Prove tecniche di riforma della RAI in attesa della consultazione pubblica on line

Il crollo della raccolta pubblicitaria, scesa in due anni dal 2011 al 2013 del 30% circa (da 964 a 682 milioni di euro) e quei 150 milioni di canone “trattenuti” quale contributo doveroso (secondo il governo) al risanamento del Paese, hanno imposto una revisione radicale del piano industriale messo a punto dalla Direzione Generale della Rai per gli anni 2013-2015 e fondato sull’apertura di ben 12 cantieri. Senza dimenticare che sul bilancio 2014 (anno pari) peseranno 100 milioni di costi aggiuntivi per i diritti sui mondiali di calcio. I cantieri si sono ridotti di numero e l’urgenza si è spostata su alcuni fronti caldi sui quali qualcosa inizia a muoversi pur in un contesto nervoso nel quale ci muove ancora in assenza di una visione di insieme.

Si è partiti con una certa decisione con la procedura di vendita di una quota di minoranza di Ray Way proseguendo sul versante della razionalizzazione e dello snellimento delle sedi regionali dove in realtà non sono state ancora assunte decisioni significative. L’alzata di scudi da parte di tutti i partiti in sede di Commissione bilancio e finanze del Senato in difesa delle sedi regionali ha prodotto i suoi effetti con la garanzia della presenza di una sede televisiva in ogni regione. Il sacrificio dei 150 milioni è inoltre valso all’azienda l’esonero dai tagli ai costi operativi previsti per tutte le partecipate pubbliche (pari al 2,5% nel 2015 e al 4% nel 2016).

In questi giorni l’attenzione si è spostata sulla riforma delle redazioni e delle testate giornalistiche con due obiettivi decisamente ambisiosi. Ridurre di almeno il 20% gli attuali costi della programmazione informativa che attualmente viaggia attorno ai 500 milioni di euro di investimenti e mettere ordine nel caotico e poco efficiente sistema di fornitura ed approvvigionamento interno dei contenuti informativi. Come anticipato dall’Espresso, proposito del DG Gubitosi è dar vita da qui al 2017 a due sole super-redazioni centrali, la prima di taglio generalista composta dalla fusione di Tg1, Tg2 e Rai Parlamento e la seconda da Tg3, Rai News, Tg Regionali, il Web e Cis Viaggiare informati. Battezzato “15 dicembre” (riferimento al giorno in cui nel lontano 1979 furono introdotti nel sistema radiotelevisivo il Tg3 e il Tgr) il piano è chiaramente ispirato al modello Bbc prevede una ristrutturazione necessaria e dolorosa per consentire all’azienda di uscire fuori dalle secche di un sistema che le impedisce di innovare e di presidiare in modo robusto il web. Necessaria perché – come riporta Italia Oggi in un approfondito articolo di qualche giorno fa – su 5 eventi da coprire con troupe giornalistiche 3 eventi vengono di solito coperti in media da quattro-cinque troupe mentre sugli altri 2 paradossalmente si è costretti a rinunciare. Dolorosa perché presuppone una cura dimagrante di direzioni, dunque di poltrone.

Intanto il sottosegretario alle comunicazioni Giacomelli, avvalendosi di un gruppo di esperti (che avrebbe già prodotto un documento programmatico) è in procinto di lanciare una consultazione pubblica on line, aperta a tutti e trasparente (modello Bbc) per raccogliere input sui tre temi caldi della riorganizzazione del pubcaster ovvero governance, struttura organizzativa interna e approvvigionamento delle risorse (leggasi nuove modalità di riscossione del canone per ridurre drasticamente l’attuale tasso di evasione pari al 25%). L’intento è quello di consegnare al (futuro ?) management della Rai una sorta di cassetta degli attrezzi per trasformarsi da mero broadcaster che realizza palinsesti per pubblici indifferenziata ad una media company con un forte presidio editoriale in grado di produrre contenuti audiovisivi, informativi e di intrattenimento per tutte le piattaforme. Metamorfosi che necessita di quella radicale riorganizzazione delle strutture editoriali cui abbiamo accennato.

La proposta lanciata dal Commissario Agcom Nicita in una recente intervista rilasciata a Prima Comunicazione rappresenta in questa prospettiva un prezioso contributo per passare dal terreno del dibattito a quello più propriamente operativo. Guardando all’assetto della concessionaria del servizio pubblico post 2016 (la concessione peraltro non dovrebbe durare più 20 anni ma 10 come accade nel Regno Unito), Nicita auspica la presenza di due reti foraggiate solo dal canone (sul modello francese) e di una terza rete commerciale parzialmente privatizzata e societariamente separata dalle prime due capace, di raccogliere pubblicità, di offrire eventualmente contenuti a pagamento ed ospitare fasce di palinsesto confezionate da soggetti esterni interessati a far veicolare i propri programmi in cambio di pubblicità da loro stessi procacciata.

E’ evidente che qualsiasi sia il nuovo assetto della Rai, non si può più prescindere dalla necessità di smantellare definitivamente ciò che rimane del vecchio sistema lottizzato che oggi, nell’era delle tv connesse, non ha più alcuna ragione di esistere e di dare un senso più profondo al concetto di pluralismo da intendersi non più come distribuzione aritmetica di spazi e voci secondo logiche di appartenenza ormai superate ma come apertura reale e profonda alle produzioni indipendenti, con una attenzione particolare ai contenuti, ai formati e ai linguaggi ad alto tasso di innovazione e sperimentazione  (occorreranno nuove competenze professionali non solo ambito giornalistico), alla rappresentazione delle espressioni culturali e artistiche provenienti dai territori e alla valorizzazione del made in Italy.

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