Tra i primi venti Paesi della classifica di Transparency International dodici sono europei. L’ultimo aggiornamento del Corruption Perception Index (CPI) – l’indice ideato da Transparency International e basato su 13 sondaggi e valutazioni di esperti sulla corruzione nel settore pubblico – assegna il primo posto alla Danimarca, con un punteggio di 88, seguita da Finlandia e Svezia, entrambe con un punteggio di 85. In fondo alla classifica dei Paesi Ue ci sono Bulgaria, Grecia e Ungheria, con un punteggio, rispettivamente, di 42, 45 e 46, tutti e tre in declino rispetto agli ultimi anni.
L’Unione europea nel suo complesso ha registrato un punteggio di 66, al di sopra del punto medio della scala che va da 0 (corruzione elevata) a 100 (trasparenza elevata), e decisamente migliore di altre regioni del globo. Tuttavia, sebbene il quadro normativo e le istituzioni democratiche di molti Paesi europei appaiano piuttosto in salute, c’è ancora ancora molto da fare. Un’attenzione particolare merita la normativa sul whistleblowing, uno strumento prezioso contro la corruzione. Nonostante esista una proposta legislativa da parte dell’Unione per migliorare la protezione dei cosiddetti whistleblower, permangono al momento forti dubbi in merito al raggiungimento di un accordo tra gli Stati membri.
Nota positiva per l’Italia che, sebbene si posizioni nella parte bassa della classifica – 23° in quella Ue e 54° in quella generale – appare in costante miglioramento. È l’unico Paese, tra quelli del Vecchio continente, che ha fatto registrare un trend positivo nell’ultimo quadriennio: dal 2014 ha recuperato ben 9 punti. Una trasformazione positiva che gli ha permesso una graduale scalata della classifica: nel giro di soli 6 anni è passata dalla 72° alla 54° posizione, di cui 6 posizioni guadagnate solo nel corso dello scorso anno. Merito probabilmente anche delle leggi recentemente approvate sul whistleblowing, sulla trasparenza, sulle influenze illecite e sul riciclaggio. Tuttavia, è ancora marcato il divario con alcuni Paesi europei: il Regno Unito e la Germania sono all’11° posto, entrambi con 80 punti, e la Francia al 21° con 72. Senza considerare che la performance italiana è peggiore di quella di Paesi come Namibia e Rwanda.
In particolare, Trasparency International mette l’Italia sotto osservazione a causa dell’indebolimento delle istituzioni democratiche e del declino della cultura politica che rischia di minare gli sforzi fatti negli ultimi anni nella lotta alla corruzione. Una delle nuove sfide che il nostro Paese dovrà affrontare – secondo l’organizzazione internazionale – è la mancanza di una regolamentazione delle attività di lobbying, fondamentale per raggiungere l’obiettivo di una maggiore trasparenza e integrità dei processi decisionali pubblici. In un recentissimo position paper, l’organizzazione non governativa ha sottolineato come, a dispetto di Paesi come Irlanda, Francia, Lituania, Austria, Polonia, Slovenia e Regno Unito che hanno disciplinato in modo chiaro la materia, in Italia manchino ancora sia un registro nazionale unico che regole ben definite. Nel rapporto sono state formulate alcune raccomandazioni che vanno dall’istituzione di un registro unico pubblico dei rappresentanti di interessi (lobbisti) alla pubblicazione da parte dei decisori pubblici dell’agenda degli incontri con tali soggetti, da una maggiore attenzione al rischio di conflitto di interessi (con particolare riferimento al fenomeno delle “porte girevoli” ) al divieto di finanziamento della politica da parte delle società di consulenza e professionisti che esercitano l’attività di lobbying. Si consiglia, infine, l’introduzione di un organo indipendente che abbia il compito di gestione del registro, nonché poteri di controllo e sanzione.
Tanto è stato fatto negli ultimi anni ma, senza regole sulla trasparenza che aiutino a rendere maggiormente efficace le norme introdotte, difficilmente le istituzioni riacquisteranno la necessaria fiducia da parte dei cittadini.