Segnali molto positivi dal business musicale. Secondo i dati diffusi da IFPI nel suo Global Music Report 2016 per la prima volta dopo due decenni di contrazione progressiva dei fatturati, il 2015 registra un bel segno più (+3,2%) sull’anno precedente, incremento che si traduce in valori assoluti in circa 15 miliardi di dollari.
Ebbene, ormai quasi la metà (45%) di queste risorse provengono dalle vendite digitali che superano (anche in questo caso per la prima volta) quelle fisiche legate ai cd e ai classici vinili. A trainare la crescita – con un aumento del 45.2% – è stata la fruizione in streaming di servizi come Spotify, Apple Music, TIMmusic, Google Play e Deezer, un consumo che viaggia sempre più in mobilità e che in 5 anni è quintuplicato raggiungendo un fatturato di 3 miliardi di dollari, ovvero il 20% dei ricavi totali. Per avere un’idea dell’accelerazione in atto basti pensare che il lancio di Apple Music risale ad appena un anno fa e con un pricing allineato agli altri competitor (9,99 euro al mese) ha già al suo attivo 10 milioni di abbonati, un terzo di quelli del leader di mercato, la svedese Spotify attivo da circa 10 anni.
Osservando l’andamento dei singoli Paesi troviamo situazioni molto variegate. Negli Sati Uniti ad esempio lo streaming viaggia a ritmi sempre più elevati rappresentando ormai la prima fonte di ricavi davanti al download e alla vendita su supporti fisici. Anche nel nostro Paese il mercato discografico è cresciuto in modo robusto nel 2015: secondo la principale associazione di settore FIMI, il tasso di crescita è stato pari a + 21%, raggiungendo un fatturato di 148 milioni di euro. Oltre il 40% del mercato poggia ormai sulla fruizione digitale di servizi legali a pagamento. I servizi in streaming sono in crescita del 63% (calano invece del 5% i download). Sorprendente, perché in controtendenza rispetto ad altri mercati, è la decisa ripresa registrata anche delle vendite di cd, che hanno generato ricavi per oltre 88 milioni di euro e una crescita del 17%. Le vendite di vinile hanno segnato addirittura un + 56%.
Un altro segnale incoraggiante che indica la giusta direzione verso la ripresa del mercato nazionale giunge dal dinamico segmento della musica dal vivo a dimostrazione che la crescita della musica in streaming e dei relativi abbonamenti ai servizi premium non genera un effetto “cannibalizzazione” rispetto alla fruizione live. Come riportato da Repubblica qualche giorno fa, da quando il declino della musica registrata è iniziato, i concerti sono diventati il cuore pulsante del mercato musicale, centro di grandi investimenti e fonte importante di guadagni per gli artisti. Secondo Assomusica sui dati Siae, il 2015 si è chiuso con 6,9 milioni di spettatori, il 12% in più rispetto all’anno precedente. Anhe il numero degli eventi è in forte crescita (+8%) sfiorando i 4mila. Il boom vero è quello degli incassi, a quota 260,5 milioni (+17,7%). Il segmento più importante risulta quello dei concerti di musica leggera che pesano circa 230 milioni di euro segnando un incremento del 28,6%,. Sia i big player che le 11mila pmi di settore danno lavoro a qualcosa come 400mila persone, dimostrando quanto sia ancora forte il rapporto che lega gli artisti al pubblico e quanto i social media siano funzionali a costruire ed alimentare gli eventi live. Un pubblico vivo e appassionato che nel frattempo è molto più attento ed esigente grazie alla maggiore facilità di accesso ai servizi in streaming ma che non lo frena dal contatto fisico con i luoghi di aggregazione e condivisione tradizionali.
Secondo gli analisti la fase prolungata della grande crisi è ormai alle spalle. Ciò non vuol dire che il mercato abbia raggiunto un suo pieno equilibrio sotto il profilo dei modelli di business e delle regole del gioco. Guardando al mercato internazionale e alla funzione di traino delle piattaforme digitali spesso si trascura il fatto che accanto ai 3 o 4 player che dominano il mercato, in questo nuovo filone di business operano di business circa 400 realtà, la maggior parte delle quali offre musica gratuita e non è in grado di remunerare in modo adeguato artisti e produttori. Sempre secondo IFPI, a fronte di 900 milioni di utenti che consumano musica finanziata dalla pubblicità che hanno portato ricavi per 634 milioni di dollari, ci sono 68 milioni di abbonati ai servizi a pagamento capaci di generare ben 2 miliardi. Uno sforzo maggiore andrebbe rivolto – anche nel nostro Paese – ad una modernizzazione delle regole nella direzione di una maggiore concorrenza tra i vari soggetti in campo dalle case discografiche agli utilizzatori passando per gli intermediari che raccolgono i diritti e senza trascurare le esigenze dei consumatori finali. Regole che dovrebbero condurre ad una più equa (re)distribuzione dei ricavi tra gli artisti soprattutto quelli emergenti. Più in generale si avverte forte il bisogno di una nuova legge di sistema (analogamente a quanto si sta facendo nel settore cinematografico e audiovisivo) che punti su una maggiore penetrazione sui mercati internazionali e che riesca a fare da volano alle potenzialità di sviluppo del settore.