L’ascensore sociale si è fermato ai piani alti. In Italia molto più che in altri Stati del Vecchio Continente. I dati aggiornati sulla distribuzione dei redditi nei Paesi Ue, pubblicati da Eurostat, ci mostrano come il rapporto tra la quota di reddito detenuta dal 20% più ricco della popolazione e la quota detenuta dal 20% più povero (c.d. income quintile share ratio) sia pari in Italia a 6.3: questo significa che il reddito del quinto più ricco della popolazione vale 6.3 volte quello del quinto più povero dei cittadini italiani.
L’income quintile share ratio è un indicatore di concentrazione della ricchezza, più che di disuguaglianza. Non coglie la disuguaglianza lungo la distribuzione dei redditi, ma tra i due estremi, informandoci su quanto il reddito di un Paese sia concentrato nelle mani della fascia più benestante della popolazione. Tanto maggiore è la quota detenuta dalla percentuale più piccola e più ricca della popolazione, tanto maggiore è la distanza tra i “ricchi” e i “poveri”. Per capirci, rapporti molto elevati di questo indicatore sono tipici di Paesi come il Sudafrica dove il quinto più ricco della popolazione detiene 25 volte tanto il reddito del quintile più povero.
Questo rapporto in Italia è superiore rispetto all’Ue, nonché alla maggior parte dei Paesi del nord Europa: in Germania il reddito dei più ricchi vale 4.3 volte quello dei più poveri, in Francia 4.6, in Gran Bretagna 5.1. In sintesi, in termini di concentrazione del reddito nelle mani della coda più alta della distribuzione, ci superano solo Spagna, Grecia, Lituania, Romania e Bulgaria. Negli ultimi dieci anni questo gap è inoltre aumentato, in particolare a partire dal 2009. Se dal 2005 al 2009 questo rapporto era rimasto sostanzialmente costante intorno a un valore di 5, in soli sette anni dal 2009 al 2016 è aumentato da 4.9 a 6.3 (+1.4). Nello stesso periodo in media nell’Ue, lo stesso rapporto è salito da 4.9 a 5.2 (+0.3).
Che l’Italia sia un Paese con una disuguaglianza dei redditi molto elevata e una povertà molto diffusa non è una novità. Questo stato di cose persiste da circa quindici anni, e la crisi ha contribuito ad acuire la situazione. Un articolo del Sole 24 ore della scorsa settimana, ci ricorda inoltre come molto spesso la diseguaglianza si accompagni all’ereditarietà nelle posizioni economiche e sociali: le famiglie con reddito più alto investono di più nel capitale umano dei figli e le connessioni sociali aiutano ad accedere a occupazioni e retribuzioni migliori. Per gli esperti della materia, ampia letteratura sarebbe disponibile a proposito della trasmissione intergenerazionale delle disuguaglianze e delle disparità di accesso all’istruzione.
Per tutti gli altri le indagini Almadiploma ed Almalaurea 2017 citate dal suddetto articolo, possono essere sufficienti a dare un’idea. La presenza di diplomati con genitori in possesso di titoli di laurea è massima fra i diplomati classici (59%) e scientifici (43%), mentre si riduce fra i tecnici (14% tecnico tecnologico e 13% tecnico economico) ed è ancora più limitata fra i professionali (dall’11% del professionale per i servizi all’8% del professionale per l’industria e l’artigianato). Inoltre, si legge nell’indagine, l’effetto del contesto culturale e socioeconomico familiare sul rendimento scolastico dei ragazzi è già evidente nel percorso di studi che precede il liceo: chi ha genitori di estrazione sociale elevata ottiene “10 o 10 e lode” alle scuole medie nell’11% dei casi, mentre chi proviene da famiglie meno avvantaggiate raggiunge il massimo dei voti solo nel 6% dei casi. I dati Ocse (2016), riportati nell’indagine Almalaurea 2017, confermano questo quadro: gli italiani di 25-34 anni usciti dal sistema formativo tendono a conseguire un livello di istruzione uguale a quello dei genitori. Il fenomeno riguarda il 45% dei 25-34enni con genitori con titolo di istruzione inferiore, il 54% dei giovani con genitori con un diploma di scuola superiore e il 66% dei figli di laureati.
Confrontando la situazione italiana con la media degli Stati Ocse, il nostro Paese si attesta su bassi livelli di mobilità sociale in relazione all’istruzione, soprattutto quando i giovani provengono da famiglie con un titolo di studio poco elevato. Ciò equivale a perpetuare il ritardo formativo che caratterizza l’Italia di generazione in generazione, contribuendo a renderci un sistema lento, se non immobile. Servono allora, ed ancora, adeguate politiche per il diritto allo studio e interventi in grado di far sì che sia il merito a determinare il successo individuale.