Scommettere sull’App economy: occupazione giovanile e sviluppo per la PA

Le applicazioni per smartphone possono aiutare a vivere meglio, sia chi le utilizza sia chi le realizza. Possono anche aiutare aziende di servizi (di ogni genere) e enti pubblici a svolgere meglio il proprio compito. Anche importanti marchi industriali offrono le proprie app negli store online (non solo quello di Apple, che ha inaugurato questa rivoluzione oltre 5 anni fa, ma anche Google play).

L’app brandizzata è economica: i costi esigui (che comunque aumentano al crescere della complessità delle funzionalità e delle soluzioni adottate) spingono le imprese  a non perdere l’occasione.

Eurapp, progetto della Commissione Ue rivolto all’analisi dell’app economy, inserito nell’Agenda Digitale per l’Europa, calcola che il giro d’affari delle applicazioni per smartphone e tablet si aggirerà nel 2013 sui 25 miliardi di dollari. Le stime sull’occupazione sono incoraggianti: dal 2007 ad oggi, riporta sempre Eurapp, negli USA sarebbero oltre 500 mila i nuovi posti di lavoro generati grazie alle applicazioni mobili.

Non avere l’app, per un’azienda commerciale o di servizi, potrà presto diventare addirittura un problema di competitività. Ci si augura che questa rincorsa alle applicazioni prenda piede in Italia, e lo faccia anche grazie allo stimolo della pubblica amministrazione. Questo per due ragioni.

Innanzitutto, osservando l’app economy dal versante produttivo, colpisce diffusione dei benefici generati da questo mercato.  Mercato che si caratterizza per la moltiplicazione dei soggetti sviluppatori. Molti possono realizzare app di qualità in un garage o poco più.  Va da sé che questi sviluppatori di software sono la maggior parte delle volte giovani: sanno programmare e conoscono linguaggio e potenzialità di questi strumenti.  Agli informatici si affiancano i creativi, i comunicatori e gli esperti dei singoli mercati. Come 10-15 anni fa, quando i giovani studenti sbarcavano il lunario e inauguravano una professione realizzando siti web per le aziende, anche oggi i loro fratelli minori sviluppano app per le aziende. Startup giovani nascono come funghi intorno a questo mercato.

La seconda ragione è legata alla filosofia che l’app economy porta con sé.  L’integrazione fra app e social media costringe amministrazioni autoreferenziali ad aprirsi alla condivisione, al giudizio pubblico (e diffuso) e alle tecnologie.  Consumatore e cittadino sono il fulcro di questa rivoluzione.

Si parla spesso di investimenti e di lavoro per i giovani, almeno quanto si “maledice” una PA inefficiente e burocratica. Bene, spingendo Stato e enti locali ad investire sull’app economy, vincolando magari poche decine di milioni di euro a bandi di gara per la realizzazione di app di pubblica utilità, si incentiveranno allo stesso tempo l’occupazione giovanile qualificata (sostenendo nuove imprese) e un upgrade tecnologico.

Conforta sapere, infine, che solo i giovani saranno in grado di spiegare ad amministratori, sovrintendenti, direttori di musei e di società di servizi le potenzialità che l’app economy mette a disposizione di chi è disposto a scommettere.

Nato a Roma nel 1983, è cresciuto a Novara fino all’età di 20 anni. Laureato cum laude in Sociologia all’Univeristà degli Studi di Urbino “Carlo Bo”, con tesi in sociologia economica prima e sociologia politica poi.

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