Prevenzione dei tumori – lo screening rimane l’arma più efficace

Il 4 febbraio è stato il world cancer day. Molti sono stati gli appelli provenienti dal mondo scientifico, dai medici, dalle istituzioni e dalla politica. Tutte le dichiarazioni fanno riferimento all’obiettivo di ridurre la mortalità, almeno quella cosi-detta “evitabile” in base alle conoscenze attuali, e all’umanizzazione delle cure. L’appello è giusto, l’obiettivo è chiaro.

Ma per ridurre realmente la mortalità “evitabile” non è sufficiente la spinta emozionale contenuta negli appelli, serve fare sinergia tra istituzioni, politica e stakeholders del Servizio Sanitario Nazionale. Dietro la riduzione della mortalità evitabile ci deve essere una reale politica della prevenzione. Lo screening è l’arma più forte contro il cancro. Si pensi che fare lo screening di tutta la popolazione eleggibile, anche semplicemente in base a criteri di età e di familiarità, permette in non pochi casi di conoscere prima, dunque prevedere, l’insorgenza di uno specifico tumore, se non addirittura scoprirlo nel momento stesso degli esami. Oggi, rispetto al passato, la tecnologia medica ci permetterebbe di “screenare” un gran numero di pazienti a costi ridotti.

Se si ragiona su grandi numeri di pazienti, e soprattutto se si pensa ai costi risparmiati grazie alla diagnosi precoce, è chiaro che esiste una “convenienza” terapeutica ed economica nello screening della popolazione su specifiche malattie altamente impattanti su salute e costi, come il cancro. Per fare un esempio, si pensi alle tecniche mininvasive di endoscopia che ad oggi, con una semplice pillola-telecamera, permettono di mappare e ricostruire in digitale le pareti dell’intestino, e diagnosticare la presenza di polipi, diverticoli e altri elementi che rilevano l’entità del rischio di sviluppare un tumore. Questo permette al medico di consigliare al paziente di effettuare un intervento di asportazione dei tessuti pericolosi, o semplicemente effettuare controlli più frequenti per la diagnosi precoce di un probabile tumore. Si immagini una lettera della ASL che invita i cittadini, al raggiungimento del 40-esimo anno di età, a fare uno screening per il tumore dell’intestino, o per  altre patologie di forte impatto sociale ed economico. Questo oggi è possibile, serve solo un coordinamento maggiore tra le istituzioni, e la chiara individuazione di fondi da destinare allo screening. Così è realmente possibile ridurre in maniera drastica l’incidenza dei tumori, o quantomeno i loro effetti devastanti.

Ciò che serve è rendere coerente la programmazione politica nazionale con quella delle regioni, e recepire la migliore tecnologia all’interno di percorsi di prevenzione (la lettera della ASL) e cura (intervento). Bisogna stare attenti a non creare disuguaglianze di accesso. In Italia esistono già esperienze di successo nello screening, ma localizzate in alcune parti del territorio italiano, e solo per una popolazione ristretta rispetto a quella totale.

Serve un maggiore sforzo di coordinamento da parte delle istituzioni nazionali e regionali. Gli elementi contenuti nel nuovo Patto della Salute fanno ben sperare. Oltre al nuovo aspetto dell’umanizzazione delle cure, il Patto prevede anche un piano per la prevenzione di 200 mln di euro annui. Fa ben sperare anche l’orientamento della nuova dirigenza del Ministero della Salute e delle sue Tecnostrutture a dare vita in maniera rapida e concreta alle previsioni del Patto. Ci si attende dunque un cambio concreto nelle politiche di prevenzione, soprattutto in riferimento allo screening della popolazione per specifiche patologie, per ridurre realmente le morti evitabili a vantaggio dei cittadini e del sistema nel suo complesso.

Coordinatore Scientifico Area Innovazione dell'Istituto per la Competitività (I-Com). Ha conseguito un Dottorato di Ricerca in Economia e Gestione delle Aziende Sanitarie dell’Università Cattolica, e un MA in European Economic Studies al College of Europe di Bruges.

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