L’ultimo quadrimestre dell’anno è appena iniziato, ma il ministro Orazio Schillaci ha già elencato priorità e pretese sulla legge di bilancio, quella che verrà predisposta nei prossimi mesi e che già si prospetta al centro di trattative e confronti. La principale notizia riguarda l’aumento del Fondo Sanitario Nazionale per il quale è stato annunciato un aumento di €2 miliardi aggiuntivi, ma al centro dell’attenzione rimangono anche i temi riguardanti il personale sanitario, le liste di attesa e i nuovi LEA. Assente dal dibattito, quantomeno per ora, il necessario innalzamento degli investimenti in prevenzione.
SCHILLACI ANNUNCIA NUOVI FONDI: DAL 2022 OLTRE 15 MILIARDI IN PIÙ
Con un videomessaggio al Meeting di Rimini, il ministro Schillaci ha ufficialmente aperto il confronto sulla legge di bilancio, anticipando il tradizionale dibattito autunnale e fissando già da adesso le principali priorità per il suo dicastero. Tra gli obiettivi tracciati, sui quali il numero uno del dicastero aveva già precedentemente incontrato il suo collega del MEF, il ministro Giancarlo Giorgetti, vi è innanzitutto l’innalzamento del Fondo Sanitario Nazionale che, dal 2026, raggiungerà i €142,5 miliardi con un incremento di circa €6 miliardi rispetto all’anno scorso: 4 erano già stanziati dalla precedente manovra e a questi se ne dovrebbero ora aggiungere altri 2.
Se queste risorse dovessero venire confermate dal MEF, si avrebbe un aumento considerevole delle risorse assolute: l’ammontare del FSN del 2026 supererebbe le cifre che l’anno scorso erano state previste non solo per il 2026 ma anche per il 2027, e complessivamente si avrebbe un aumento di quasi €15 miliardi rispetto a soli tre anni fa. Nell’ultima manovra, per il fabbisogno 2025, erano infatti stati assegnati €136,5 miliardi, mentre per il 2026 e il 2027 ne erano stati previsti rispettivamente €140,9 miliardi e €141,7 miliardi.
PRIORITÀ AL PERSONALE
La necessità di fondi aggiuntivi sembra essere derivata anzitutto dal bisogno di far fronte alle considerevoli novità che riguardano il personale medico e sanitario, uno dei temi su cui il ministro ha maggiormente posto centralità e attenzione. Difatti, oltre agli annosi temi del sottodimensionamento e della sempre minore attrattività delle professioni mediche, con conseguente fuga all’estero di migliaia di giovani professionisti ogni anno, le nuove riforme sul personale evidenziano l’imprescindibilità di nuove risorse.
Centrale in tal senso è il recente stop alle assunzioni “a gettone”. A decorrere dal 31 luglio, infatti, le strutture sanitarie non possono più ricorrere a questo tipo di compensazione per il personale medico e infermieristico. Il sistema di reperibilità su chiamata ha consentito per molto tempo il mantenimento operativo di diversi servizi ospedalieri, inclusi i reparti d’urgenza, generando tuttavia costi molto elevati: l’ANAC ha quantificato la spesa in €457 milioni per il solo 2024, una cifra che avrebbe potuto finanziare circa 10.000 posti di lavoro fissi nel settore sanitario. Stime sull’ultimo quinquennio raggiungono addirittura i €2,1 miliardi, l’equivalente dei finanziamenti aggiuntivi annunciati per il 2026.
La cessazione di questo meccanismo di ingaggio istantaneo solleva ora il dilemma della gestione delle sostituzioni. Oltre ad alcune misure che il ministro Schillaci aveva ricordato alla Camera qualche settimana fa (la riduzione della tassazione sulle prestazioni aggiuntive dal 43% al 15% per i medici che lavorano nel SSN e l’aumento delle indennità di specificità per chi lavora in pronto soccorso), vengono ora introdotte nuove possibilità: le aziende ospedaliere potranno stipulare direttamente accordi lavorativi flessibili, bypassando le società cooperative intermediarie. Le ASL acquisiscono così facoltà di ricorrere a rapporti professionali autonomi, integrandoli con le collaborazioni coordinate e continuative preesistenti. Le normative prevedono, inoltre, una durata massima di 12 mesi e compensi orari fino a €85 euro.
Sempre per tentare di rendere le professioni mediche più attrattive, “la riforma delle professioni sanitarie prevederà la stabilizzazione dello scudo penale, che limita la punibilità ai soli casi di colpa grave: una misura attesa da anni dai medici, che eviterà esami inutili senza togliere ai cittadini il diritto al risarcimento in sede civile”, ha ricordato il ministro nel suo intervento a Rimini.
Infine, con l’avvicinarsi delle scadenze del PNRR, sta diventando sempre più difficile da ignorare il grande elefante nella stanza riguardante l’assenza di personale nelle Case di Comunità. Gli investimenti per queste strutture, finanziate con la programmazione europea post pandemica e pensate per essere i nuovi presidi di prossimità, non prevedono infatti alcuna assunzione e il rischio di ritrovarsi tra pochi mesi con numerosi nuovi edifici vuoti è sempre più concreto. Tale timore è condiviso anche dal ministro Schillaci (“Le nuove strutture rischiano di restare scatole vuote senza personale”) che, per far fronte alla situazione, ha ottenuto “la disponibilità dei medici di famiglia a lavorare 12 ore al giorno insieme a specialisti e infermieri, così da garantire servizi 7 giorni su 7. Con l’invecchiamento della popolazione, l’immagine del medico di base che lavora da solo è ormai anacronistica”.
LISTE D’ATTESA E NUOVI LEA: I FONDI PER FAVORIRE L’ACCESSIBILITÀ DELLE CURE
Un altro dei temi caldi dell’agenda del ministero della Salute rimane quello delle liste di attesa. Già a luglio, in un approfondimento I-Com basato sui dati della piattaforma nazionale del dicastero, era emerso un quadro con non poche problematiche: se da un lato le visite e gli esami urgenti vengono generalmente garantiti entro i tempi previsti, per le prestazioni programmabili la situazione appare molto più disomogenea, con attese che in alcuni casi possono superare anche l’anno dalla prenotazione.
Su tal fronte Schillaci ha commentato i primi esiti della tanto volute legge sulle liste di attesa approvata nei mesi scorsi, rivendicandone alcuni primi esiti positivi: “Da gennaio a giugno 2025, 997 strutture hanno registrato un miglioramento medio del +21,3% nelle prestazioni prioritarie. La piattaforma di monitoraggio sta già dando risultati: tra il primo e il secondo trimestre, ad esempio, le mammografie sono cresciute del 40%. Dove le regioni hanno attuato la norma — visite nei weekend, aperture serali, unificazione delle agende e coinvolgimento del privato accreditato — i segnali sono positivi”. Per sfoltire le liste d’attesa il governo ha inoltre aumentato il limite di spesa per gli accessi al servizio privato convenzionato: l’incremento per il 2025 è dello 0,5%, €61,5 milioni, e per il 2026 sarà dell’1%, €123 milioni in più.
Parallelamente, e altrettanto determinante per garantire accessibilità delle cure, è l’impegno del governo sui LEA. Difatti, è opinione condivisa che occorra ora dare seguito al grande passo avanti, atteso da oltre 7 anni, dell’approvazione del decreto tariffe con il quale sono stati introdotti i nuovi Livelli essenziali di assistenza. Particolare attenzione è posta sulla necessità di garantire le risorse sufficienti nelle aree della prevenzione e assistenza distrettuale.
L’esigenza di lavorare ad un appianamento delle differenze tra regioni è stata evidenziata a Rimini anche da Antonello Aurigemma, presiedente del Consiglio Regionale del Lazio e coordinatore della Conferenza dei presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome: “Dal 2012 non sono riviste le tariffe delle prestazioni. Abbiamo le regioni virtuose che riescono ad aggiornare le tariffe, le regioni meno virtuose, dal Lazio in giù, costringono i cittadini a fare viaggi sanitari. L’assurdo è che la prestazione è pagata dalla regione di residenza ma viene fornita da una regione del nord”.
In quest’ottica, il ministro ha evidenziato come lo stanziamento delle risorse alle regioni (ancora non quantificate) non verranno utilizzate per questioni legate ai bilancio e ai risanamenti finanziari. Nel 2024 le regioni con i conti in rosso erano 13, una in più rispetto all’anno precedente. Le situazioni più critiche, che hanno necessitato interventi drastici e piani di rientro al limite della sostenibilità economica del sistema, riguardano Campania, Lazio, Abruzzo, Puglia, Sicilia, Calabria e Molise. Queste ultime due sono ancora commissariate, la Calabria da 16 anni.
PREVENZIONE E PAYBACK I NODI ANCORA DA SCIOGLIERE
Gli annunci molto significativi, e la grande convinzione con cui sono stati fatti, sono indubbiamente passaggi molto importanti in vista del dibattito che si svolgerà nelle prossime settimane. A seguito di un’estate caratterizzata da non poche criticità interne ed esterne e numerose sfide, le dichiarazioni del ministro hanno infatti dato una ventata di ottimismo.
Alcuni dubbi, tuttavia, permangono. Innanzitutto, sono mancati riferimenti alla prevenzione, un tema fondamentale per le ultime tendenze epidemiologiche e, soprattutto, per il rapido tasso di invecchiamento che caratterizza la popolazione italiana.
La percentuale complessiva del FSN destinata alla prevenzione rimane limitata e appare evidente come le risorse di tale 5% non siano più sufficienti a contenere le esigenze di prevenzione di una popolazione sempre più longeva e al contempo esposta a nuovi fattori di rischio o stili di vita non salutari. È pertanto auspicabile, se non necessario, un incremento delle risorse dedicate a tali attività, considerando l’importanza della prevenzione nel migliorare la salute pubblica e nel ridurre i costi sanitari a lungo termine. In particolare, si auspica un aumento degli investimenti in prevenzione dal 5% al 7% del FSN, una cifra che rispecchia l’urgenza di fermare un declino ormai altrimenti inevitabile.
Un ulteriore tema che ad oggi appare ancora scoperto è quello della salute mentale, e in particolare del finanziamento del nuovo Piano per la salute mentale 2025-2030 che il ministero ha nelle settimane scorse trasmesso alle Regioni.
Infine, con la nuova legge di bilancio il governo sarà costretto a riconsiderare diverse misure adottate per sostenere la manovra economica del 2025. Tra queste, la questione più controversa riguarda il meccanismo del payback sui dispositivi medici: un sistema che impone alle imprese fornitrici di contribuire al recupero dei fondi quando le regioni superano i limiti di spesa stabiliti.
La Corte Costituzionale ha confermato la validità di questo strumento, respingendo le istanze di cancellazione del provvedimento per presunte violazioni costituzionali. Tali contestazioni erano state sollevate dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio in seguito a una valanga di impugnazioni – quasi duemila – presentate dalle società del comparto. Nonostante le forti resistenze del settore industriale, il meccanismo risulta quindi confermato nella sua legittimità e un suo superamento, pertanto, necessiterà una risposta politica.



