Intelligenza artificiale, l’Italia ci crede. Le iniziative in corso e le difficoltà ancora da superare


Articolo
Maria Rosaria Della Porta
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L’interesse verso le tecnologie emergenti diventa sempre più consolidato e il mercato dell’intelligenza artificiale cresce a ritmi sorprendenti. Si parla di investimenti globali che raggiungeranno entro il 2023 i 97,9 miliardi di dollari, più del doppio dei 37,5 che saranno spesi nel corso del 2019, e di ricavi mondiali derivanti dall’implementazione di software dotati di questa tecnologia che sorpasseranno i 118 miliardi di dollari entro il 2025.

Solo nell’anno in corso il retail e il bancario, con una spesa superiore ai 5 miliardi ciascuno, sono nuovamente alla guida dei settori che spenderanno maggiormente in soluzioni di intelligenza artificiale. Altri comparti inclini all’adozione di questi sistemi sono il manifatturiero, l’assistenza sanitaria e i servizi professionali.

Sono questi alcuni dati contenuti nel rapporto I-Com su reti & servizi di nuova generazione, presentato a Roma durante il convegno dal titolo “Non voglio mica la luna. Le tecnologie digitali al servizio degli italiani” al quale hanno preso parte, tra gli altri, il ministro per l’Innovazione tecnologica e la Digitalizzazione Paola Pisano e il sottosegretario allo Sviluppo economico Mirella Liuzzi. Lo studio, oltre a fare il punto sullo stato di avanzamento del processo di digitalizzazione del nostro Paese, ha posto l’attenzione sull’intelligenza artificiale e sulla blockchain, con un focus sulle potenzialità nonché sul loro grado di sviluppo e di adozione a livello mondiale, europeo e nazionale.

Dal rapporto emerge come tra i principali attori che dominano la scena mondiale dell’intelligenza artificiale ci siano le start-up, dalle quali proviene una porzione significativa dell’innovazione. Quelle più promettenti hanno sede negli Stati Uniti ma anche la Cina può contare su un florido ecosistema. L’Europa, invece, ancora fatica ad aprirsi completamente alle tecnologie intelligenti: nessuno Stato raggiunge una vera massa critica, ad eccezione del Regno Unito, che con 245 start-up è in vetta alla classifica. Seguono la Francia, che ne ha 109, e la Germania, 106. Mentre l’Italia, che ne conta solo 22, si colloca al nono posto.

Se si guardano i dati sugli investimenti in start-up che operano nel campo dell’intelligenza artificiale, soprattutto in ambito europeo, emerge però una situazione leggermente più incoraggiante: nel 2017 l’8% degli investimenti in private equity dell’Unione europea è stato destinato al sostegno di queste imprese. Un risultato importante se si pensa che nel 2013 questo valore si attestava solo all’1%. Tuttavia, i livelli di investimento sembrano variare notevolmente tra gli Stati membri. Tra il 2011 e il 2018 le start-up del Regno Unito hanno ricevuto il 55% degli investimenti totali dell’Ue. Seguono quelle tedesche (14%) e francesi (13%). I restanti venticinque Paesi hanno condiviso meno del 20% di tutti gli investimenti in private equity registrati in Europa.

Nonostante gli attuali limiti e seppur con ritardo, i principali Stati membri stanno, però, avviando un’intensa attività di ricerca in intelligenza artificiale. Tra i progetti finanziati nell’ambito dei programmi FP7 e Horizon 2020, guida la classifica la Germania con il 17%, seguita da Regno Unito, con il 13, e Italia che con il 12% sale sul terzo gradino del podio insieme alla Spagna. Quarta in classifica, invece, la Francia.

Il mercato italiano, invece, è ancora agli albori. Lo studio tuttavia sottolinea sorprendenti prospettive di crescita. Dal mondo imprenditoriale a quello dell’università e della ricerca, passando per la pubblica amministrazione, tutti hanno adottato tecnologie intelligenti, soprattutto machine/deep learning, sistemi di elaborazione del linguaggio naturale, chatbot, robotica e sistemi automatizzati. Si tratta soprattutto di aziende e start-up, seguite da università, centri di ricerca e dalla pubblica amministrazione. A livello geografico, sono localizzate principalmente in Lombardia, Lazio ed Emilia Romagna. Mentre tra le regioni del Mezzogiorno è la Campania la regione italiana che più di tutte ha una forte vocazione innovativa e tecnologica.

Inoltre, seppur con con evidente divario con altre realtà come, ad esempio, quelle di Stati Uniti e Cina, l’Italia sta cercando di farsi strada nel calcolo ad alte prestazioni. Abbiamo solo cinque supercomputer, ma ben due sono in cima alla Top500. Si tratta di Hpc4 fornito da Hewlett Packard Enterprise (HPE), situato nel data center di Eni (attualmente in diciassettesima posizione nella Top500) e del Marconi del Cineca sulla piattaforma NeXtScale di Lenovo (attualmente al ventunesimo posto). Altra punta di diamante italiana nell’ambito dei sistemi HPC (High Performance Computing) è il nuovo Data center del Centro europeo per le previsioni meteorologiche a medio termine (ECMWF), che sarà operativo entro il 2020 a Bologna presso il nuovo Tecnopolo.

A tal proposito, lo studio riporta l’esperienza ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) che partecipa a FocusCoE, il programma finanziato da Horizon 2020 che consiste nella creazione di una rete di coordinamento e scambio di informazioni fra tutti i principali centri di supercalcolo in Europa. Nel caso specifico l’ENEA interviene con l’infrastruttura CRESCO6, frutto di una partnership con il Cineca, situata nel Centro di Portici. Il supercalcolatore crea modelli predittivi su cambiamenti climatici e inquinamento dell’aria, con un dettaglio territoriale molto accurato. CRESCO6 è di gran lunga la più importante infrastruttura di calcolo ad alte prestazioni del Sud Italia, oltre a essere una delle più importanti del Paese.

Pur partendo da una posizione di evidente svantaggio, sia l’Europa sia l’Italia stanno cercando di recuperare terreno. E per farlo al meglio devono puntare, da un lato, sulla collaborazione tra ricerca e produzione, incentivando il trasferimento tecnologico. Bisogna poi investire sul capitale umano e sullo sviluppo di nuove competenze, incoraggiare la formazione e l’interdisciplinarietà. Dall’altro lato, è altrettanto importante il tema della riqualificazione della forza lavoro esistente, poiché gran parte delle attuali mansioni potrebbe diventare obsoleta. Sarà dunque necessario indirizzare i lavoratori verso quei ruoli che possono creare maggior valore e per fare questo bisogna accelerare sul reskilling.

Inoltre, per un pieno sviluppo dell’intelligenza artificiale è fondamentale colmare i vuoti normativi esistenti e intervenire con norme giuridiche specifiche e pertinenti al tema.

Research Fellow dell'Istituto per la Competitività (I-Com). Laureata in Economia presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, con una tesi in Finanza Aziendale Internazionale. Successivamente ha conseguito un master di II livello in “Concorrenza, economia della regolamentazione e della valutazione”, presso la medesima università.

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