Le potenzialità del mercato interno crescono proporzionalmente all’allargarsi dell’Unione europea. Molte barriere al commercio transfrontaliero sono già state abbattute, schiudendo nuove possibilità per le imprese e per i consumatori. Ciò nonostante, ancora oggi, molti cittadini europei mostrano riluttanza quando si tratta di compiere transazioni transfrontaliere, preoccupati che non venga loro garantito il medesimo livello di protezione assicurato nel paese d’origine oppure confusi dalla presenza di leggi differente negli altri Stati membri.
La Direttiva sulle pratiche commerciali sleali (Direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005) fu ideata con il preciso scopo di superare tale ostacolo allo sviluppo del mercato interno in Europa. A distanza di circa sei anni dalla deadline per il recepimento della direttiva, il 14 marzo 2013, la Commissione Europea ha redatto una relazione, destinata al Parlamento Europeo, al Consiglio e al Comitato Economico e Sociale Europeo, contenente una prima valutazione dell’applicazione della suddetta direttiva nei singoli Stati membri. Ai fini della menzionata relazione, nel corso del 2011 sono stati inviati dei questionari mirati agli Stati membri e ad una vasta gamma di portatori d’interessi (centri europei dei consumatori, associazioni di consumatori, camere di commercio, organizzazioni di coordinamento/federazioni, organismi di auto-regolamentazione etc.).
Ciò che emerge dalla relazione è che la Direttiva ha rafforzato la tutela dei consumatori europei, è stata usata dalle autorità responsabili della tutela dei consumatori per fermare e sanzionare una vasta gamma di pratiche commerciali sleali; le sue norme di principio si sono dimostrate particolarmente efficaci nel consentire alle autorità nazioni di adattare le loro valutazione alla rapida evoluzione di prodotti, servizi e metodi di vendita; la “lista nera” è stata per le autorità nazionali uno strumento efficace contro le pratiche sleali “comuni” (la pubblicità propagandistica, le offerte falsamente gratuite, la pubblicità occulta e le esortazioni dirette ai bambini); a livello transfrontaliero circa la metà delle misure adottate nell’ambito della rete CPC (richieste di informazioni, allarmi e richieste di interevento) hanno riguardato violazione della Direttiva. L’elevato livello di tutela garantito dalla Direttiva, inoltre, contribuisce al rafforzamento della fiducia dei consumatori: rispetto al 2006, quando la Direttiva non era ancora stata recepita dagli Stati membri, sono aumentati i consumatori interessati ad effettuare acquisti transfrontalieri (52%, + 19 punti percentuali) e disposti a spendere più denaro oltre frontiera (18%, +5 punti percentuali). È in crescita anche il numero di consumatori (50%) disposti ad acquistare beni o servizi usando un’altra lingua dell’UE (+17 punti percentuali rispetto al 2006), laddove la percentuale di coloro che si dicono totalmente contrari all’idea di acquistare in un’altra lingua è scesa dal 42 % nel 2008 al 30 % nel 2011. Anche la percentuale degli europei che dichiarano di sapere dove trovare informazioni e assistenza per gli acquisti transfrontalieri è aumentata notevolmente: dal 24 % nel 2006 al 39 % nel 2011 (Flash Eurobarometro 332, Consumers’ attitudes towards cross-border trade and consumer protection, maggio 2012).