Starbucks, Primark, KFC (e non solo). Ecco le multinazionali che scelgono l’Italia


Articolo
Gaia Del Pup

Qualcosa si muove, seppure lentamente. Nonostante i molti limiti della nostra economia, non mancano le multinazionali straniere che scommettono sul mercato italiano.

In questo senso, forse, il caso più eclatante è rappresentato dal colosso a stelle e strisce Starbucks. L’azienda americana, che conta 29.000 punti vendita nel mondo, nel 2018 è approdata a Milano, in piazza Cordusio, dove ha aperto un locale unico nel suo genere: una torrefazione. La Reserve Roastery milanese si distanzia di molto dal concetto classico delle altre caffetterie della catena. A seguire altri 4 locali (che riprendono il tradizionale “concept Starbucks”), hanno invaso la capitale meneghina, aprendo la strada a quella che, nel 2019, sarà quasi un’invasione. Quest’anno sono in programma le aperture di Roma, dove pare che, dopo la prima apertura in zona musei Vaticani, ne seguirà una in un punto strategico della città come la stazione Termini o Piazza di Spagna e in altre città turistiche come Firenze e Venezia. Il piano di espansione prevede, inizialmente, una media di 10/15 aperture, con l’obiettivo di arrivare a 20 nuovi locali ogni anno.

Il gruppo che ha portato in Italia il noto marchio di caffè da asporto è lo stesso che c’è dietro l’apertura dei punti vendita di altri importanti brand americani in Italia. Si tratta di Percassi, realtà imprenditoriale che, oltre a gestire i propri marchi, sviluppa e gestisce la rete commerciale di alcune grosse multinazionali internazionali sul nostro territorio. L’ultima apertura, seguita da loro, è stata quella di Victoria’s Secret lo scorso dicembre a Roma.

New entry nel mercato italiano, lo scorso settembre, Five Guys, catena americana di fast food che ha inaugurato a Milano il suo primo ristorante. Se quasi tutti, inizialmente, hanno puntato sul capoluogo lombardo, diverso si sta rivelando il percorso di un altro gigante della ristorazione veloce venuto da oltreoceano: Kentucky Fried Chicken. Dopo l’esordio nel 2014, a Roma e Torino, la catena ha aperto in quattro anni 30 locali in 11 regioni, puntando inizialmente sui grossi centri commerciali. La strategia che stanno perseguendo ora li vede puntare sui viaggiatori. Nel 2018 infatti KFC ha firmato un accordo con Grandi Stazioni Retail S.p.A. che porterà, dopo quella di Venezia dello scorso ottobre, all’apertura nelle stazioni di Bologna Centrale, Bari Centrale e Genova Brignole. Oltre alle stazioni anche le traffic road: le strade a forte percorrenza sono il prossimo obiettivo per dare spazio al modello del drive trough, per il quale la richiesta è in continuo aumento. La catena del pollo fritto ha inoltre introdotto un format chiamato small box, che prevede un punto vendita di massimo 250 metri quadrati da inserire in contesti con scarsa disponibilità di spazio come i centri storici e le piccole città.

Non solo ristoranti e caffetterie, negli ultimi due anni sono approdati in Italia anche alcuni giganti dell’abbigliamento. Primark, la catena irlandese di vestiti low cost, ha aperto il suo primo store nel 2016 ad Arese, vicino Milano, seguito, nell’anno successivo, da altre due aperture a Brescia e Firenze. Sempre nel 2017 ha aperto a Milano Urban Outfitters, la multinazionale di Philadelphia che vende abbigliamento casual. Il 2019 sarà invece l’ anno di Arket a Torino, marchio del gruppo svedese H&M e di Uniqlo a Milano, brand giapponese che vende vestiti a tinta unita. L’arrivo e l’espansione in Italia di queste multinazionali internazionali non solo hanno creato numerosi posti di lavoro ma, in alcuni casi, hanno portato a una riqualificazione di zone ed edifici nelle città in cui si sono insediati. Ad esempio, Starbucks ha restaurato un edificio storico in piazza Cordusio a Milano per aprirvi la sua Reserve Roastery.

Esempi, anche importanti, che però non devono far dimenticare le numerose difficoltà cui vanno incontro le aziende straniere quando decidono di sbarcare nel nostro Paese. D’altro canto, in assoluto i numeri non appaiono così soddisfacenti come emerge da diversi indicatori internazionali. I principali ostacoli all’arrivo in Italia di capitali esteri – si evince dalle classifiche e dalle rilevazioni – sono due: le lungaggini e il malfunzionamento della giustizia civile e della burocrazia, cui aggiungere una tassazione non certo favorevole alle imprese. In questo senso il Doing Business Report del 2018 colloca il nostro Paese al quarantaseiesimo posto per efficienza e facilità dell’attività imprenditoriale mentre il World Investment Report del 2018 ci vede posizionati al diciannovesimo posto della classifica dei Paesi che attraggono più investimenti.

Anche il rapporto I-Com presentato in occasione dell’ultima edizione nazionale dell’Osservatorio relazioni territori-imprese si è occupato degli investimenti esteri in Italia e delle attività delle multinazionali, analizzandone la distribuzione per ogni regione. La presenza varia in modo considerevole a seconda della regione. Le regioni settentrionali e il Lazio si distinguono rispetto alle altre: circa il 45% delle multinazionali attive in Italia si trova in Lombardia, l’8,7 in Lazio e l’8,5 in Veneto. Ultime in classifica per presenza di multinazionali sono Molise, Valle d’Aosta, Calabria, Sardegna e Umbria.

Public Affairs e Comunicazione dell'Istituto per la Competitività (I-Com). Nata a Venezia nel 1986, lavora come istruttrice di vela durante gli anni del liceo e dell’università. Si laurea in giurisprudenza all’Università di Bologna con una tesi in diritto della navigazione.

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