Start-up, la crescita è incalzante ma le dimensioni sono troppo ridotte (e il venture capital langue). Lo studio I-Com


Articolo
Giusy Massaro

Il processo di crescita che sta riguardando la nascita delle start-up continua senza sosta: siamo ormai oltre la soglia dei 10.000, e quasi 1.500 di queste sono attive nel settore energia. Un numero cresciuto a un tasso medio annuo del 70% nel quadriennio 2014-2018, per arrivare a un totale di 1.474, di cui il 90% impegnato in attività di ricerca e sviluppo, mentre le altre si occupano per lo più della fabbricazione di apparecchiature elettriche ed elettroniche, di autoveicoli, rimorchi e semirimorchi.

E’ quanto emerge dal rapporto dal titolo “Il rebus della transizione. L’innovazione energetica, chiave dello sviluppo”, curato dall’Istituto per la Competitività (I-Com) e presentato lo scorso 25 giugno a Roma (qui l’approfondimento sul tema del Sole 24 Ore e qui le foto dei protagonisti dell’evento di presentazione su Formiche.net). Queste realtà imprenditoriali continuano a  essere particolarmente concentrate nelle regioni settentrionali, Lombardia in primis, che resta il terreno maggiormente fertile per la costituzione di nuove attività imprenditoriali di stampo innovativo: quasi una start-up energetica su quattro è attiva in questa regione. Anche se quest’anno secondo in graduatoria è il Lazio, con 1.151 start-up. Stesso discorso vale per le start-up energetiche, e va detto che il terzo gradino del podio lo occupa la Campania, con 142 realtà imprenditoriali, concentrate perlopiù nel napoletano.

Un ecosistema che nel suo complesso vale, per l’economia nazionale, fino a un massimo di 3,7 miliardi, di cui oltre mezzo miliardo ascrivibile alle sole start-up energetiche. Un apporto certamente importante, eppure l’elemento dimensionale resta una criticità nient’affatto trascurabile: la stragrande maggioranza delle start-up (oltre il 90%) fattura, infatti, meno di 500.000 euro, sia nel settore energetico che negli altri, e ha una dimensione d’impresa molto contenuta, con un impatto ancora assai ridotto in termini occupazionali: sono molto pochi i casi in cui la forza lavoro impiegata supera i dieci addetti (circa il 5%) e, sebbene comunque in crescita, l’impatto in termini occupazionali è stimato in non più di 68.000 posti di lavoro (più della metà nel Nord Italia), di cui circa 9.500 nel solo comparto energia.

D’altronde, i capitali non abbondano: solo il 4,2% delle start-up energetiche ha un capitale superiore a 250.000 euro. Il problema vero è avere un business scalabile che sopravviva ai primi tre anni di attività, ma in Italia quasi nessuno investe in start-up. Il ritardo più evidente che l’Italia sconta in questo momento è, più nello specifico, nel venture capital, oltre che in una carente cultura imprenditoriale, con pochissimi imprenditori disposti ad investire su queste nuove realtà innovative. E’ proprio con riguardo a questi due aspetti – al primo in particolar modo – che il governo ha cercato nell’ultimo anno di fare dei passi in avanti, prevedendo, nell’ultima legge di bilancio, interessanti misure, tra cui lo stanziamento di fondi, esenzioni fiscali, un maggior impegno da parte dello Stato a investire in Fondi di Venture Capital. A inizio maggio è anche arrivato il decreto attuativo, che a breve, dunque, si spera cominci a produrre gli effetti sperati.

Research Fellow dell'Istituto per la Competitività (I-Com). Laureata all’Università Commerciale L. Bocconi in Economia, con una tesi sperimentale sull’innovazione e le determinanti della sopravvivenza delle imprese nel settore delle telecomunicazioni.

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