Il dibattito attorno alla legittimità dell’intervento statale a favore del settore cinematografico e audiovisivo assume spesso toni molto accesi (vedi il recente caso del film di Paolo Virzì Il Capitale Umano) spaccando l’opinione pubblica tra chi sostiene che la mano pubblica sia comunque necessaria per tutelare l’identità e la diversità culturale e chi affiderebbe volentieri la realizzazione delle opere dell’immaginario alle sole forze del mercato senza farle pesare sulle tasche dei contribuenti italiani.
Al di là delle posizioni in campo ciò che si osserva è una scarsa attenzione all’evoluzione del sistema di finanziamento al settore che nell’arco di pochi anni ha cambiato pelle grazie almeno a due importanti fattori innovativi. Ci riferiamo da un lato all’introduzione del tax credit come forma di finanziamento al cinema (di recente questo strumento è stato esteso a tutto il settore audiovisivo, fiction inclusa), la cui dotazione è andata progressivamente a sostituirsi ai tradizionali fondi diretti gestiti dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo derivanti dal Fondo Unico dello Spettacolo. Numerosi studi hanno dimostrato le significative ricadute in termini di efficienza del sistema come ad esempio la rinnovata capacità di attrazione di nuovi capitali esterni al settore (in primis gli apporti delle banche) o la riduzione del potere discrezionale delle commissioni ministeriali a favore di maggiori automatismi nei meccanismi di assegnazione dei contributi.
L’altro elemento di novità che sta ridisegnando la geografia del mercato audiovisivo è rappresentato dal ruolo sempre più incisivo svolto dai territori in questo ambito. Il fenomeno merita senz’altro qualche ulteriore riflessione.
Sotto la spinta del processo di decentramento delle competenze seguito alla riforma del titolo V della Costituzione, negli ultimi cinque anni Regioni ed enti locali hanno infatti assunto una funzione strategica nello stimolare e sostenere le imprese del settore favorendo processi di riconversione post-industriale e indirizzando le politiche di investimento verso le imprese creative tra le poche a mostrare in questa fase forti potenzialità economiche ed occupazionali.
Per la maggior parte delle regioni italiane gli interventi a sostegno della filiera si annoverano ormai a pieno titolo tra le politiche di sviluppo territoriale. Quasi tutte le amministrazioni regionali hanno adottato normative ad hoc e introdotto strumenti di intervento volti ad attrarre sui propri territori le produzioni e al tempo stesso sviluppare le professionalità locali. Sono così nati e si sono consolidati in Italia alcuni poli e distretti regionali dell’audiovisivo, in cui è cresciuta un’industria locale alimentata dall’attività di assistenza e di accompagnamento da parte delle Film Commission. Tra questi poli dell’audiovisivo, gioca un ruolo di primo piano il Lazio, seguito da regioni come il Piemonte, il Friuli Venezia Giulia, la Puglia, la Toscana e, di recente, l’Alto Adige, tutte accomunate dalla constatazione che l’industria dell’audiovisivo, pur costituendo un’attività tipicamente di natura immateriale, costituisca un volano di sviluppo industriale per l’area geografica di riferimento. E’ indubbio che queste politiche abbiano accresciuto il livello di concorrenza tra i territori nell’accaparrarsi le produzioni che comunque portano, all’interno dei territori, risorse e lavoro. È un dato di fatto che il numero dei fondi regionali per il sostegno alle imprese del settore audiovisivo si sia moltiplicato negli ultimi anni (ad oggi se ne contano una ventina, per un budget complessivo di circa 35 milioni di euro); tali strumenti – gestiti in alcuni casi direttamente dalle Film Commission locali – hanno assunto una funzione preziosa di complementarietà rispetto alle forme nazionali e tradizionali di sostegno alle imprese del settore, soprattutto in una fase storica di incertezza e di stagnazione delle risorse pubbliche centrali. I vantaggi per i territori sono notevoli non solo in termini socio-economici diretti, ma anche per gli effetti indiretti e per l’indotto generato. Le ricadute, anche se non di agevole misurazione (si tratta di un terreno di studi in parte ancora inesplorato), andrebbero valutate in un’ottica di lungo periodo tenendo conto di una serie di fattori quali:
- crescita dell’occupazione, con relativo rafforzamento delle competenze professionali a livello locale;
- nascita e sviluppo di infrastrutture territoriali a sostegno della filiera
- investimenti e spesa sul territorio da parte di produzioni extra regionali, siano esse nazionali o estere;
- promozione e diffusione di opere che valorizzino il patrimonio culturale locale;
- incremento dei flussi turistici.
Sono proprio questi i fattori chiave che hanno indotto la Lombardia Film Commission ad offrire il proprio sostegno tecnico e logistico al thriller in salsa brianzola di cui sopra che tanto ha fatto discutere in questi giorni e che in definitiva non ha fatto altro che dare una mano al marketing del film del regista livornese, in questi giorni nelle sale.
Al di là delle polemiche ricorrenti, più o meno fondate in merito alle produzioni finanziate con denaro pubblico, va salutato con favore ed interesse il “protagonismo dei territori” in campo audiovisivo. Pur in un contesto caratterizzato da frammenterietà e disomogeneità dei modelli di intervento, frutto di specifiche vocazioni locali queste “prove tecniche di federalismo applicate all’audiovisivo” sembrano aver dato buoni risultati proprio grazie ad una maggiore consapevolezza delle potenzialità legate al binomio cinema-valorizzazione del territorio e al coraggio di sperimentare inedite forme di collaborazione tra Stato centrale e Ministeri, Assessorati, Film Commission e società di produzione.
Un esempio interessante di buone pratiche che nascono “dal basso” ancora sottovalutate a livello nazionale e a cui si dedica poca attenzione anche da parte degli organi di stampa più o meno specializzati. A tali esperienze va riconosciuto il merito di aver sviluppato capacità professionali a livello locale tali da favorire il decentramento delle produzioni storicamente collocate a Roma e di aver impiegato strumentazioni normative e finanziarie in grado di coniugare produzione e promozione dei contenuti audiovisivi con i processi di sviluppo economico del territorio.