Il Global Competitiveness Report, pubblicato annualmente dal World Economic Forum, rappresenta da anni un riferimento indiscusso per la valutazione della competitività degli Stati sullo scenario globale. Viene monitorata la competitività di 140 economie sulla base di 98 indicatori, raggruppati in 12 pilastri: si va dalle istituzioni alle infrastrutture, dalla stabilità macroeconomica all’adozione delle tecnologie digitali, dal sistema finanziario agli investimenti in innovazione, dal mercato del lavoro alla diffusione delle competenze al comparto sanitario a molti altri parametri ancora.
I risultati delle variabili considerate vengono sintetizzati nel Global Competitiveness Index, un indice che assegna a ogni Stato un punteggio da 0 a 100, rappresentativo della competitività del proprio sistema Paese. Il report 2018 innesta modifiche alla costruzione dell’indice (dei 98 indicatori, 64 non sono stati utilizzati nelle precedenti versioni del rapporto), utili a esaminare le nuove forme in cui si esprime la competitività di un’economia.
A questo fine, viene introdotto il Global Competitiveness Index 4.0: un nuovo indice che vuole fare luce sui fattori che più sostengono la produttività e la crescita nel lungo periodo nell’era della quarta rivoluzione industriale. L’obiettivo è quello di fornire ai policymaker e a tutti i soggetti coinvolti una mappa aggiornata per orientarsi in un periodo fatto di avanzamenti tecnologici rapidissimi, fragile ripresa economica ed evidente polarizzazione politica e definire strategie programmatiche ed economiche all’altezza.
Dai risultati del Global Competitiveness 4.0 si evidenzia il primato degli Stati Uniti, che svettano in cima alla classifica dei 140 Stati, con un punteggio pari a 85,6. Segue Singapore, con un valore di 83,5. Tra i primi 10 Paesi dell’indice – come emerge dalla figura più in basso – troviamo ben 6 Stati europei (Germania, Svizzera, Paesi Bassi, Regno Unito, Svezia e Danimarca) e 3 Stati dell’Asia Orientale (oltre a Singapore, Giappone e Hong Kong). Le grandi economie emergenti si collocano in posizioni più arretrate, ancora preda di contraddizioni economiche e scarsità delle tutele sociali e di ritardi di sviluppo: la Cina, infatti, è ventottesima (72,6 di punteggio), l’India cinquantottesima (62), l’Indonesia quarantacinquesima (64,9), la Turchia sessantunesima (61,6) il Brasile settantaduesimo (59,5). La Russia è quarantatreesima con 65,6. In fondo al ranking dei 140 Stati, troviamo 5 Paesi africani e asiatici: il Burundi, l’Angola, Haiti, Yemen e Chad, con punteggi che vanno da 37,5 a 35,5.
Fonte: Elaborazione I-Com su dati World Economic Forum
E l’Italia? Il Belpaese si colloca trentunesimo, con un valore di 70,8, a pari merito con l’Estonia, subito dopo il Qatar e prima del Cile, quindicesimo tra i 28 Stati dell’Unione Europea. Quali sono i punti di forza del sistema Italia secondo la fotografia del World Economic Forum? Spicca la buona performance del pilastro “salute”, grazie all’elevata aspettativa di vita, che ci vede sesti nel mondo. Di molto superiore alla media anche lo stato delle infrastrutture (siamo al ventunesimo posto), in particolare in virtù dei risultati delle infrastrutture dei servizi di rete, energia elettrica ed acqua. Ottima la dimensione del mercato italiano, soprattutto grazie al valore del Pil, dodicesimo nella classifica globale.
Contraddittoria la valutazione della stabilità macroeconomica del Paese: se da un lato l’andamento dell’inflazione rassicura, dall’altro la dinamica del rapporto debito/Pil ci vede in posizione più arretrata. In modo simile, non è unilaterale il monitoraggio dello stato della forza lavoro. Quella attualmente attiva risulta carente di competenze nella competizione globale (siamo al cinquantaseiesimo posto), ma si prevede un miglioramento futuro, dovuto in particolare ai maggiori ingressi, rispetto al passato, nei gradi più alti di educazione e formazione.
Se guardiamo, in conclusione, ai campi dove l’Italia risulta più arrancare, notiamo in primis la cattiva valutazione degli aspetti istituzionali, a causa di punteggi molto bassi nell’ambito del capitale sociale, dell’incidenza della corruzione, dei diritti di proprietà e della performance del settore pubblico. Negativa anche la considerazione del mercato del lavoro, le cui difficoltà vengono addebitate, tra le altre motivazione, alla scarsa flessibilità e produttività e alla debolezza delle politiche attive. Penalizzanti nel quadro internazionale sono anche le statistiche sull’adozione delle tecnologie ICT, sulla concorrenza nel mercato dei beni e sulla capacità di attrarre investimenti finanziari nel settore produttivo.
Insomma, lo spazio per migliorarsi, per le istituzioni e le imprese, non manca.