Fa ancora discutere l’estensione del golden power, l’esercizio di poteri speciali del Governo utili a sventare il rischio di scalate ostili. È Bankitalia ora a suonare il campanello d’allarme. Il capo del servizio struttura economico della Banca d’Italia, Fabrizio Balassone, nella sua audizione presso le commissioni attività produttive e finanze della Camera in merito al Dl liquidità, ha evidenziato la necessità di armonizzare la disciplina italiana con le prerogative della Banca centrale europea a riguardo dell’acquisto di partecipazioni consistenti.
Per Palazzo Koch, quindi, la decisione del governo di “estendere il golden power anche al settore bancario e assicurativo” (non esplicitamente menzionato dalla disciplina europea) deve essere seguita da dettagli per coordinarsi con le norme Bce. Vanno precisate “le modalità con cui l’esercizio dei poteri speciali si coordina, senza sovrapporvisi, tanto sul piano sostanziale quanto su quello procedurale, con la disciplina prudenziale che incarica la Bce, su proposta Bankitalia, di autorizzare l’acquisto di partecipazioni rilevanti“.
Sulla questione ha detto la sua anche il presidente della Consob, Paolo Savona, che sempre nel corso delle audizioni alla Camera dei Deputati, ha suggerito al governo di indicare una “lista delle società che considera strategiche” che potrebbero essere soggette all’esercizio della golden power. Con la disponibilità di una lista di questo tipo, ha spiegato Savona, la Consob potrebbe monitorare l’andamento in Borsa e l’azionariato delle società strategiche, nonostante “la golden power è un potere che esercita il governo”.
Ad oggi si è fatto ricorso ai poteri speciali, anche in funzione deterrente, in relazione a una decina di operazioni, poi autorizzate dal governo a certe condizioni. Si pensi all’ingresso di Vivendi in Tim, di General Electric in Avio e di Mubadala in Piaggio Aerospace. Il veto del governo, al contrario, impedì ad Altran, multinazionale francese, di acquistare Next, società informatica operativa in settori sensibili, poi ceduta agli italiani di Defence Tech, con il via libero dell’Esecutivo. Secondo l’Economia del Corriere della Sera, questo strumento potrebbe essere esteso, in teoria, ad aziende come Generali, Intesa e Unicredit (assicurazioni e finanza), Ima (packaging), Sia (reti interbancarie, che fa già capo a Cassa depositi e prestiti chiamata a intervenire contro i takeover), Kedrion (biofarmaceutica, altra partecipata di Cdp), o essere utile a rafforzare la presenza italiana su joint venture rilevanti come quella italo-francese di StMicroelectronics (semiconduttori).
Tuttavia, mentre già si discute di una possibile prolungamento della versione estesa del golden power oltre la fine dell’anno, rimangono incertezze sul campo di applicazione della nuova disciplina. È proprio il settore finanziario e assicurativo a essere tra i più esposti in questo senso, poiché sotto le attenzioni di grandi soggetti esteri. Ii è detto degli interessi d’Oltralpe verso Unicredit e Generali, si pensi anche ad Sgr quali Anima, Arca, Azimut e Kairos, che insieme gestiscono un tesoro da 250 miliardi. In particolare, è Anima, che ha 176,5 miliardi di masse e un azionariato frammentato, a essere stata avvicinata al colosso francese Amundi, che tuttavia ha smentito.
Queste notizie, ciononostante, hanno fatto sorgere alcune domande: il golden power vale anche per aziende come Anima? Il risparmio gestito rientra tra gli asset nazionali strategici? E ritorna l’idea di un campione nazionale nel mondo del risparmio gestito, un attore che continui a investire nel debito pubblico nazionale.
Al di là del ruolo dello Stato, è evidente che la crescita dimensionale, annoso problema del capitalismo italiano, sia un obiettivo da perseguire, anche favorendo aggregazioni, come segnala lo studio di Kpmg per L’Economia del Corriere della Sera, dal titolo «Covid-19, golden power e aggregazioni industriali: impatti sul mercato italiano». Si evidenzia, ad esempio, come nel turismo in Italia siano ancora micro (cioè sotto i dieci dipendenti) il 92,6% delle aziende, nell’alimentare l’86,1%, nella moda l’81,6%, nelle costruzioni il 96,1%, nella grande distribuzione organizzata l’86,6%, nelle utility il 93,8%.
Allo stesso tempo, si registrano le difficoltà sofferte in borsa negli ultimi mesi dai comparti a maggiore capitalizzazione. Tra il 25 febbraio e il 15 aprile, l’oil&gas ha perso il 27% di capitalizzazione, l’automotive il 21%, le telecomunicazioni il 19%. L’agroalimentare, l’edilizia e la moda hanno registrato rispettivamente -17%, -16% e -12%. Il settore viaggi e tempo libero, invece, ha perso ben il 37%. Tim, a partire da 10,8 miliardi, è scesa a 7,5, A2a, che valeva 5,4 miliardi, ora ne conta 3,8, FCA è passata da 17,2 miliardi a 11, Autogrill da 2 a 1,2. Davanti a ridotte dimensioni e debolezza dovuta alla crisi, non c’è golden power che tenga.
Nel frattempo, le regole della concorrenza e il ruolo dei governi sono in discussione anche in sede europea. Bruxelles, che ha già consentito aiuti di Stato per quasi 2.000 miliardi di euro per fronteggiare la crisi, sta valutando di elevare la soglia minima per le operazioni straordinarie di sostegno alle imprese (ad esempio ricapitalizzazioni e nazionalizzazioni) per cui vige un sistema di notifiche e autorizzazioni a 250 milioni di euro, come richiesto da Francia e Italia. L’uscita dello Stato dal capitale, invece, dovrebbe avvenire entro il 2026, dando così margine ai governi per impostare il ritorno a una situazione di ordinarietà.