Cambiare le regole del gioco tra amministrazioni locali e imprese per sbloccare lo sviluppo dal basso

I rapporti tra amministrazioni locali e imprese sono spesso immaginati (e talvolta purtroppo lo sono) come relazioni conflittuali, dove il guadagno di una delle due parti debba avvenire a scapito dell’altra (in un gioco a somma zero, per non dire a somma negativa nelle situazioni di maggiore scontro). E’ anche per cambiare questa percezione che I-Com, che analizza e promuove le politiche per la competitività, e Cittalia, che studia le politiche dei Comuni per conto di ANCI, hanno deciso di promuovere uno studio e un convegno che si terrà a Roma il 7 ottobre nell’arco di una mattinata di confronto tra sindaci e assessori e imprese, oltre ad esperti qualificati di queste tematiche (qui le info per partecipare).

E’ il caso in primis della miriade di infrastrutture puntuali o reticolari indispensabili per fare andare avanti un Paese moderno ma che a livello locale, insieme a posti di lavoro e indotto, portano impatti ambientali e di altro tipo veri o presunti, trovando spesso le amministrazioni territoriali impreparate a gestire i rapporti con le aziende da un lato e la cittadinanza dall’altro o, nei casi più estremi, che pure non mancano, desiderose di cavalcare le onde emotive per finalità che spesso non hanno nulla a che vedere con il benessere delle comunità che rappresentano.

Ma è anche il caso di investimenti sul territorio che potrebbero essere realizzati senza che emergano particolari esternalità (che pure possono essere gestite quasi sempre con la buona volontà di tutte le parti e con un set di regole efficienti, come dimostra lo studio I-Com e Cittalia).

Si tratta di maggiore ricchezza potenzialmente disponibile ed economicamente rinnovabile nel tempo che viene ostacolata da norme di rango statale, regionale, provinciale, comunale e anche dalla caoticità di un sistema dove singoli pezzi contraddicono altri, magari appartenenti allo stesso livello di Governo. La classica mano sinistra che non conosce e, quando ne è a conoscenza, se ne frega di tenere in considerazione ciò che fa la mano destra.     

Il risultato è un magma che paralizza e scoraggia anche le aziende più determinate. Figuriamoci poi se queste imprese vengono dall’estero. Per loro fortuna è pieno di posti nel mondo, che magari saranno esteticamente più brutti dei nostri o dove la gente sarà meno civilizzata rispetto ai criteri tutti italiani che definiscono l’ingresso nella elite dei prescelti, ma che non si pongono tanti problemi filosofici e piuttosto che muoversi per scoraggiare attivamente provano a incentivare in tutti i modi possibili gli investimenti in casa propria.

D’altronde, le amministrazioni locali devono rendersi conto che sono pochi i territori che possono vivere solo di turismo (e in ogni caso poi ai turisti occorre dare collegamenti viari, ferroviari e aeroportuali decenti, buone connessioni Internet, ecc.) e in ogni caso nella stragrande maggioranza dei casi è tutta da dimostrare l’incompatibilità tra turismo e altre attività produttive. Ecco perché è particolarmente apprezzabile, proprio in una città con forte vocazione turistica, l’iniziativa recentemente annunciata dal sindaco di Firenze, Dario Nardella, che ha aperto un canale di dialogo con le aziende multinazionali che hanno effettuato investimenti significativi anche negli ultimi anni nel capoluogo toscano (su tutte, le americane Eli Lilly e General Electric).

I Comuni non dispongono naturalmente di tutte le leve per poter attrarre o mantenere gli investimenti esistenti. Per un’azienda farmaceutica come Eli Lilly, che a Sesto Fiorentino ha realizzato il più importante investimento in biotecnologie mai effettuato in Italia e da lì esporta in tutto il mondo, compresa la Cina, contano forse di più altri fattori (dal prezzo dei farmaci alla protezione dei brevetti). Tuttavia, l’alleanza con i Comuni può diventare l’arma in più per fare lobbying positiva sugli altri livelli di Governo, dalla Regione allo Stato, oltre che risolvere le questioni che possono essere affrontate direttamente a livello comunale.

L’azione del sindaco di Firenze ha anticipato intelligentemente l’avvio delle città metropolitane, che sono in questo senso un’opportunità da non perdere.  Per il loro peso economico (oltre un terzo del PIL del Paese, per l’esattezza il 34,7% secondo i dati del 2012) ma anche perché una parte importante delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi (è proprio il caso dello stabilimento di Eli Lilly) si trovano nella situazione paradossale di essere localizzati per scelta consapevole in prossimità delle grandi città (per questioni soprattutto logistiche) ma di non trovarsi sul loro territorio (spesso troppo antropizzato per permettere l’uso di spazi adeguati). Ora finalmente, con le città metropolitane, le loro problematiche possono essere affrontate in maniera decisamente più mirata che in passato.

Perché ciò avvenga non basta però la buona volontà. Il suggerimento dello studio condotto da I-Com e Cittalia è di istituzionalizzare, naturalmente non solo a beneficio delle aziende multinazionali, strumenti di partenariato pubblico privato negli statuti delle città metropolitane, che in 8 casi su 10 dovranno essere redatti entro la fine del 2014.

Si può decidere se limitare il coinvolgimento delle imprese alle associazioni o includere anche (o, meglio, soprattutto) le aziende principali che operano sul territorio e semmai ricorrere alla rappresentanza per consentire la partecipazione anche alle PMI. La mia preferenza personale va nettamente a questa seconda opzione ma, se dovesse presentare problemi giuridici o politici che ne rendessero più difficile la realizzabilità (siamo maestri nel crearci gli ostacoli sui quali prima o poi siamo destinati a inciampare), anche la prima strada rappresenterebbe una prospettiva meritevole di essere percorsa.

Prevedere dei luoghi permanenti di consultazione e di partecipazione alle decisioni delle imprese (in parallelo naturalmente rispetto a strumenti di coinvolgimento della cittadinanza) potrebbe essere una chiave interessante per lo sviluppo non solo delle città metropolitane ma anche dell’intero sistema economico italiano.

Non credo siamo nelle condizioni per negarci una possibilità di questo tipo. Sempre che i singoli  amministratori pubblici non trasformino questo tipo di strumenti in inutili orpelli burocratici o in pretesti per distribuire gettoni ai loro amici. Ma se ci fermassimo di fronte a questi rischi, che pure sono certamente dietro l’angolo, tanto vale rinunciare al futuro. In comune o, se per questo, anche individuale.   

Presidente di I-Com, Istituto per la Competitività, think tank che ha fondato nel 2005, con sede a Roma e a Bruxelles (www.i-com.it). Docente di economia politica e politica economica nell’Università Roma Tre.

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