Verso un sistema sanitario europeo?

I sistemi sanitari, trattando un tema altamente delicato per la sicurezza e la protezione dei consumatori, rimangono ancora di forte competenza nazionale, non avendo subito un processo di integrazione e dunque di uniformazione tra i differenti sistemi esistenti nella UE. Questa è di fatto una contraddizione, dal momento che proprio la salute, cuore del Welfare State che identifica e caratterizza l’Europa, non ha un modello uniforme ed integrato sul territorio dell’Unione.

E’ anche vero però che proprio il settore dell’assistenza sociale e sanitaria ha un impatto rilevante sull’equilibrio economico e finanziario degli Stati. Uniformare i modelli  significa anche uniformare le modalità di finanziamento dei servizi, come anche sottostare a obblighi stringenti che prescindono dalle decisioni nazionali, ma che vengono assunte, appunto, in sede comunitaria. Gli effetti benefici di una integrazione dei sistemi sanitari, come pure dei mercati dei beni e servizi ad esso sottesi (prodotti medicinali e dispositivi medici, protocolli terapeutici), possono esplicarsi anche in un settore delicato come quello della salute.

La Direttiva 2011/24/UE sulle cure transfrontaliere spinge, necessariamente, ad attuare un ulteriore passo verso il processo d’integrazione europea, toccando questa volta i sistemi sanitari nazionali che dovrebbero entrare sempre più in competizione tra loro, per via della possibilità di scelta da parte del paziente nel richiedere servizi sanitari anche in strutture che non fanno parte del sistema sanitario del paese di provenienza.

Le disposizioni della Direttiva sottolineano in ogni passaggio rilevante l’assenza di pregiudizio del recepimento delle disposizioni sulle cure transfrontaliere nei confronti dell’autorità nazionale in materia di organizzazione ed erogazione dei servizi sanitari. Infatti, si ribadisce che le cure transfrontaliere devono essere erogate nella cornice degli standard e delle linee guida rispetto alla qualità e alla sicurezza delle cure definite da ogni Stato Membro, che sono state finora di stretta competenza nazionale.

Il recepimento di tale Direttiva non avrebbe potuto che portare verso una maggiore integrazione della qualità dell’organizzazione delle cure erogate dai sistemi sanitari nazionali, puntando verso una sorta di “sistema sanitario europeo” proprio per via di una maggiore mobilità dei pazienti e di una più diretta competizione tra i differenti sistemi sanitari. Purtroppo, partendo dallo schema della Direttiva ai Decreti applicativi da parte dei singoli governi, la portata della Direttiva sulle Cure Transfrontaliere risulta fortemente depotenziata, e con essa anche l’idea di cominciare a lavorare su un sistema sanitario integrato. In particolare l’interpretazione che man mano le è stata attribuita, attraverso i numerosi ritardi nella sua applicazione, ha ridotto proprio il potere di integrazione dei sistemi sanitari dei singoli Stati Membri.

Anche l’Italia, spinta dalla tendenza generale degli altri Stati Membri, ha adottato un decreto rinunciatario, che attuerà la Direttiva. Tale Decreto, come per gli altri Stati Membri dell’Unione Europea, non sembra assicurare una forte integrazione con i servizi sanitari dei paesi esteri, e non sembra neanche assicurare l’uniformità di accesso alle cure transfrontaliere da parte di tutti i cittadini italiani. Sono condivisibili, dunque, le perplessità avanzate da CittadinanzAttiva, attraverso il Tribunale dei Diritti del Malato, che sollecitava – tra l’altro – l’individuazione di meccanismi di rimborso delle spese di viaggio e alloggio sostenute dalle persone con disabilità per usufruire delle cure e dell’assistenza negli altri Stati membri, l’adozione di linee guida interpretative  volte ad assicurare l’omogeneità di applicazione del Decreto sul territorio nazionale.

Inoltre, la libertà di scelta del cittadino è di fatto soggetta a una autorizzazione dell’Asl a curarsi all’estero, che decide in base alla disponibilità in Italia di una struttura idonea a realizzare lo stesso trattamento richiesto fuori Italia. Appare dunque rilevante sostenere la proposta del Tribunale dei Diritti del Malato di obbligare l’ASL che non autorizza la cura all’estero, di  individuare e comunicare precisamente al cittadino la struttura che è in grado di garantire  sul territorio nazionale la prestazione nei tempi appropriati dal punto di vista clinico.

A fronte di una forte decentralizzazione del governo della sanità che ha attraversato tutta l’Europa negli ultimi 10 anni, era chiaro che una Direttiva che tentasse di integrare i sistemi sanitari tra gli Stati Membri sarebbe stata depotenziata, soprattutto nell’Unione Europea di oggi. La Direttiva sulle Cure Transfrontaliere potrebbe, comunque, rimanere un punto di partenza per arrivare – in un breve futuro – ad uniformare almeno la possibilità di cura per tutti i cittadini dell’Unione Europea, migliorando la loro capacità di accesso e la libertà di scelta.

Coordinatore Scientifico Area Innovazione dell'Istituto per la Competitività (I-Com). Ha conseguito un Dottorato di Ricerca in Economia e Gestione delle Aziende Sanitarie dell’Università Cattolica, e un MA in European Economic Studies al College of Europe di Bruges.

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