Il 13 settembre 2015 oltre 70 Paesi hanno celebrato la Giornata Mondiale della Sepsi, in occasione della quale gli esperti hanno ribadito l’importanza della prevenzione e la necessità di aumentare l’informazione, in quanto è una malattia ancora poco nota.
La sepsi (o setticemia) è un’infiammazione sistemica causata dalla presenza di patogeni nel sangue. Colpisce chiunque senza distinzione di età, sesso o condizioni di salute anche se sono maggiormente a rischio le persone con difese immunitarie compromesse, anziani e bambini. I sintomi della malattia sono febbre alta, tachicardia, malessere diffuso; nei casi più gravi la sintomatologia prevede anche piccole emorragie cutanee puntiformi, riduzione consistente della diuresi per 24-48 ore, difficoltà respiratorie, alterazione della funzionalità cardiaca e cambiamento improvviso dello stato mentale.
Se l’infezione è localizzata, la somministrazione di antibiotici può essere sufficiente; nei casi più gravi come shock setticemico, possono essere necessarie, invece, procedure di rianimazione e, talvolta, ricoveri in terapia intensiva per ripristinare le corrette funzionalità respiratorie e cardiache.
È, dunque, uno stato morboso da non sottovalutare, che nelle forme più gravi fa registrare un tasso di mortalità ospedaliera del 40-60%. Nel mondo colpisce oltre 26 milioni di persone e in Europa si verificano circa 400 casi di sepsi su 100 mila abitanti ogni anno, con un’incidenza che supera quella dell’infarto del miocardio e dei tumori. Anche i dati riguardanti l’Italia sono allarmanti: causa, infatti, nel nostro Paese 60 mila morti ogni anno.
Purtroppo, la diffusione dei germi responsabili della malattia è ubiquitaria, ovviamente le persone che vivono in ambienti comuni o che si trovano in strutture sanitarie corrono un rischio più elevato di contrarla. Per scongiurarla, si raccomanda un rigoroso rispetto delle norme igieniche: è buona prassi, ad esempio, lavarsi con cura le mani.
Le giuste precauzioni insieme ai progressi della ricerca medica e scientifica sono in grado di ridurre in modo significativo i tassi di mortalità e l’incidenza della sepsi. Recenti ricerche, infatti, testimoniano che le strategie terapeutiche messe in atto durante l’ultimo decennio abbiano favorito una diminuzione dei decessi per sepsi dal 35% del 2000 al 18% del 2012.