specifiche aree, ovvero “information and data literacy”, “communication and collaboration”, “digital content creation”, “safety” e “problem solving”, presupponendo che gli individui che hanno performato queste attività siano anche in possesso delle corrispondenti skill. In altre parole, l’indicatore funge da “proxy” delle capacità digitali degli individui. Esso può assumere per singola area tre livelli: basic, above basic, e at least basic. Alla fine, sulla base del livello registrato per singola area, è calcolato l’indicatore composito, che può assumere i seguenti livelli: no skills, limited, narrow, low, basic, above basic, at least basic.
Dall’ultimo monitoraggio emerge come una consistente parte della popolazione europea sia ancora priva di competenze digitali anche solamente ad un livello basico (fig. 1). Infatti, quasi metà dei cittadini europei, in particolare il 44,5%, sono nella parte bassa della distribuzione (below basic), mentre solo il 27,3% hanno skill digitali sopra il livello base. Peraltro, un ulteriore segnale preoccupante è che per l’8,6% della popolazione l’indicatore non è disponibile a causa del mancato utilizzo di internet nei 3 mesi precedenti. Ciononostante, l’ultima rilevazione evidenzia un leggero incremento nella proporzione di persone con skill digitali almeno ad un livello base rispetto alla situazione vigente nel 2021 (55,6% vs 53,9%).
Come facilmente intuibile, molto dello stato di arretratezza in tema di competenze digitali è trainato dalla porzione di popolazione in età più avanzata (fig. 2). Infatti, la maggior parte degli individui tra i 16 e i 34 anni presentava nell’ultima rilevazione un livello di skills digitali almeno ad un livello base, mentre il dato è sensibilmente inferiore per quelli compresi nella fascia 35-44 anni e ancor di più per quelli tra 55 e 74. Un aspetto positivo è che, considerando gli individui tra 16 e 74 anni, nei dati non c’è traccia di un consistente gender gap. Nell’ultima rilevazione il dato per le competenze digitali almeno di base riferito agli uomini è del 56,7%, mentre quello per le donne è inferiore di solamente due punti percentuali, essendo passato da una percentuale del 52,3 nel 2021 ad una del 54,5 nel 2023.
In parallelo, occorre anche monitorare con attenzione la quota di specialisti ICT, muovendo dalla constatazione per cui una consistente quota di popolazione avente competenze digitali di base non sia sufficiente a contribuire in maniera significativa alla crescita della competitività europea.
Secondo i dati Eurostat, gli specialisti ICT rappresentano ancora una esigua quota dell’occupazione totale dell’UE, con un valore del 4,8% (fig. 3). Ciononostante, la proliferazione di corsi accademici (es. in data analytics, machine learning, IA) appositamente ideati per far nascere queste figure professionali sta senz’altro dando i suoi frutti, se si considera il trend crescente degli specialisti ICT che può essere rintracciato dal 2014 al 2023. Peraltro, in questo caso l’Europa soffre ancora di un pesante gender gap, dato che gli specialisti ICT uomini occupati erano nell’ultima rilevazione l’80,6%, a fronte invece di un valore riferito alle donne del 19,4% (fig. 4). Questa è sicuramente una situazione allarmante, che per larghi tratti riflette la scarsa frequentazione delle donne di corsi accademici correlati al mondo dell’ “information and communication”.
IL LIVELLO DI INTENSITÀ DIGITALE DELLE IMPRESE
In questo caso l’indice composito ideato è denominato digital intensity index (DII). Esso è calcolato sulla base di 12 variabili, con ognuna avente valore di 1 punto. Nel complesso, l’indicatore distingue tra 4 livelli di intensità digitale:
- DII molto basso: imprese con 0-3 punti;
- DII basso: imprese con 4-6 punti;
- DII alto: imprese con 7-9 punti;
- DII molto alto: imprese con 10-12 punti;
Proprio in questa ottica, nel 2024 Eurostat ha condotto un aggiornamento del monitoraggio del DII. Esso ha messo in luce come la percentuale di imprese in possesso di un livello molto alto di intensità digitale è aumentato in maniera sensibile rispetto alla rilevazione precedente, passando dal 4,2 al 7,2%. Dall’altro lato, una rilevante porzione di imprese presenta ancora un’intensità digitale ad un livello molto basso, con un dato pari al 26,4% (fig. 5). In questo senso, a giocare un ruolo rilevante è la dimensione delle stesse, dato che il 27% sono PMI, mentre solamente il 2% è rappresentato da grandi multinazionali.
IL CONTESTO ITALIANO
L’Italia nel recente passato ha quasi sempre avuto una performance negativa in relazione alla quota di individui con competenze digitali di base, posizionandosi molto spesso negli ultimi posti tra gli Stati membri. Questa tendenza si è palesata anche nell’ultima rilevazione, secondo la quale il nostro Paese è al quintultimo posto con una percentuale del 45,8%, ovvero circa 10 punti percentuali al di sotto della media europea. Andando più nel dettaglio, il nostro Paese si è dimostrato particolarmente debole sul versante delle competenze digitali di cui dispongono le nuove generazioni. Tale situazione è da monitorare con un focus specifico data l’evidente rilevanza del tema in ottica di competitività dell’Italia nel medio-lungo periodo.
In generale, avanzando al ritmo attuale appare molto difficoltoso raggiungere l’obiettivo nazionale del 74,6% entro il 2030, dal momento che le proiezioni ci suggeriscono che in quell’anno solamente il 46,5% sarà in possesso di competenze digitali ad un livello almeno base (fig. 6).
Dal lato degli specialisti in ICT, l’Italia ha specificato un obiettivo del 7,3%.
Tuttavia, anche in questo caso il target appare ad oggi di difficile raggiungimento, dal momento che la corrispondente quota sull’occupazione totale si è attesta ad appena il 4,1%, rappresentando il quartultimo valore nella graduatoria UE. La traiettoria attuale sembra condurre quindi l’Italia lontano dal valore target finale al 2030 del 10%, dato che in questo anno, a parità di condizioni, la percentuale raggiunta sarà solamente del 5,3% (fig. 7).
Per quanto concerne il livello di digitalizzazione delle piccole e medie imprese, l’obiettivo espresso in sede nazionale è in linea con quello dichiarato a livello europeo (90% delle PMI con un livello di intensità digitale almeno di base). Secondo i dati del 2024, l’Italia ha performato peggio rispetto alla media europea (70,20% vs 73,80%). Inoltre, il sostanziale rallentamento registrato negli ultimi anni rende di difficile realizzazione il raggiungimento del target finale. In questo senso, la proiezione è che nel 2030 solamente il 71,15% delle SME nazionali presenteranno un livello di digitalizzazione basilare (fig.8).
CONCLUSIONI
Come emerge dalle rilevazioni Eurostat del 2023 e 2024, l’Unione europea si trova ancora distante dalla traiettoria ideale per raggiungere gli obiettivi fissati per il 2030 in tema di capacità digitali dei cittadini e di intensità digitale delle imprese. Tutto ciò desta forti dubbi circa il futuro della competitività a livello comunitario. Non è affatto esente dal discorso l’Italia, la quale risulta tra i Paesi europei con la performance peggiore nelle tematiche oggetto di esame. Urge dunque una decisa presa di coscienza della situazione in essere, condizione necessaria affinché possa avvenire un decisivo cambiamento. In secondo luogo, occorre che la roadmap fissata a livello comunitario sia accompagnata da ingenti investimenti in formazione per le nuove generazioni, muovendo dalla constatazione per cui queste ultime molto spesso siano state finora, alla stregua delle fasce di popolazione più adulte, sorprendentemente incapaci di accogliere in toto i cambiamenti tecnologici occorsi con la quarta rivoluzione industriale.