L’escalation dei possibili dazi sui farmaci rappresenta una minaccia concreta non solo per l’industria farmaceutica italiana ed europea, ma anche per l’accesso tempestivo dei pazienti a medicinali essenziali. In attesa di capire se, e in che misura saranno, introdotti, le aziende UE preparano le contromisure: solo per le industrie che operano in Italia ci sono oltre €2,5 miliardi a rischio.
IL RITORNO DEI DAZI
Nella giornata di martedì, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha ribadito che imporrà tariffe anche sulle importazioni di prodotti farmaceutici, un settore inizialmente escluso dalle nuove misure immaginate per rilanciare l’economia made in USA e a lungo risparmiato dalle passate controversie commerciali a causa del potenziale danno per i pazienti. Difatti, le importazioni di prodotti farmaceutici erano state inizialmente esentate dalla prima serie di dazi reciproci imposti dall’amministrazione USA la scorsa settimana nell’ormai noto “Liberation Day” ma da allora le successive, e talvolta contraddicenti, dichiarazioni del presidente hanno aperto la strada a nuove possibili tariffe commerciali.
I primi segnali di un’inversione di approccio si erano iniziati a intravedere con l’annuncio, negli ultimi giorni, di dazi su materie prime e forniture dalla Cina. Tra queste, un peso considerevole è infatti occupato da quelle utilizzate dall’industria farmaceutica, in particolare da principi attivi essenziali tanto per la produzione statunitense che per quella europea. Successivamente, il presidente Trump ha esplicitamente ampliato il ragionamento anche all’UE, indicando ripetutamente la produzione di farmaci in Europa come “un problema che intende affrontare” annunciando “importanti” nuovi dazi anche per gli “amici” sulla costa orientale dell’Atlantico.
Sebbene nelle ultime dichiarazioni Trump abbia poi annunciato una pausa di 90 giorni su alcuni dazi, mercoledì ha dichiarato di essere ancora intenzionato ad imporre tariffe sui prodotti farmaceutici per stimolare la produzione di farmaci negli Stati Uniti. Questa mossa potrebbe avere conseguenze molto impattati per un mercato così interconnesso come quello del pharma, con ricadute in termini finanziari e di valore della produzione in Europa, e forti ripercussioni sulla disponibilità di medicinali nonché sulla loro accessibilità economica.
UN MERCATO BASATO SU SCAMBI INTERNAZIONALI
Per anni la maggior parte dei paesi, compresi gli Stati Uniti, ha imposto dazi minimi o nulli sui prodotti farmaceutici e per la salute grazie anche ad un accordo dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) del 1995 che mirava a mantenere i farmaci a prezzi accessibili. Il mercato globale del pharma è infatti da sempre caratterizzato da una fitta rete di scambi commerciali, con catene che, in tutte le fasi – di ricerca, di produzione e di vendita – vedono collaborazioni e salda coesione internazionale.
Nel solo 2024 gli Stati Uniti hanno movimentato farmaci per un valore di $306,4 miliardi, di cui circa $213 miliardi in importazioni, più di due volte e mezzo rispetto al totale di dieci anni prima. Tra i maggiori esportatori negli USA figurano, come noto, gli Stati UE: il mercato americano è, infatti, da anni il primo partner di destinazione per la produzione farmaceutica, rappresentando circa il 23% dell’export europeo verso gli Stati Uniti.
Per l’Italia il legame è ancora più stretto, dato che più della metà della produzione è destinata all’estero, di cui il 25% destinato al mercato USA. Come evidenziato in un nostro recente Policy Brief, l’Italia è difatti ormai riconosciuta globalmente come una forza trainante nell’export farmaceutico, distinguendosi per il contributo delle sue eccellenze industriali e per il ruolo strategico nei mercati internazionali. Complessivamente, l’export associato all’industria farmaceutica, forte di una crescita costante nell’ultimo decennio, ha raggiunto nel 2023 un valore record di €49,1 miliardi (+3% rispetto al 2022). Tale cifra si compone per la maggior parte di esportazioni di medicinali, che rappresentano l’84% del totale del valore dell’export (€41,3 miliardi; +2% su base annua), sebbene il traino principale negli ultimi anni sia stato dato dalla crescita delle esportazioni di vaccini (€4 miliardi di valore, +9% su base annua), aumentate del +26% nell’ultimo decennio.
In crescita è anche il valore delle esportazioni del comparto dei dispositivi medici: nel 2023 l’Italia è stata infatti la 12° forza esportatrice del mondo con un valore dell’export di poco inferiore ai €6 miliardi, un dato che segna una crescita del +11% negli ultimi dieci anni e del +3% su base annua. Guardando allo scambio diretto tra le due coste dell’Atlantico, è bene evidenziare come, solo dal 2020 al 2021, l’export di dispositivi medici verso gli Stati Uniti sia cresciuto del +24,4%, facendo degli USA il primo paese di destinazione dei dispositivi Made in Italy, seguito dalla Germania e dalla Francia.
CARENZE E NUOVI COSTI, ANCHE PER GLI USA
Nel suo discorso sui dazi globali della scorsa settimana, Trump ha affermato che è un “problema tremendo” che “gli Stati Uniti non possono più produrre abbastanza antibiotici per curare i nostri malati”. Per quanto queste apprensioni possano essere comprensibili, e anche condivisibili, secondo diversi esperti, i problemi in casa USA potrebbero ulteriormente peggiorare se entrassero in gioco i nuovi dazi.
In particolare, si stima che i dazi possano avere i maggiori impatti sui farmaci generici, che costituiscono circa il 90% dei medicinali prescritti negli Stati Uniti, molti dei quali sono basati su ingredienti prodotti in Cina e in India. Si stima infatti che il 40% dei farmaci generici abbia solo uno o due fornitori che producono i rispettivi ingredienti, rendendo le catene produttive estremamente fragili ed esposte a shock. In particolare, come accennato nel paragrafo precedente, molti ingredienti farmaceutici e principi attivi (API) provengono ancora dall’estero, in particolare proprio dalla Cina: previsioni dell’agenzia S&P Global evidenziano come l’imposizione di dazi prolungati nel tempo sugli API provenienti dalla Cina, anche del 10%, potrebbero causare alle aziende produttrici di generici contraccolpi del 2-3% sui propri margini di profitto. Se, a quel punto, le aziende dovessero iniziare a cercare fonti alternative per questi ingredienti, S&P teme interruzioni delle forniture e un’esacerbazione delle carenze di farmaci. A pagarne le conseguenze saranno proprio le famiglie americane, per le quali si stima un aumento di spesa privata in medicinali di oltre $600 a persona all’anno.
Oltre all’impatto economico, l’imposizione di ulteriori dazi potrebbe comportare conseguenze estremamente serie anche per l’accesso alle cure mediche, da sempre un aspetto critico per la salute americana. Gli Stati Uniti, che come evidenziato attualmente dipendono dalle importazioni per una significativa porzione del loro fabbisogno farmaceutico, potrebbero affrontare scarsità di medicinali essenziali per la sopravvivenza dei pazienti. Questo scenario riguarda in particolare prodotti cruciali come determinati tipi di vaccini, farmaci antivirali e trattamenti oncologici, che vengono importati principalmente da paesi esteri. Un discorso simile vale anche per gli antibiotici, citati tra le priorità del presidente Trump: per questi, già oggi è limitata l’innovazione produttiva e risultano tra i farmaci maggiormente oggetto di carenze, con 40 carenze attive negli Stati Uniti nel 2024.
PER L’ITALIA OLTRE $2,5 MILIARDI DI COSTI AGGIUNTIVI
Come evidenziato dalle stime Federfarma, l’impatto dei dazi al 25% tra Stati Uniti e altri Paesi potrebbe arrivare a costare $76,6 miliardi alle aziende farmaceutiche. Di questi, si prevede che $2,5 miliardi possano ricadere sulle industrie italiane o che operano in Italia. Come specificato dal presidente di Farmindustria, Marcello Cattani, la minaccia dei dazi, dunque, “è un rischio concreto per il settore farmaceutico italiano e per l’intera filiera, ma avrebbe contraccolpi anche per gli USA e i suoi cittadini”.
Difatti, come analizzato nell’Osservatorio IN-Salute 2023, l’industria farmaceutica in Italia è ancora fortemente legata ad importazioni, in particolare nelle prime fasi di produzione: i prodotti farmaceutici le cui importazioni da stati extra-UE presentano delle criticità sono infatti in totale 24, 22 dei quali sono principi attivi e i restanti 2 sono prodotti semi-lavorati. Tale livello critico di dipendenza da importazioni dall’estero riguarda quindi circa il 15% dei prodotti, tra i quali alcuni estremamente diffusi come l’insulina.
LA RISPOSTA DELL’INDUSTRIA EUROPEA
Le recenti novità stanno portando tutti gli stakeholder europei ad avviare ragionamenti su possibili contromisure. L’Europa, infatti, aveva solo di recente iniziato a rimodulare i propri paradigmi strutturali e fiscali (con la nuova struttura del Patto di Stabilità, New Economic Governance Framework – NEGF) proprio al fine di includere pienamente la salute tra gli “asset” più importanti e strategici per la propria popolazione e per la tenuta dell’Unione.
Già all’indomani delle prime dichiarazioni del presidente Trump la Commissione aveva espresso il proprio interesse a negoziare una soluzione con gli USA, sottolineando l’importanza di un mercato farmaceutico transatlantico più cooperativo. Nel frattempo, tuttavia, l’apprensione sul rischio di possibili interruzioni delle catene di approvvigionamento globali ha portato, nella giornata dell’8 aprile, alcuni tra i principali player del settore (European Federation of Pharmaceutical Industries and Associations, Medicines for Europe, EuropaBio – the European Association for Bioindustries, Eucope – European Confederation of Pharmaceutical Entrepreneurs e rappresentanti di alcune aziende) a partecipare ad una consultazione con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen per discutere le implicazioni delle misure commerciali statunitensi. In particolare, risulta esserci preoccupazione per possibili contrazioni nelle disponibilità di farmaci essenziali, minore possibilità di investimento in ricerca e sviluppo, e un aumento dei prezzi per produttori ma anche pazienti.
Sebbene permanga ancora una considerevole incertezza dato il susseguirsi di dichiarazioni e comunicazioni spesso contraddittorie da parte dell’amministrazione USA, a seguito delle ultime dichiarazioni le aziende del settore hanno chiesto all’UE una maggiore presa di posizione, con interventi volti ad arginare i possibili contraccolpi.
In particolare, gli esponenti del settore hanno esortato la Commissione europea a potenziare il mercato unico eliminando gli ostacoli normativi e l’eccessiva burocratizzazione tipica delle procedure UE. I partecipanti hanno infatti richiesto procedure più semplici, specialmente per i test clinici, i settori ad alto tasso di innovatività e la digitalizzazione del sistema sanitario europeo, oltre a maggiori tutele per la proprietà intellettuale.
Al contempo, sono state sollevate osservazione su alcuni dei principali dossier della farmaceutica europea, come il contestato Pharma Package, mentre per il Biotech Act e le strategie per bioeconomia la Commissione è stata esortata ad agire con maggiore determinazione e tempestività al fine di consolidare la leadership europea globale nelle biotecnologie e nella bioproduzione.
Sulla base di queste posizioni condivise, l’associazione Medicines for Europe ha presentato un piano articolato in cinque azioni strategiche, pensato per affiancare la Commissione europea nella salvaguardia del settore industriale. Il piano prevede:
• il rafforzamento dell’azione diplomatica per evitare l’introduzione di dazi su farmaci e principi attivi, con l’obiettivo di scongiurare nuove carenze e conseguenze negative per i pazienti;
• una revisione normativa delle disposizioni che ostacolano l’attività industriale farmaceutica in Europa, come quelle sulle acque reflue urbane o le restrizioni su alcune sostanze chiave per la produzione;
• l’accelerazione delle politiche industriali già delineate nel Critical Medicines Act e nel Biotech Act, comprese misure di sostegno economico per attutire lo shock competitivo generato da eventuali dazi;
• l’adozione di una legislazione farmaceutica (Pharma Package) più equilibrata, capace di promuovere l’accesso e la concorrenza sin dal termine della copertura brevettuale, sostenibile per i sistemi sanitari e allineata con la transizione digitale del settore;
• una strategia fondata sull’autonomia strategica dell’UE, che metta al centro solidarietà, sicurezza di approvvigionamento e accesso equo ai medicinali in tutta Europa.
I PROSSIMI PASSI
Lo scenario globale è oggi più che mai incerto e, in tale quadro, è evidentemente complicato tanto per le istituzioni europee, quanto per gli attori del mercato, programmare misure per interventi di breve, media o lunga durata. Al contempo, tuttavia, davanti ad una possibile guerra di dazi persino sui medicinali e farmaci, che apre a una crisi che coinvolge anche direttamente la salute delle persone, l’industria UE chiede risposte rapide e i decisori non possono non impegnarsi a contenere il possibile shock.
E se la Cina ha deciso di rispondere alle misure protezionistiche americane con nuovi rialzi di dazi sulle importazioni statunitensi, per l’Europa, e l’Italia in particolare, una escalation rischia di avere effetti devastanti: non solo si registrerebbero perdite di mercato, di produzione e di posti di lavoro, facendo perdere al nostro paese il ruolo di traino mondiale nell’industria farmaceutica, ma si metterebbe a rischio la salute e la vita di milioni di persone.