Gli antimicrobici sono utilizzati per combattere le infezioni dovute a microrganismi patogeni che, però, possono divenire capaci di resistere all’azione di un farmaco – antimicrobico – destinato dunque a perdere la sua efficacia nel curare o prevenire l’infezione derivante da quel microrganismo. Anche se all’interno della categoria degli antimicrobici si distinguono gli antibiotici (antibatterici), gli antivirali e gli antimicotici, a causa della diffusione nella produzione e nel consumo di antibiotici, si parla più comunemente di antibiotico – resistenza: di per sé un fenomeno naturale dovuto alla selezione di ceppi batterici resistenti, in seguito all’esposizione ai farmaci. La preoccupazione deriva dal fatto che l’uso inappropriato o l’abuso degli antibiotici e il loro utilizzo sistematico come promotori della crescita nel campo della zootecnia accrescono, facilitano e accelerano lo sviluppo di batteri resistenti, dando vita a una delle più gravi minacce alla salute pubblica che le Istituzioni sono chiamate oggi a fronteggiare. Le terapie esistenti perdono rapidamente efficacia e se i batteri diventano clinicamente resistenti a più antimicrobici, il trattamento delle infezioni può diventare quasi impossibile. I rischi per la salute pubblica sono molto elevati come anche l’impatto socio – economico.
Secondo i dati dell’ ECDC – European Centre for Desease Prevention and Control – in Europa le infezioni provocate mediamente in un anno da un sottoinsieme statisticamente significativo di batteri resistenti sono responsabili di 25.000 decessi e di un assorbimento di risorse economiche per circa 1,5 miliardi di euro. L’Italia è al primo posto per consumo globale di antibiotici negli animali, ed al secondo per consumo umano. Tra i paesi monitorati la prevalenza di ceppi resistenti da isolati invasivi è in Italia sempre nelle fasce più alte (25-50% o maggiore del 50% a seconda del germe isolato). Secondo il rapporto pubblicato lo scorso 19 settembre dalla Banca Mondiale “Drug Resistant Infections: A Threat to Our Economic Future” l’antibiotico – resistenza (AMR) potrebbe generare effetti economici negativi pari, se non superiori, a quelli della crisi del biennio 2008 – 2009, che potrebbero avere carattere irreversibile data la natura della causa. Sono stati simulati uno scenario di basso impatto e uno scenario di alto impatto dell’evoluzione dell’AMR fino al 2050. Nel migliore dei casi l’antibiotico – resistenza porterebbe il Pil mondiale a crescere ogni anno dell’1,1% in meno rispetto alle proiezioni di base della Banca Mondiale; nel peggiore il 3,8% in meno. A confronto, la crisi del 2008 – 2009 aveva portato l’economia mondiale a perdere il 3,7% in termini di crescita economica rispetto alla media annua del decennio precedente al suo avvento.
I danni sarebbero maggiori per le economie a basso – medio reddito rallentando così il processo di convergenza tra economie avanzate ed economie in via di sviluppo, ed aumentando il numero globale di persone a rischio povertà da un minimo di 8 milioni ad un massimo di 24 milioni. Gli effetti sarebbero significativi anche sulla spesa sanitaria, pubblica e privata, che aumenterebbe proporzionalmente alla crescita del carico di malattia: entro il 2050 la spesa sanitaria supererebbe del 25% quella prevista dalle proiezioni di base nelle economie a basso reddito, del 15% nelle economie a medio reddito e del 6% nei paesi avanzati. In cifre parliamo di un intervallo che va dai 300 ai 1.000 miliardi di dollari l’anno. Effetti negativi si osserverebbero anche nel settore della zootecnia, sia per la minore produzione a causa dei più numerosi decessi degli animali, sia per la riduzione del commercio – nazionale ed internazionale – legata all’aumento della percezione del rischio da parte dei consumatori. Nello studio si dimostra inoltre che a fronte di investimenti in piani di azione per ostacolare la diffusione e prevenire il fenomeno, si potrebbero ottenere benefici netti a livello globale per un ammontare minimo di 5.800 miliardi di dollari fino ad un massimo di 50.000 miliardi di dollari.
A livello internazionale il consensus della comunità scientifica individua due principali linee di azione: la prima è un cambiamento culturale che porti a un impiego realmente appropriato degli antibiotici riducendone l’abuso e allungandone la vita utile. La seconda è una strategia di lungo periodo che punti alla promozione di incentivi per l’introduzione di terapie innovative in grado di far fronte ai ceppi resistenti. In questa ottica si è mossa l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che in occasione della World Health Assembly nel maggio 2015 ha adottato un piano d’azione globale per l’antibiotico resistenza. In Europa, sulla base dei dati forniti dagli Stati membri, l’EFSA e l’ECDC elaborano ogni anno relazioni di sintesi sulla resistenza agli antimicrobici contribuendo ai lavori in corso iniziati dalla Commissione Europea con il Piano d’Azione 2011 – 2016 “Action Plan against the rising threats from AMR”. Lo scorso 21 settembre, il tema è stato all’ordine del giorno dell’Assemblea Generale dell’Onu che lo ritiene “una minaccia fondamentale, a lungo termine per la salute umana, la produzione durevole del cibo e lo sviluppo”, e sottolinea la necessità di adottare un approccio generale e concertato per cambiare le pratiche, sorvegliare il fenomeno, rilanciare la ricerca e lo sviluppo di nuovi antimicrobici e rendere i trattamenti accessibili a tutti.