L’industria farmaceutica europea ha investito 35 miliardi di euro in Ricerca e Sviluppo (R&S) nel 2016, impiegando direttamente 745.000 persone e consentendo ai cittadini di poter usufruire di nuove opzioni terapeutiche. Questi sono alcuni dei dati emersi dal rapporto[1] della European Federation of Pharmaceutical Industries and Associations (EFPIA) che evidenzia l’importanza rivestita dal settore R&S, sempre più rivolto verso Paesi emergenti, come Brasile e Cina. L’industria italiana, secondo quanto indicato nel rapporto EFPIA, avendo investito 1.415 milioni di euro nel 2015, ha creato un’occupazione di 63.500 unità e ha dato origine ad una produzione farmaceutica pari a 29.326 milioni di euro. L’Italia ha inoltre registrato, nello stesso anno, esportazioni per 19.052 milioni di euro e importazioni per 21.372 milioni di euro.
Il lavoro svolto dalle aziende farmaceutiche non è semplice: la sintesi di un principio attivo è infatti preceduta da un lungo periodo di R&S, pari a circa 12-13 anni (vedi figura), il cui elevato costo (stima pari a 1.926 milioni di euro nel 2016) rappresenta un grosso rischio per le imprese, poiché in media soltanto 1 o 2 ogni 10.000 sostanze sintetizzate nei laboratori saranno poi in grado di divenire veri e propri farmaci, dopo aver superato le varie fasi di sviluppo necessarie per l’ottenimento dell’Autorizzazione all’Immissione in Commercio.
L’industria del farmaco, grazie all’attività di R&S, ha contribuito non solo ad allungare la vita dei cittadini europei di circa 30 anni in un solo secolo, ma ne ha anche migliorato la qualità della vita, ad esempio riducendo la mortalità dovuta alla diffusione del virus dell’HIV e al cancro, e consentendo ai pazienti di tenere sotto controllo le patologie cardiovascolari, principale causa di morte in Europa, tramite l’uso di antipertensivi e medicine in grado di diminuire il colesterolo. Secondo quanto descritto da Quotidiano Sanità[2] nei prossimi 5 anni emergeranno nuove terapie, quali anticorpi monoclonali antibatterici contro la resistenza antimicrobica, terapie combinate contro il cancro, terapie per l’Alzheimer, terapie geniche per la cura dell’emofilia, terapie contro il diabete di tipo 1 e terapie CAR-T rivolte contro i tumori del sangue, che consentiranno di ottenere un aumento della sopravvivenza contro queste patologie e una migliore qualità della vita per pazienti e caregivers.
Malgrado il crescente grado di innovazione che la caratterizza, l’industria farmaceutica europea deve tener conto non solo dei costi associati alle attività di R&S ma anche delle misure di austerità fiscale introdotte dai governi, soprattutto a partire dal 2010. La frammentazione del mercato farmaceutico dell’UE avrebbe inoltre portato, secondo l’EFPIA, alla nascita di un mercato parallelo di importanti dimensioni (5.361 milioni di euro, a prezzi di fabbrica, nel 2015), fatto che da un lato mina la sicurezza dei pazienti e dall’altro priva l’industria del farmaco di risorse da destinare al settore R&S.
L’utilizzo di politiche che siano in grado di attirare gli investimenti in R&S e che consentano alle aziende farmaceutiche di proporre i loro prodotti all’interno del mercato europeo, appare fondamentale per ridurre lo spostamento di queste attività verso i Paesi emergenti: nel 2016 il mercato brasiliano e cinese sono cresciuti rispettivamente del 10% e del 6,9%, dato decisamente migliore rispetto al 4,5% dell’Unione Europea. Ricordiamo infatti non solo che la spesa per i farmaci costituisce in Europa una piccola parte dei costi sanitari totali, in media circa il 15,8%, ma essa permette anche di generare ulteriori risparmi attraverso una riduzione dei costi dovuti al ricorso ad altri settori dell’healthcare, come ad esempio le giornate di ricovero ospedaliero o l’assistenza a lungo termine.