Comprendere il ruolo del rischio e l’importanza delle politiche economiche a sostegno degli investimenti energetici: questo l’obiettivo del rapporto Diacore, dal titolo “ The impact of risks in renewable energy investments and the role of smart policies”, che riporta le conclusioni del progetto sviluppato da Fraunhofer Institute, Ecofys, Eclareon, Epu-Ntua, Lei e TU Wien per conto della Commissione UE.
A differenza degli investimenti in generazione elettrica convenzionale, quelli in fonti di energia rinnovabile richiedono grossi investimenti iniziali, prima ancora che il sistema diventi operativo, il che aumenta notevolmente il profilo di rischio complessivo dal punto di vista dell’investitore.
Innanzitutto, il rapporto mette in luce come, tra le varie categorie di rischio che in qualche modo influenzano le scelte di investimento, quello relativo alla struttura normativa sia segnalato come il più rilevante in molti Paesi membri, tra cui l’Italia, dove solo il rischio amministrativo è percepito come ancora più significativo. Questo tipo di rischio – insieme a quello amministrativo e a quello dell’accettazione sociale – è particolarmente rilevante nella fase iniziale dell’investimento, quando cioè le probabilità di insuccesso del progetto sono molto elevate. Altrettanto rilevante è anche il rischio legato ad improvvisi cambiamenti di policy – talvolta anche retroattivi – che impattano invece maggiormente la successiva fase di implementazione, quando gran parte dell’investimento monetario è stato fatto.
Gestire tali rischi vuol dire abbassare il costo del capitale degli investitori e creare maggiore certezza dei costi e ricavi associati a progetti di questo tipo. Per questo motivo sono necessarie attente politiche in grado di gestire l’incertezza, così da scongiurare il pericolo di una consistente riduzione dei progetti realizzati che metterebbe a rischio il raggiungimento dell’obiettivo europeo al 2020.
Dal rapporto emerge inoltre una significativa variabilità, tra i Paesi membri, del WACC (weighted average cost of capital), ossia il costo che l’investitore deve sostenere per raccogliere risorse finanziarie presso soci e terzi finanziatori, calcolato appunto come media ponderata tra il costo del capitale proprio ed il costo del debito. In particolare, il WACC varia tra il 5,6% della Germania ed il 12% della Grecia; l’Italia, con un valore pari al 7%, si classifica 12° tra i Paesi UE. Più nello specifico, mentre rispetto al costo del capitale proprio l’Italia non è particolarmente mal posizionata – con un costo del 12,2%, circa 3 p.p. in più rispetto alla Germania, best performer, ma molto meno rispetto a Paesi quali Grecia, Ungheria e Romania – appare più preoccupante la situazione con riguardo al costo del debito, influenzato principalmente dal rischio Paese e dal livello di concorrenzialità del settore bancario. Questo, infatti, pari all’8,1%, posiziona l’Italia addirittura al 18° posto, molto vicina a Paesi come Romania, Slovenia ed Ungheria; anche il rapporto indebitamento/capitale proprio – pari a 65/35, contro l’80/20 di Francia e Germania o il 75/25 del Regno Unito – fa riflettere.
Questa forte variabilità implica significative differenze di costo, tra un Paese membro e l’altro, nello sviluppo di progetti simili. Le politiche nazionali hanno, pertanto, un ruolo fondamentale nel mitigare il rischio d’investimento e, di conseguenza, il costo loro associato: il rapporto stima infatti che, se le pratiche adottate dai Paesi più virtuosi si diffondessero in tutti i Paesi UE, si otterrebbe, a parità di potenza installata, un risparmio generalizzato del 15%. Sarebbe dunque molto utile uno sforzo da parte dei governi nazionali in quanto a chiarezza e stabilità di procedure e normative e a qualità dei servizi della pubblica amministrazione.