Lotta all’evasione fiscale, la chiave sono i pagamenti digitali


Articolo
Domenico Salerno
fiscale

Con il decreto fiscale 2020 (articolo 18, decreto legge numero 124 del 2019), in vigore dal 1° luglio, il governo ha portato il limite per i pagamenti in contanti dagli attuali 3.000 a 2.000 euro. Il provvedimento, che è parte di un pacchetto più esteso di misure finalizzate al contrasto dell’evasione fiscale, prevede inoltre che dal 1° gennaio 2022 la soglia si riduca ulteriormente fino ad arrivare a 1.000 euro.

A maggio il debito pubblico italiano ha purtroppo superato per la prima volta la quota di 2.500 miliardi di euro. Le ultime previsioni sul nostro Paese del Fondo Monetario Internazionale hanno visto per il 2020 un deficit al 12,7% e un rapporto debito/Pil al 166,1. Invertire la rotta è quindi fondamentale ma, con il prodotto interno lordo in caduta del 12,8% rispetto al 2019, il recupero del sommerso è una delle poche fonti da cui attingere nel periodo post pandemico.

In Italia l’evasione è da sempre un problema molto rilevante, soprattutto se si considera il suo impatto sui conti pubblici. Secondo le ultime statistiche diffuse da The Tax Research LLP, nel 2019 il nostro Paese è stato al primo posto in Europa per evasione: sono stati circa 190 i miliardi di euro sottratti alle casse dello Stato soltanto nell’ultimo anno. Gli strumenti di pagamento digitale, oltre che ridurre i tempi e i costi delle transazioni, possono rappresentare un importantissimo mezzo per combattere l’evasione fiscale. La tracciabilità delle transazioni monetarie garantita dai sistemi elettronici di pagamento, oltre che rappresentare un importante deterrente, garantisce alle autorità una maggiore facilità nella fase di controllo.

Nonostante molti ritengano che i limiti ai pagamenti in contanti possano generare una contrazione dei consumi, non esistono evidenze scientifiche a supporto di questa tesi. In Gran Bretagna, ad esempio, i contanti equivalgono solamente al 3% del denaro totale in circolazione. Un dato che non ha generato particolari conseguenze sull’economia del Paese. Il contante, al contrario, continua a provocare problemi di varia natura, come la contraffazione.

Un esempio di successo di lotta all’evasione fiscale condotta tramite la digitalizzazione dei pagamenti è quello della Svezia. Per stimolare i cittadini a utilizzare sistemi di pagamento elettronico, il governo ha permesso alle imprese di rifiutare pagamenti in contanti. La Banca di Svezia ha inoltre sviluppato un’applicazione per permettere ai privati di scambiarsi somme di denaro ed effettuare pagamenti in modo semplice e veloce. Per effetto di queste misure i pagamenti pro-capite dei cittadini svedesi sono aumentati del 9% rispetto al 2015, arrivando a 317 euro l’anno. Questo ha portato nel 2019 il Paese scandinavo a passare dall’avere un gap IVA del 3% nel 2015 a incassare nel 2018 l’1% di IVA in più rispetto a quella potenziale, nonostante un’aliquota al 25% (dati Ue).

L’Italia parte da condizioni molto diverse. Secondo gli ultimi dati diffusi dall’Unione europea, nel 2018 il gap IVA nel nostro Paese si è attestato al 24%, traducendosi in circa 34 miliardi di euro di entrate tributarie in meno. Incentivare i cittadini italiani a utilizzare abitualmente i sistemi di pagamento digitale (anche per somme di denaro modeste) potrebbe quindi aiutare a ridurre almeno in parte questo divario.

Direttore Area Digitale dell'Istituto per la Competitività (I-Com). Nato ad Avellino nel 1990. Ha conseguito una laurea triennale in “Economia e gestione delle aziende e dei servizi sanitari” presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore e successivamente una laurea magistrale in “International Management” presso la LUISS Guido Carli. Al termine del percorso accademico ha frequentato un master in “Export Management & International Business” presso la business school del Sole 24 Ore.

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