Le liste d’attesa rappresentano una delle principali criticità del Servizio Sanitario Nazionale. L’indagine condotta dall’Istituto per la Competitività conferma una situazione preoccupante su tutto il territorio nazionale, in linea con quanto segnalato anche a livello istituzionale: i tempi medi per l’accesso a visite specialistiche e screening risultano infatti eccessivamente lunghi.
I dati raccolti da I-Com parlano chiaro: solo l’8% degli intervistati dichiara di aver ottenuto una prestazione entro 10 giorni dalla prenotazione, il 17% entro un mese, il 24% entro sei mesi, mentre un preoccupante 21% riporta attese superiori ai sei mesi.
In termini geografici, il tempo medio di attesa si attesta a 114 giorni nel Nord, 126 giorni nel Centro – dato probabilmente influenzato dal peso delle risposte provenienti dalla capitale – e 108 giorni nel Sud e nelle Isole.
I nuovi dati della piattaforma nazionale del Ministero della Salute, gestita insieme ad Agenas, offrono un quadro dei tempi di attesa per le prestazioni sanitarie in Italia confermando le problematiche emerse lo scorso anno. Se da un lato le visite e gli esami urgenti vengono generalmente garantiti entro i tempi previsti, per le prestazioni programmabili la situazione appare molto più disomogenea, con attese che in alcuni casi possono superare anche l’anno dalla prenotazione.
Il tema è diventato centrale nell’agenda politica, con il governo che ha annunciato misure straordinarie per affrontare una delle principali criticità percepite dai cittadini in ambito sanitario. Tuttavia, l’attuale scenario continua a presentare ombre e forti disuguaglianze territoriali, rendendo complesso un cambiamento strutturale a breve termine.
I dati relativi ai primi cinque mesi dell’anno, raccolti attraverso la piattaforma nazionale sulle liste d’attesa, mostrano un volume di circa 23 milioni di prenotazioni per prime visite specialistiche ed esami diagnostici, con quasi un milione di prestazioni effettuate durante i fine settimana. Tuttavia, le informazioni disponibili sono aggregate e non permettono di distinguere le differenze tra le varie realtà territoriali.
Nel complesso, le prestazioni urgenti e a breve termine risultano generalmente erogate entro i tempi previsti dalla normativa: 3 giorni per le urgenze (classe U), 10 giorni per le prestazioni brevi (classe B), 30 o 60 giorni per quelle differibili (classe D) e fino a 120 giorni per le programmabili (classe P). Il rispetto delle scadenze è più frequente per le urgenze e le brevi, mentre si riscontrano maggiori criticità nei percorsi meno urgenti. Le prenotazioni totali, suddivise tra esami (58,1%) e visite (41,9%), sono state così distribuite per classi di priorità: il 2% ha riguardato le prestazioni urgenti (classe U), il 15,9% quelle a breve termine (classe B), il 40,4% la classe differibile (D) e il restante 41,7% la classe programmata (P).
TIPOLOGIA DI PRESTAZIONE E CLASSI DI PRIORITÀ – Fonte: Ministero della salute
Nei grafici sottostanti sono riportate le visite e gli esami maggiormente richiesti. Tra le visite prevalgono le prime visite specialistiche, in particolare oculistica, cardiologica, ortopedica e dermatologica/allergologica. Per quanto riguarda gli esami, l’ecografia dell’addome completo risulta la più richiesta.
Il grado di accettazione, ovvero la quota di prime disponibilità accettate dall’assistito varia a seconda della prestazione, ma in generale, per le tipologie illustrate nei grafici, la media di accettazione delle visite (33,61%) risulta inferiore rispetto a quella degli esami (42,81%). Dati che mostrano una percentuale molto bassa, sottolineando come molti di questi decidano di non curarsi a causa delle lunghe attese, oppure si affidino al contesto privato. Questo comporta un allargamento della forbice sociale, costringendo le persone che non possono permetterselo a rifiutare le cure; infatti, oltre 2 milioni di italiani tra i 18 e i 74 anni (pari al 5,3% della popolazione) nel 2024 hanno rinviato visite mediche o cure dentistiche perché non potevano permettersele. La situazione è ancora più grave tra chi soffre di malattie croniche, dove la percentuale sale al 9,2%. Le polizze sanitarie private aiutano, ma non risolvono il problema: tra chi non ha un’assicurazione sanitaria, il 5,3% rinvia le cure; tra chi ce l’ha, la quota scende al 3,3%.
Tutti questi fattori comportano inevitabili conseguenze sull’accesso alle cure e sulle scelte dei cittadini. Nel nostro sondaggio, abbiamo indagato se queste inefficienze avessero costretto i cittadini a rinunciare alle cure e quali fossero le motivazioni principali dietro questa decisione forzata (Fig.4.9). Circa il 30% degli intervistati ha dichiarato di aver dovuto rinunciare a trattamenti, con la motivazione principale, a livello nazionale, rappresentata dai tempi di attesa eccessivi, come evidenziato anche nei paragrafi precedenti. La seconda causa, particolarmente sentita nelle regioni del Sud Italia, è rappresentata dai costi elevati di medicinali e cure (7,8%). Un’altra barriera specifica per il Sud è la mancanza di informazione, o una poca chiarezza nelle comunicazioni ufficiali: il 5,2% degli intervistati ha infatti rinunciato a cure perché non sapeva a chi rivolgersi. Inoltre, alcuni cittadini del Centro e del Nord hanno dichiarato di aver dovuto rinunciare a cure necessarie perché erogate in altre regioni o luoghi differenti dal proprio domicilio, questo problema non è emerso tra gli abitanti del Sud e delle Isole, probabilmente perché per molti di loro è ormai consuetudine dover viaggiare per ottenere cure più rapide ed efficaci.
Questi segnali d’allarme delineano una situazione complessa, in cui molti pazienti italiani si ritrovano isolati e privi di soluzioni adeguate, arrivando a rinunciare a cure necessarie o a rivolgersi alla sanità privata per rispondere ai propri bisogni di salute. A confermare la portata del fenomeno, il nostro sondaggio evidenzia che solo il 5% degli intervistati ha dichiarato di non ricorrere ai servizi sanitari privati. Le liste d’attesa emergono come il principale ostacolo: circa l’80% degli intervistati le ha indicate come la motivazione principale del ricorso al privato. Inoltre, un ulteriore 20% ha dichiarato di aver tentato l’accesso ai servizi pubblici senza successo, trovandosi infine costretto a optare per soluzioni a pagamento.
VISITE PRENOTATE E ACCETTATE DAL PAZIENTE – Fonte: Ministero della salute
ESAMI PRENOTATI E ACCETTATI DAL PAZIENTE – Fonte: Ministero della salute
Analizzando nello specifico ogni prestazione, in alcuni casi emergono situazioni problematiche anche tra le urgenze, ad esempio per esami come la colonscopia (con attese fino a 190 giorni), l’elettromiografia, la gastroscopia o la risonanza magnetica del rachide sacrococcigeo o della colonna in toto, che possono raggiungere rispettivamente 510 giorni per la prima e 518 per la seconda. In controtendenza, le prime visite oncologiche vengono generalmente garantite in tempi molto rapidi: 2-3 giorni in caso di urgenza, 3-10 giorni se classificate come brevi, e comunque con attese contenute anche in assenza di urgenza.
Per quanto riguarda le prestazioni differibili o programmabili, il quadro si fa più eterogeneo. Sebbene la maggior parte venga erogata entro i limiti temporali stabiliti, la variabilità dei tempi di attesa è elevata a seconda della tipologia di visita o esame. Ad esempio, per una visita oculistica programmabile (erogata in media in 86 giorni a maggio, su un massimo previsto di 120), l’attesa può variare da 20 a 239 giorni. Situazioni simili si riscontrano per le visite urologiche (20–173 giorni) e dermatologiche (32–253 giorni).
Anche per gli esami diagnostici i tempi sono estremamente variabili. Un’ecografia del capo e del collo può richiedere dai 15 ai 254 giorni, una spirometria dai 14 ai 203 giorni, un elettrocardiogramma sotto sforzo dai 13 ai 159 giorni. Le criticità maggiori si concentrano negli esami appartenenti ad ambiti per i quali sono già attivi percorsi di screening. È il caso, ad esempio, della mammografia, dove i tempi d’attesa possono variare da 14 a 383 giorni, con la metà delle prestazioni erogate tra i 62 e i 110 giorni. La colonscopia, invece, presenta un intervallo che va da 23 a 360 giorni, nonostante sia anch’essa oggetto di campagne di screening.
Nei grafici seguenti sono riportate, per ciascun tipo di prestazione, quelle che nei primi cinque mesi dell’anno hanno superato in media i tempi di attesa raccomandati. In particolare, emerge con evidenza la colonscopia totale con endoscopio flessibile, che registra un’attesa media di 37,2 giorni per le prestazioni urgenti, superando così ampiamente i tempi previsti, ma la stessa prestazione risulta fuori soglia anche nelle classi di priorità breve (B) e programmabile (P). Tra le prestazioni programmabili, oltre alla colonscopia, superano in media i limiti stabiliti anche l’ecografia monolaterale della mammella e la mammografia monolaterale.
PRESTAZIONI CHE SUPERANO LA SOGLIA (CLASSE U, MAX 3GG), (giorni, gen-mag 2025) – Fonte: Ministero della salute
PRESTAZIONI CHE SUPERANO LA SOGLIA (CLASSE B, MAX 10GG), (giorni, gen-mag 2025) – Fonte: Ministero della salute
PRESTAZIONI CHE SUPERANO LA SOGLIA (CLASSE P, MAX 120GG), (giorni, gen-mag 2025) – Fonte: Ministero della salute
CONCLUSIONI
L’analisi condotta conferma che le liste d’attesa rappresentano una delle principali criticità strutturali del Servizio Sanitario Nazionale, con ripercussioni dirette sull’accesso alle cure e sulla qualità dell’assistenza. I dati mostrano come le tempistiche per le prestazioni, soprattutto quelle programmabili, siano spesso incompatibili con le esigenze cliniche dei pazienti, alimentando disuguaglianze territoriali e sociali. A fronte di un sistema pubblico in affanno, cresce il ricorso alla sanità privata, spesso per necessità più che per scelta, e aumentano i casi di rinuncia alle cure, in particolare tra le fasce più fragili della popolazione. È evidente come la disponibilità di dati aggiornati, utilizzabili come strumenti di monitoraggio e allerta, rappresenti un elemento prezioso e potenzialmente rivoluzionario, soprattutto in vista di future integrazioni con soluzioni basate sull’intelligenza artificiale per la gestione delle liste d’attesa. Tuttavia, tali strumenti evidenziano con ancora maggiore chiarezza l’urgenza di interventi strutturali e mirati, volti a ridurre i tempi di attesa, garantire equità di accesso e rafforzare la fiducia dei cittadini nel sistema sanitario pubblico.