Il 16 aprile il Tar del Lazio ha respinto il ricorso in materia di cannabis terapeutica, riconoscendo come legittima la scelta del Ministero della Salute di inserire le composizioni orali di CBD nell’elenco dei farmaci stupefacenti. Entrerà quindi in vigore il Decreto, fondato sul “principio di precauzione”, che fa sì che i farmaci ottenuti dagli estratti di cannabis possano essere prescritti solo con ricetta medica non ripetibile.

LA CBD TERAPEUTICA CLASSIFICATA COME STUPEFACENTE: DAL TAR OK AL DECRETO DEL MINISTERO DELLA SALUTE

Il Tar del Lazio, con sentenza pubblicata il 16 aprile 2025, ha respinto il ricorso contro il Decreto del Ministero della Salute del 27 giugno 2024 che aveva previsto l’inserimento delle composizioni per somministrazione orale di cannabidiolo (CBD) ottenuto da estratti di cannabis nella Tabella B dei medicinali stupefacenti. Secondo il tribunale amministrativo, infatti, il decreto – sostenuto dai pareri dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) (14 maggio 2024) e del Consiglio Superiore di Sanità (CSS) (11 giugno 2024) – è fondato, e quindi il ricorso è stato respinto.

Tale ricorso era stato presentato da operatori del settore della Cannabis terapeutica che contestavano l’inserimento del CBD estrattivo tra la lista di sostanze stupefacenti o psicotrope sostenendo l’assenza di concreti presupposti ai sensi dell’art. 14 del DPR 309/1990. Secondo i ricorrenti, infatti, né l’ISS né il CSS avevano accertato che il CBD inducesse dipendenza fisica o psichica o potesse essere classificato come sostanza stupefacente o psicotropa.

Nel corso del procedimento, il Ministero della Salute ha difeso la propria posizione invocando il “principio di precauzione” riconosciuto dal diritto europeo e nazionale, e ha evidenziato le incertezze scientifiche sulla sicurezza del CBD assunto oralmente al di fuori del circuito sanitario. Difatti, la sentenza ricorda come il CBD naturale non sia mai completamente privo di THC, già tabellato come stupefacente, e come possa interagire con altri farmaci o causare effetti indesiderati: il rischio sarebbe quello della possibile interazione del THC con il CBD, motivo per cui “il provvedimento adottato risulta appropriato, sulla base del principio di precauzione volto a scongiurare i rischi potenziali per la sanità pubblica e per la sicurezza senza dover attendere che sia pienamente dimostrata l’esistenza di THC in tutte le preparazioni e la conseguente effettiva situazione di dipendenza. Riportando il parere del Consiglio Superiore di Sanità, la sentenza evidenzia infatti che dall’interazioni delle sostanze non è mai possibile escludere effetti psicotropi “sia perché vi sono evidenze contrastanti sull’attività psicotropa del CBD stesso, sia comunque perché quando il CBD è estratto dalla pianta di cannabis non è possibile avere un estratto di CBD puro”.

Secondo il Tar, il provvedimento adottato presenta quindi i requisiti necessari per una appropriata applicazione del “principio di precauzione, volto a scongiurare i rischi potenziali per la sanità pubblica e per la sicurezza senza dover attendere che sia pienamente dimostrata l’esistenza di THC in tutte le preparazioni e la conseguente effettiva situazione di dipendenza”. Il Tar pertanto afferma la legittimità del decreto ministeriale, confermando che la Cannabis sativa, nella sua interezza, è quindi inserita nella Tabella II delle sostanze stupefacenti senza distinzione tra i singoli componenti e che i pareri scientifici evidenziano potenziali rischi anche in assenza di una prova definitiva sull’effetto psicotropo del CBD. Inoltre, ha richiamato la legge 242/2016 sulla canapa industriale sottolineando che non comporta modifiche alle disposizioni del DPR 309/1990 in materia di stupefacenti. Infine, ha ricordato che l’uso orale del CBD non è autorizzato come alimento a livello europeo, ma solo come medicinale.

LA LUNGA CONTESA LEGALE SUI FARMACI CON CBD, TRA PARZIALI APERTURE E FRENATE

Il decreto sopra citato è solo l’ultimo episodio di un rapporto storicamente complesso e burrascoso tra i decisori politici del nostro Paese e la possibilità di utilizzare derivati della cannabis nei prodotti farmaceutici e terapeutici. In Italia la cannabis terapeutica è difatti formalmente legale dal 2006, sebbene una regolamentazione più dettagliata sia stata introdotta solo nel 2015, con il decreto del 9 novembre. L’avvio di un confronto più serrato in materia è tuttavia iniziato con la valutazione di nuovi medicinali contenti CBD pensati per la terapia dell’epilessia, per i quali l’iter autorizzativo per l’immissione in commercio si era concluso a giugno 2021. L’epilessia è infatti una di quelle patologie per le quali vi è una ormai ampia letteratura scientifica che dimostra gli effetti positivi di farmaci contenenti cannabidiolo: secondo la Lega Italiana contro l’Epilessia (Lice), questi riducono la frequenza delle crisi epilettiche fino al 54% nei pazienti affetti da Sindrome di Dravet o di Lennox-Gastaut con epilessia farmaco-resistente, e il suo effetto è riscontrabile anche nel lungo periodo.

Al contempo, però, già nel 2020 il Ministero della Salute aveva inserito nella tabella dei medicinali le composizioni per la somministrazione ad uso orale di cannabidiolo (CBD) ottenuto da estratti di cannabis, sulla base dei pareri favorevoli resi dall’Istituto superiore di sanità e dal Consiglio superiore di sanità. Tuttavia, a questo decreto non era seguita una reale applicazione, e poco dopo lo stesso Ministero lo ha sospeso “per acquisire ulteriori approfondimenti di natura tecnico-scientifica”. Tale decreto di sospensione è poi stato revocato, e, in seguito a un ricorso al Tar, era stata avviata una nuova istruttoria i cui esiti sono stati adesso impugnati e decisi con sentenza. Questo provvedimento limita la vendita di tali prodotti alle farmacie, previa prescrizione medica non ripetibile, escludendo la loro vendita in negozi come erboristerie e tabaccai.

Nel frattempo, ostacoli all’uso di CBD terapeutica sono recentemente emersi anche dall’adozione del nuovo Codice della Strada, entrato in vigore il 14 dicembre 2024. Questo, difatti, prevede sanzioni severe per chi risulta positivo al test antidroga, indipendentemente dalla presenza di effetti psicotropi. Questa normativa ha suscitato preoccupazioni tra i pazienti in cura con cannabis terapeutica. Solo di recente è stata rilasciata una circolare congiunta da parte dei ministeri dell’Interno e della Salute in cui, su sollecitazione di esperti, si specifica che le analisi devono valutare l’eventuale presenza di metaboliti dovuta a terapie fatte in ospedale prima del prelievo dei campioni o da una terapia prescritta dal proprio medico. Questo passaggio è importante perché esclude le sanzioni nei confronti di persone che assumono farmaci a base di oppioidi o psicofarmaci che hanno gli stessi principi attivi delle sostanze stupefacenti.

COME FUNZIONA LA CANNABIS TERAPEUTICA

La cannabis terapeutica è un trattamento medico basato sull’uso controllato di preparati contenenti principi attivi della pianta di cannabis, principalmente CBD (cannabidiolo) o THC (tetraidrocannabinolo). Queste sostanze agiscono sul sistema endocannabinoide umano, influenzando funzioni come il dolore, l’infiammazione, ma anche l’umore o l’appetito. Tra le indicazioni più comuni ci sono il dolore cronico (soprattutto di origine neurologica), gli effetti collaterali della chemioterapia (come nausea e vomito), la spasticità nella sclerosi multipla, la perdita di appetito nei pazienti oncologici o con AIDS, e, come accennato nel paragrafo precedente, alcune forme di epilessia resistente ai farmaci. Tali farmaci a base di cannabis possono essere assunti sotto forma di infiorescenze da vaporizzare o di preparazioni galeniche (olio o capsule), sempre sotto stretta sorveglianza medica. La loro efficacia dipende dal corretto bilanciamento tra THC e CBD, e i trattamenti sono personalizzati in base alle esigenze del paziente.

L’uso terapeutico dei derivati della cannabis è stato più volte sostenuto anche dalla comunità internazionale, in particolare negli ultimi anni in cui è stata sviluppata anche un’ampia letteratura scientifica che ne evidenzia alcuni effetti significativamente positivi. Nel gennaio 2019 l’OMS ha infatti raccomandato la rimozione della cannabis dalla Tabella IV della Convenzione unica sugli stupefacenti del 1961, riconoscendo le sue applicazioni mediche. Ha inoltre suggerito che le preparazioni di cannabidiolo puro con meno dello 0,2% di THC non debbano essere sottoposte a controllo internazionale.

Anche l’UE ha mostrato grandi aperture sull’uso della cannabis terapeutica, con diversi paesi che hanno implementato programmi nazionali. Tuttavia, la regolamentazione varia tra gli Stati membri, con alcuni paesi che hanno avviato progetti pilota e altri che hanno regolamentato completamente l’uso della cannabis per scopi terapeutici.

IN AUMENTO LA DOMANDA TRA I PAZIENTI ITALIANI E ALL’ESTERO

Al contempo, però, la domanda di medicinali contenenti CBD ha segnato una costante crescita, un trend evidenziato in Italia come in tanti altri Stati UE. Come riportato da recenti dati dell’ISS, nel solo periodo tra il 2019-2024 sono infatti state registrate oltre 100.000 prescrizioni magistrali di cannabis per uso medico, con un coinvolgimento di oltre 28.000 pazienti con una prevalenza del sesso femminile e un’età media di 60 anni.

Come riportato dal Monitoraggio delle prescrizioni magistrali di cannabis per uso medico dell’ISS, la principale modalità di impiego delle preparazioni a base di cannabis è costituita dal trattamento del dolore cronico che rappresenta il 78% dei casi, mentre il 20% riguarda l’uso nell’analgesia in patologie con spasticità, come ad esempio la sclerosi multipla. Seguono, con percentuali ben più esigue e intorno al 2%, gli impieghi della cannabis come anticinetosico, antiemetico e stimolante dell’appetito. Si evidenzia come nell’80% dei casi tali farmaci vengano utilizzati in integrazione alla terapia tradizionale.

Tra gli altri Stati UE, la Germania vanta la più grande industria della cannabis ad uso medico in Europa, posizionandosi subito dopo gli Stati Uniti e il Canada con oltre 120.000 persone ogni anno sotto trattamento con cannabis terapeutica. Numeri elevati anche in Olanda, dove oltre 50.000 persone utilizzano cannabis per scopi terapeutici, mentre nel Regno Unito se ne stimano circa 15.000. Complessivamente a livello europeo si stima che, nel prossimo decennio, fino a 25 milioni di pazienti potrebbero beneficiare di trattamenti a base di cannabis medica in tutta l’UE.

DALLA COLTIVAZIONE IN ITALIA 20MILA POSTI DI LAVORO E IMPORTANTI RICAVI

Secondo i dati Coldiretti, la coltivazione, trasformazione e commercio della cannabis a scopo terapeutico per soddisfare i bisogni dei pazienti in Italia nel 2019 generava un reddito di circa €1,4 miliardi, valore che oggi si stima possa aver superato i €2 miliardi di impatto economico complessivo. Anche in termini occupazionali il settore si rivela di considerevole portata, con circa 22.000 posti di lavoro lungo tutta la catena produttiva (circa 15.000 nella coltivazione) e 3.000 aziende attive nel comparto.

Anche a livello europeo si rilevano tendenze molto importanti per un mercato che nel 2024 ha raggiunto un valore di $2.586,1 milioni. In prospettiva, infatti, si prevede che il mercato raggiungerà $12.652,9 milioni entro il 2033, con un tasso di crescita (CAGR) del 18,33% nel periodo 2025-2033.

COSA CAMBIA ORA PER PAZIENTI, FARMACIE E INDUSTRIA, IN ATTESA DI NOVITÀ DAL PARLAMENTO EUROPEO

Con la piena entrata in vigore del Decreto, e pertanto con l’inserimento del CBD da estratti di cannabis nella Tabella dei medicinali, sezione B, la vendita di composizioni orali di cannabidiolo in Italia sarà possibile solo dietro presentazione di una ricetta medica non ripetibile, come avviene per molti altri farmaci soggetti a controllo.

La Fofi, Federazione Ordini Farmacisti Italiani, si è attivata al riguardo raccomandando a tutti i farmacisti di provvedere al caricamento della stessa nel Registro entrata-uscita stupefacenti, di fatto tornando a quanto indicato dal Ministero, lo scorso 7 agosto 2024, prima della sospensione del DM, in una circolare contenente le indicazioni operative in merito all’applicazione del provvedimento per medici, veterinari e farmacisti. Per quanto riguarda le modalità di approvvigionamento nelle farmacie, si evidenzia come questa debba ora avvenire mediante buoni acquisto ed è richiesto di annotare le movimentazioni sul registro di entrata e uscita (ex art. 60 del D.P.R. 309/90). Anche in riferimento all’allestimento di preparazioni magistrali su prescrizione medica, i farmacisti sono tenuti a registrare il CBD ottenuto da estratti di Cannabis di grado farmaceutico acquistato, dedicando apposita pagina alla medesima sostanza e alle preparazioni magistrali allestite.

Nel frattempo, gli agricoltori del CBD in Italia, che da soli rappresentano oltre 500 milioni di ricavi e circa 15.000 impiegati, proseguono il proprio appello alle istituzioni europee: in un ricorso presentato alla Corte di giustizia dell’Unione europea, sostengono che la nuova normativa italiana sarebbe illegittima perché viola le direttive europee sulla libertà di circolazione delle merci e sulla trasparenza del mercato unico, e perché in contraddizione con la posizione della stessa Corte UE che, con la sentenza C 793/22, aveva stabilito che gli Stati membri non possono imporre restrizioni alla coltivazione della canapa industriale, “a meno che non ci siano prove di rischi per la salute pubblica”.

Al contempo, oltre 15 realtà dell’agricoltura italiana hanno presentato congiuntamente alla Commissione Petizioni (Peti) del Parlamento europeo una petizione con la richiesta di “verificare la conformità delle normative italiane” e di “sollecitare la Commissione Europea a valutarne la compatibilità con il diritto dell’Unione”, come già chiesto in una lettera dello scorso giugno. La petizione, accolta dal Parlamento europeo nel mese di febbraio grazie al sostegno della maggioranza dei gruppi (Left, Verdi, Socialisti e Democratici, Renew e Popolari), è stata discussa lo scorso 17 marzo ricevendo riscontri cauti da parte della DG Agri, che ha ribadito come “la valutazione è ancora in corso”. Qualora il Parlamento europeo dovesse dare il via libera a lettere chiarificatore al Governo italiano, Palazzo Chigi avrebbe 90 giorni di tempo per rispondere.

Dopo la laurea triennale in Economics and Business all’Università LUISS, ha conseguito la laurea magistrale in Economics presso l’Università di Roma Tor Vergata con una tesi sperimentale in Economia del Lavoro su come l’introduzione di congedi di paternità influenzi gli esiti occupazionali ed economici delle madri.