Stando a quanto diffuso dalla HSBC, attraverso un report di recente pubblicazione, il 50% dei giacimenti ha superato il livello di massima produzione ed è perciò avviato verso un inesorabile declino già dal prossimo anno. Che, in altre parole, equivale a dire che il 64% della produzione petrolifera mondiale (che fornisce circa 60 milioni di barili su un totale di 90) è in calo.
Secondo gli esperti del colosso bancario inglese, nel 2017 consumi e produzione torneranno in equilibrio, mentre a partire dal 2018 il rischio è che si generi invece un eccesso di domanda.
Il crollo dei prezzi del barile cui si è assistito negli ultimi tempi ha portato ad una decisa contrazione dell’output, nonché ad una sensibile battuta d’arresto anche negli investimenti. Alla base dell’aumento dei tassi di riduzione ci sarebbero, da un lato, il deterioramento geologico del suolo combinato con l’ingresso in una fase matura di molti dei siti di estrazione esistenti, dall’altro, la minore dimensione dei nuovi siti, legata al profondo cambiamento in atto del mix produttivo mondiale. Secondo il modello di HSBC è ragionevole assumere tassi di crescita annui tra il -5% e il -7%. Stando a questi dati, il gap domanda-offerta ammonterebbe, nel 2040, a qualcosa che va dai 41 ai 48 milioni di barili giornalieri, che vuol dire 4 volte l’output dell’Arabia Saudita, il maggior produttore di petrolio al mondo.
Dall’altro lato, al contrario, la domanda cresce anno dopo anno di circa un milione di barili al giorno e ciononostante sembra non aver raggiunto ancora il suo picco – che non si realizzerà, pare, prima del 2040. A quel punto la carenza di offerta salirebbe a valori che sfiorano i 60 milioni di barili giornalieri, con le evidenti ricadute che questo avrebbe sui prezzi. Già per il prossimo biennio gli analisti di HSBC prevedono una risalita dei prezzi in un range che va dai 60 ai 75 dollari al barile.